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Blake – Cronache del Continente Maestro

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Il Regno di Dorica è sul piede di guerra. Il primo Generale della Corona è giunto alla Valle dei Falchi per stanare i cospiratori che si dice abbiano appoggiato il popolo nordico degli Alarici, presunti assassini della primogenita del Re e, a detta dell’esercito, pronti a valicare i Picchi del Nord per insediarsi nei ricchi territori a sud del Regno. Le accuse ricadono su Dervis Donovan, Capo Villaggio di Wheeler e padre del giovane Blake. Il ragazzo assiste all’uccisione del padre, viene sfregiato in volto e derubato di un antico oggetto ricevuto in dono dai suoi avi, una moneta che presto scoprirà avere un valore inestimabile. Nove anni dopo, terminata la Guerra delle Trecce, Blake è pronto a vendicarsi. Divenuto meticoloso e letale, temprato da un’adolescenza infame, il giovane Donovan si lancia alla ricerca di Blind e dei suoi uomini per saziare la sua sete di vendetta e per smascherare una delle più infime macchinazioni che il Regno di Dorica abbia mai subìto.

EPISODIO I.
LA LUNGA ATTESA
Anno 1123
I giorno, I decade di Ledanill, calendario di Eryan
Regno di Dorica, confine nord-occidentale

Le nuvole cariche di pioggia cominciarono ad avvolgere la Valle dei Falchi, la vasta e verdissima distesa attraversata dall’Antico – uno dei più maestosi fiumi del Nord – e popolata dagli splendidi rapaci che da tempo immemore gli erano valsi il nome. Il grande corso d’acqua, nato tra le cime dei Picchi del Nord, scorreva impetuoso verso il Mare dei Pirati, mantenendo in ogni suo tratto una straordinaria trasparenza. Per il villaggio di Wheeler, le maestose acque del fiume, cariche di vita, erano paragonabili a una miniera d’oro. La fauna acquatica e in particolar modo i cefali garantivano al villaggio e ai suoi abitanti di cui vivere e in modo più che dignitoso. Le barcacce di Deivan, la città costiera diverse miglia più a sud, facevano a gara per accaparrarsi i carichi più freschi.
Wheeler era un antico villaggio posizionato sulla foce del fiume, poco distante dalla Baia delle Meduse. Le abitazioni e i magazzini erano stati costruiti sulla sponda nord del delta, così come gli attracchi per le imbarcazioni.
Il patrimonio ittico dell’Antico e delle coste del Mare dei Pirati aveva fatto di Wheeler un posto ambito in cui vivere nonostante l’inverno fosse piuttosto rigido, soprattutto quando il Glaciale, il gelido vento proveniente dai Picchi del Nord, cominciava a soffiare.

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La Corona aveva imposto al capo villaggio e ai suoi popolani una tassa piuttosto salata, pretesa ogni mese dagli esattori del Re, un’imposta sproporzionata ma comunque gestibile.
Per il popolo di Wheeler, una comunità di ottocento anime circa, i veri problemi con il Regno cominciarono dopo le prime presunte incursioni degli alarici, la popolazione che dalla grande isola di Alarin era sbarcata sul continente decisa, si narrava, a ripagare Re Jonas Bedlyn con la sua stessa moneta: invasione, morte e distruzione. Conquistata Rocca Pallida e radunatisi sui Picchi del Nord, gli alarici, comandati dal loro Re, il temibile condottiero Vakin Grande Treccia, stavano attendendo il momento giusto per agire. Wheeler sarebbe stato uno dei primi villaggi del Regno, a nord-ovest, a interagire con gli invasori. Qualcosa fece pensare alla Corona che questa interazione fosse già avvenuta…
Re Jonas Bedlyn, su consiglio del suo Generale, decise di spostare i suoi eserciti lungo tutta la catena montuosa dei Picchi del Nord, da Deivan a Valican, pronto ad affrontare l’invasione e a riprendersi Rocca Pallida, l’ultima roccaforte a nord che dava sullo Stretto dei Ghiacci. Decise di farlo da solo, senza il supporto del Regno di Dragomare, con il quale perdurava la pace da numerose generazioni.
L’esercito era giunto, la guerra incombeva e a Wheeler tutto era cambiato: i commerci si erano interrotti da mesi e la presenza saltuaria ma incisiva dei miliziani della Corona, alcuni dei quali dediti più alla razzia che alla salvaguardia dei sudditi, era diventata un serio problema.

