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Al il Nero

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All’inizio del XVIII secolo, un giovane schiavo di nome Al scappa da una piantagione di tabacco per unirsi a un equipaggio di cacciatori di pirati: scopre così la libertà e un mondo pieno di avventure.
Cinquant’anni dopo la sua fuga, durante la guerra franco-indiana, l’ormai anziano capitano Al è sulle tracce di Charles Queen, un pericoloso criminale divenuto corsaro della marina britannica. Per scovarlo, chiede aiuto a dei soldati francesi infiltrati a New York al fine di sabotare l’esercito nemico. Per mesi affronteranno vari gruppi di pirati comandati da Queen, disposto a tutto pur di sfuggirgli. Tuttavia, una sfida più grande attenderà Al il Nero: quella con i fantasmi del suo passato.

PROLOGO

Questo è il racconto dello schiavo che più di chiunque altro della sua razza sentì la brezza marina sul suo volto; che pianse di più per la sua schiavitù, anche solo per il ricordo. Questo è il racconto di uno schiavo con più nomi, che nascose se stesso per la vergogna, cercando di diventare qualcun altro. Questo è il racconto di Al il Nero, ma per essere compreso è d’obbligo che parta dal principio.
Al non aveva idea di quali fossero le sue origini, sapeva solo che era nato e cresciuto a Cuba, in una dannata piantagione, trascorrendo la propria infanzia sotto l’occhio vigile del suo padrone, Pedro Mendoza, un burbero sessantenne che viveva circondato dai suoi campi di tabacco in una villa al mare. Il modo in cui quell’uomo trattava gli schiavi aveva portato Al a odiarlo con tutto se stesso.
Nonostante le occasioni per uscire fuori da quella proprietà fossero rare, grazie a qualche libro trafugato dalla villa, Al era riuscito a prendere consapevolezza della propria condizione, imparando a conoscere quel mondo esterno che gli sembrava un lontano miraggio.
Anche se quasi tutti gli schiavi erano ragazzi come lui, ciò che davvero lo allietava, facendolo sentire meno solo e più felice, era la presenza di Solomon Roomash. Genero di Pedro Mendoza e migliore amico di Al, Solomon era un giovane d’alta casta inglese che, ben accetto tra gli schiavi, spesso andava a fargli visita.

