L’Europa, negli anni ’60, era ben diversa da quella di oggi e io la ricordo bene. La differenza non sta tanto nell’assetto politico, quanto nel contesto culturale e di liberazione che caratterizzava allora il continente, almeno nella sua parte occidentale.
Con questo breve racconto semiserio, un po’ avventuroso e un po’ geografico, ma tutto intriso di una certa vena di humor che lo rende leggero e divertente, ho cercato di rifare il percorso a bordo della nostra Fiat 500 (rossa), sulle ali di un ricordo ancora vivo e con l’aiuto di un diario di viaggio che gelosamente conservo.
Si incontrano personaggi, situazioni e modi di essere, oggi non più riscontrabili, se non in una forma diversa, più arida, meno aperta alla speranza, al futuro, agli altri.
Ho voluto così affidare alla carta stampata questa testimonianza prima che la realtà di allora si sciolga come neve al sole lasciando solo una traccia umida sul terreno. Chi farà il viaggio con me e Pino, il mio amico, capirà…
Perché ho scritto questo libro?
“Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella miseria, e ciò sa ‘l tuo dottore”.
Però, mi spiace per Dante, ma il lockdown, è stato, per me, un periodo di riflessione, così mi è sembrato, quasi, di esorcizzare la “miseria”, narrando un periodo felice della mia esistenza: volevo che almeno l’anima fosse libera.
E cosa meglio di un viaggio-esperienza di due ragazzi, in un mondo più bello del presente? Così la penna ha cominciato quasi a scrivere da sola e non si è più fermata…
ANTEPRIMA NON EDITATA
I PREPARATIVI AL BAR DI NANNINA
“Ahó, domattina presto, capito? Il viaggio è lungo. So’ 5000 a anda’ e 5000 a torna’!”
Con questa frase minacciosa ci eravamo congedati la sera prima, dal nostro ritrovo: “Nannina”, bar/latteria a via Crescenzio 91. L’intento era quello di arrivare alle estreme propaggini di terra norvegese dopodiché c’è solo Il mare Artico, cioè a Capo Nord.
Da Roma, in macchina, con un mese di tempo, benzina a 150 lire al litro, km circa diecimila. Soldi a disposizione circa duecentomila lire a testa in valute, le più diverse (ah, che comodità l’Euro!).
Avevamo passato tutto quel pomeriggio a programmare viaggio e tappe, tra i sogghigni, le invidie, i consigli, le approvazioni, gli entusiasmi di tutti quelli che facevano capannello attorno al tavolo tondo del bar.
Cioè, tra gli altri: Gnagnetta, Mario de’ Coccio, Scienziatello, er Cachetta, Sceriffo, er Chitara, Rodolfo er Valigiaro, Mario er Baffo. Tra l’altro Chitara era mezzo cieco per un glaucoma non curato; che avrà visto sulla cartina stradale che avevamo sciorinato sul tavolinetto? Mah! Però nessuno osò dirgli niente, perché, malgrado i nomi così pittoreschi, erano tutte persone sensibili e, direi, gradevoli, educate. Faceva un po’ eccezione er Cachetta che era ricco e lo faceva pesare. Però si riscattava subito perché era anche generoso. Spesso, infatti, giocava a carte contro chi sapeva male in arnese e, fingendo di perdere, gli dava un aiuto, senza che nessuno se ne avvedesse. Ma io me ne ero accorto: era un aiuto nascosto che non offendeva nessuno e raggiungeva lo scopo impercettibilmente.
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Comunque questo era lo spirito che aleggiava nella Roma di allora che io ho conosciuto. Quella stessa Roma dove successe una volta che con la mia Vespa tamponai un furgone del Paese Sera e, pur avendo, io, torto marcio il conducente, intenerito da questo ragazzo con la cartella e i libri (andavo alla scuola serale), prese su di sé tutta la colpa: “non te preoccupa’, metto tutto in conto ar giornale”.
Ma torniamo a noi. Fummo precisi e, alle 7, la Fiat 500, nuova, rossa, di Pino, era bell’e pronta; stavamo ultimando di caricare quello che ci serviva e avevamo il cuore che ci batteva forte come solo a 20 anni può succedere, se accade dopo può anche trattarsi di fibrillazione atriale…
In verità avremmo dovuto essere in tre e andare con la Fiat 600 di Gianni che, però, all’ultimo momento, s’era tirato indietro e, così, restammo orfani, di lui e, soprattutto, della sua potente 4 cilindri. Fu giocoforza, allora, accontentarsi della modesta due cilindri, con raffreddamento ad aria, il solo veicolo a quattro ruote di cui potevamo disporre e cioè la succitata Fiat 500 targata Roma. E questo della targa non è un fatto secondario, avemmo modo di accorgercene più di una volta.
Comunque a proposito di Gianni, a me è sempre rimasto il sospetto che non fu lui a voler dare forfait, ma fu la fidanzata, Tatina, che gli diede un out out, e lui si adeguò, senza se e senza ma.
Scusate l’interruzione, ma questo dovevo proprio dirlo, così, dopo una sessantina d’anni, se a Gianni capiterà di leggermi, saprà che l’avevo capito…
Ora proseguiamo.
Dunque, in una 500, quanta roba pensate che ci possa entrare, oltre gli occupanti i posti anteriori e non disponendo di portabagagli sul tetto per non compromettere l’apertura della capote? Beh guardate, che ce ne entra tanta!
Eravamo così organizzati. Virgilio, più grande ed esperto di noi, ci prestò, tra mille raccomandazioni, due “accessori” che aveva ideato e costruito in compensato per la sua 500. Cioè dei contenitori fatti ad hoc per essere messi a terra tra sedili anteriori e posteriori. Questi contenitori erano fatti in modo tale da sfruttare tutto lo spazio disponibile e accogliere tutto il materiale da cucina: posate, piatti, popote da campeggio, ecc, in modo che fosse tutto sempre in ordine e a portata di mano. Fornelletto a gas e bombole sotto i due sedili. Tenda da campeggio, due valige con il vestiario, i lettini per la notte, sacchi a pelo e una grossa scatola con provviste alimentari trovarono posto, non senza difficoltà, nei sedili posteriori; avevamo con noi perfino due fiaschi di vino bianco di Lanuvio. Il praticamente inesistente portabagagli fu colmato con scarpe, scarponi e quant’altro fosse utile per la pioggia, che sapevamo essere piuttosto endemica nelle zone che ci accingevamo a visitare.
Sotto siffatte spoglie zingaresche alle ore 7,30 del 29 giugno di tanti anni fa, partimmo alla volta di Capo Nord.
Io guidavo e Pino dormiva e, guardando nel retrovisore, mi accorsi che il lunotto si era tutto sporcato di schizzi di olio e, com’è noto, in quella macchina il motore sta dietro…
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