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CAPITOLO UNO
Era una mattina del maggio del 1708, Al aveva quattordici anni. Stava dormendo su un’amaca in un capanno, quando uno schiavo più giovane corse da lui e nella foga lo ribaltò.
«Al! Al! Svegliati!» disse il bambino.
«Ronny! Pensi che dopo questa caduta io stia ancora dormendo? Perché lo hai fatto?»
«C’è il signor Solomon sulla spiaggia!»
Un largo e sincero sorriso mutò il volto di Al. Corse a prendere una borraccia e la svuotò sul suo viso per svegliarsi del tutto. Uscì di fretta dal capanno e continuò a camminare guardando solo quel breve tratto di costa davanti a sé, incurante del sole che batteva in piena faccia, e di ciò che lo circondava, come se quelle piante e quell’imponente villa non fossero più lì.
Non molto lontano era ancorata una piccola goletta dalla quale stavano scendendo degli schiavi che trasportavano merci e denaro. Non era quello che cercava, ma Al continuò ad andare verso la nave perché lì vicino si era radunato un gruppetto intorno a Solomon, l’aitante giovane dai gusti non troppo raffinati; e per capirlo sarebbe bastato guardare sua moglie: Blanca Mendoza, figlia di Pedro, era una ragazza scontrosa e riservata, degna di suo padre e perciò assai odiata dai suoi servi.
Non appena Al incominciò a farsi strada tra gli schiavi per vedere Solomon, con aria assai trasandata la signora Roomash uscì dalla villa e raggiunse il marito. Subito dopo arrivò anche il padrone di casa che, per la fretta di controllare i conti del suo commercio con gli europei, salutò sbrigativamente il genero e in men che non si dica si dileguò a verificare che i suoi affari stessero andando come previsto. Al contrario, Blanca abbracciò suo marito come se fosse tornato dal mondo dei morti e senza dar cenno di volerlo mollare. All’improvviso, tramutando la sua espressione in un lampo, si girò verso gli schiavi e colta dall’ira disse: «Che avete da guardare? Tornate a lavoro, così raggruppati mi state togliendo l’aria!».
Un minuto dopo, tutti erano tornati al loro posto e attorno a Solomon non c’era più nessuno, eccetto sua moglie. Al, che nel frattempo si era fermato poco distante dall’amico, fu raggiunto da un altro schiavo che lo aggiornò sui suoi compiti. Trascorse così tutta la sua giornata a inscatolare tabacco per poi caricarlo sulla goletta; a breve sarebbe ripartita insieme ad altri poveri schiavi che stavolta avrebbero dovuto fare a meno della lieta compagnia di Solomon.
Al sperava ancora, a vuoto, che prima o poi il vecchio Mendoza lo avrebbe mandato su quella goletta. Poteva contare sulle dita di una mano le occasioni in cui era riuscito a sentire la brezza marina sul suo volto. Quella sensazione lo faceva piangere perché gli dava l’occasione di provare sulla propria pelle la libertà che non aveva, ma al contempo la amava e desiderava sentirla ancora. Aveva una sola e sicura consapevolezza: la sua vita non sarebbe mai cambiata; come gli schiavi più vecchi, anche morente per la fame, sarebbe stato costretto a lavorare per tutta la sua esistenza. Erano questi i pensieri sempre presenti nella sua mente, che lo intristivano e non poco. Che senso aveva vivere per lavorare? Per risparmiare lacrime, Al evitava di darsi l’ovvia risposta. Consapevole di averne una soltanto, non si sarebbe mai privato di quella vita e, per quanto lo negasse anche a se stesso, ogni sera pregava Dio affinché la cambiasse, rendendolo libero.
Mentre Al stava lavorando avvolto nei suoi pensieri, Solomon, finalmente libero da altri impegni, entrò nel capanno e lo salutò con una calorosa pacca sulla spalla. «Ehi! Vedo che non te la passi affatto bene, negretto!»
«Sai che odio quando mi chiami così. Tornando a come me la passo, posso solo dirti che purtroppo è la solita vita, amico mio. Se quel genio del padrone continua a trattarci così, prima o poi andrà tutto a rotoli. Quando riprenderà il controllo della situazione e punirà gli schiavi, mi auguro di non essere più qui.»
«Non essere così apocalittico, Al. Senza accorgersene, spesso le cose cambiano. E non lamentarti del soprannome. È importante la storia che c’è dietro. Lo ricordi ancora? Quando sono stato qui per la prima volta anni fa e tu eri…»
«Il primo schiavo che tu avessi incontrato, la so la storia. Sento ancora in pancia quel pezzo di pane che mi portasti. Spero davvero che tu abbia ragione, Solomon. Non augurerei una vita come la mia nemmeno a quell’infame di Pedro Mendoza.»
«Hai proprio un cuore d’oro, allora. Disprezzo quel tipo quasi quanto voi, e dire che sono suo genero!»
«Sicuro di poter urlare così? Potrebbe sentirti.»
«Peccato che sia troppo occupato a contare il suo denaro. Non oso immaginare la sua reazione, se solo sentisse come si sparla di lui anche in casa sua. A proposito di quanto stavamo dicendo prima, ho sentito gli altri schiavi e sono tutti della stessa idea. Scommetto quanto vuoi che, insieme, potreste andarvene e Mendoza avrebbe appena il tempo di rendersene conto.»
«Però le rivolte non si fanno di certo dalla sera alla mattina.»
«Ovvio, ma non sono impossibili. Devi ricordare che l’unione apre tante possibilità. Comunque sia, non sono certo venuto qui per farti una predica. Fra poco devo andare al mercato e mi chiedevo se tu volessi venire con me.»
«Accetterei una boccata d’aria anche se fosse notte fonda, ma non credo di avere il permesso…»
«Non preoccuparti. Pedro mi ha detto che posso scegliere i miei accompagnatori.»
«Andiamo adesso?»
«Sì, lascia tutto ora. Oppure rimani in questo capanno, se ti aggrada di più!»
«Non scherzare! Sono pronto in un attimo.»
Al uscì pimpante dal capanno. Da tempo non oltrepassava il confine della terra di Pedro Mendoza e aveva dimenticato come fosse il mondo esterno. Solomon lo guidò fino al cancello, oltre il quale si potevano già scorgere gli alti alberi della foresta tropicale che avrebbero dovuto attraversare. Dopo poco più di un’ora di cammino, raggiunsero un piccolo paesino nascosto tra la folta vegetazione. Pur non avendo visto molto altro al di fuori della piantagione, Al era innamorato di quel luogo perché per lui rappresentava un angolo di libertà dal peso della schiavitù che, immortale e incontrastabile, sembrava piegarlo sempre di più. E poter essere lì, insieme a Solomon, piuttosto che con qualche altro schiavo dal muso lungo, lo rallegrava particolarmente. Per lui l’amico rappresentava l’emblema del bene che poteva esserci nel mondo; una persona essenziale, quasi un fratello, che lo aveva aiutato ad affrontare la sua breve esistenza fatta solo di soprusi e cattiverie.
Il tempo trascorso facendo la spesa al mercato ad Al sembrò un’eternità; volle assaporare il più possibile quel giro in città così da tenerselo stretto, con tutti i suoi dettagli, per poi ripensarci quando si sarebbe trovato di nuovo a lavorare in quel polveroso capanno.
Una volta terminati gli acquisti, si diressero verso il porto e, con una spiegazione piuttosto fumosa da parte di Solomon, si avvicinarono a una casa. «Aspetta qui fuori, devo vedere una cosa. Al mio ritorno, fatti ritrovare qui.»
«E perché? Nessuno sentirebbe la mia mancanza, anche se mi ritrovassi morto per terra» rispose Al, sarcastico.
«Se ti fa piacere sappi che la sentirei io, negretto. Ora vado. Ci siamo capiti? Voglio trovarti qui, quando ritorno!»
«Ok, amico. Non preoccuparti.»
Dopo qualche minuto dall’entrata di Solomon, Al sentì la voce singhiozzante di una donna che proveniva dall’interno della casa. «No! La supplico, per favore! Dica al signor Mendoza di aspettare ancora un po’! Devo solo accumulare pochi spiccioli per saldare il mio debito!»
«Signora, davvero, mi dispiace tantissimo per la sua situazione, ma io non posso farci nulla. Pedro mi ha detto che devo prendere il suo schiavo.»
Al, spinto dalla curiosità, con la massima discrezione sbirciò da una finestra al lato e vide un negro, di circa trent’anni, avvicinarsi a Solomon. Non appena l’amico tornò accompagnato dallo schiavo, Al ebbe giusto il tempo di osservare la donna passare dal pianto alla risata con una velocità impressionante. Interrogandosi sul perché di quell’improvviso cambiamento d’umore, si voltò verso gli altri facendo finta di nulla. Solo più avanti avrebbe compreso tutto.
«Al, lui è Albert. Da oggi starà con voi nella piantagione» disse Solomon presentandogli il nuovo schiavo, visibilmente più alto e robusto di lui.
«Piacere di conoscerti, Al, giusto?» chiese Albert, tendendogli la mano.
«Sì» rispose Al, porgendo la sua con un sorriso.
Si incamminarono verso la via del ritorno e, mentre ripercorrevano i loro passi attraverso la foresta, Solomon cercò di rompere il silenzio. «Allora, Albert, dicci un po’ di te!»
Albert sobbalzò, come se non avesse nulla da dire, ma parlò comunque: «Ehm… per circa sei anni ho lavorato con la signora Joanne Morrison, la mia padrona. È una donna incredibile, sempre ironica e solare».
«Da quello che ho vis… cioè, da quello che ho sentito da fuori non sembrava affatto così» commentò Al.
«Ehm… come posso dire? Gli ultimi tempi hanno cambiato la signora Morrison profondamente.»
«Se ti fa male toccare questo discorso, lascia stare, Albert. Comprendo che deve essere difficile staccarsi, in maniera così brusca, da una persona a cui si tiene» intervenne Solomon.
«Grazie per la sua comprensione.»

12 settembre 2019

Aggiornamento

Buongiorno a tutti, voglio informarvi del fatto che se volete un'infarinatura generale del mio stile narrativo e/o volete saperne di più sul mio libro potete sempre leggere sul social Wattpad la mia raccolta di racconti Di Intrighi e Pirati che fa da spin-off al romanzo. Il secondo racconto (Da oggi sarai Al il negretto) è disponibile da oggi ed altri usciranno a cadenza di due settimane.

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Simone De Martino
nato a Pompei nel 2005, è uno studente del liceo scientifico. Da sempre appassionato di narrativa, comincia ad abbozzare i primi racconti in giovanissima età; ma la stesura del suo primo romanzo, Al il Nero, inizia nell’estate del 2018 dopo un lungo periodo di elaborazione per terminare un anno dopo.
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