***

Udito l’ennesimo tuono e controllato ancora una volta il carico consistente di pesci appena pescati e raccolti nella nassa di vimini, Blake Donovan decise di rincasare. Nonostante la sua giovane età, il ragazzo si era dimostrato forte, agile e soprattutto utile, almeno quanto gli adolescenti iniziati al lavoro dal capo villaggio, suo padre.
Dervis Donovan, durante gli equinozi di primavera, sottoponeva i ragazzi che avevano compiuto sedici anni al rito delle acque, una cerimonia iniziatica che consisteva nell’attraversamento del fiume in un punto preciso, dove le acque scorrevano con estrema veemenza. Il capo villaggio assicurava personalmente la corda di canapa legata al Maestro vigile – un possente pioppo tremulo – alla vita dei giovani uomini e assieme agli altri anziani seguiva l’attraversamento con grande attenzione, pronto a intervenire laddove le cose fossero andate per il verso sbagliato. Il giovane Blake e il suo amico Lyo Darren avrebbero affrontato quel rito di passaggio, ufficialmente, nel giro di due lunghi anni. Tuttavia, sfrontati e incuranti del pericolo, avevano sfidato l’Antico già tre volte senza la supervisione di nessun adulto. In una di quelle occasioni, Lyo era scivolato battendo la testa e solo la prontezza di riflessi di Blake aveva scongiurato la tragedia. Il rito delle acque, quello ufficiale, rendeva i giovani uomini adulti, plasmando i loro valori e la loro saggezza. Blake non avrebbe mai avuto modo di affrontarlo, il destino gli aveva riservato un futuro molto più oscuro.
«Padre, sono a casa» disse il ragazzo poggiando la nassa a terra vicino alla porta d’ingresso. Il sorriso di Blake scomparve immediatamente. Dervis era seduto nel salone dinanzi al camino spento, teneva tra le mani una lettera, la cera nera del sigillo era frantumata ai suoi piedi. Aveva visto suo padre seduto in quel modo solo un’altra volta, quando di anni ne aveva sei, il giorno in cui sua madre perse la vita.
«Chiudi tutte le porte coi chiavistelli, ragazzo, tranne quella sul retro» disse l’uomo senza neppure voltarsi. Stava succedendo qualcosa e non era nulla di buono. Senza ribattere alcunché, il giovane Donovan eseguì gli ordini del padre che nel frattempo aveva cominciato ad accendere il fuoco nel camino.
Il ragazzo tornò nel salone, una sorta di stanza dei bottoni del villaggio. Spesso di fatto gli anziani si riunivano in casa sua, proprio dinanzi al camino, per discutere le faccende di Wheeler. Blake sin dalla più tenera età si nascondeva sulle scale che davano alle stanze del primo piano per ascoltare ciò che si decideva.
«Ebbene?» domandò Blake cercando di capire cosa stesse succedendo.
Il fuoco divampò scaldando i suoi abiti umidi.
«Stanno arrivando, il Generale Blind e i suoi uomini stanno venendo qui» rispose il padre volgendo lo sguardo su suo figlio.
«Cosa vogliono? Che succede?» riprese Blake sempre più spaventato.
Dervis gettò la lettera che aveva tra le mani nel fuoco. «Devi scappare, prendi la moneta di Akanto, è sul tavolo, e vai a sud, a Deivan, alla Locanda del Sale… chiedi del Gobbo, lui saprà cosa fare.»
Il ragazzo non ebbe modo di fare altre domande: il rumore sordo di numerosi zoccoli sul pesante manto erboso attirò la loro attenzione. Un gruppo di uomini a cavallo avanzava rapido verso la loro abitazione. Dervis si avvicinò alla finestra e vide almeno dieci cavalieri, uno di loro portava lo stendardo reale, quattro soli su uno sfondo blu notte.
La luce della Casata Bedlyn risplende su tutto il popolo, si diceva. La luce della Casata Bedlyn risplende anche di notte e ha la potenza di quattro soli…
«Vai di sopra, nasconditi! E appena puoi sgattaiola via!»
Blake prese la moneta dal tavolo e corse verso le scale. Si fermò nella postazione strategica che abitualmente adoperava per origliare i Consigli del villaggio.
I cavalieri si fermarono dinanzi alla casa dei Donovan, tre di essi scesero e con estrema calma, nonostante la pioggia avesse cominciato a battere, si avvicinarono alla porta d’ingresso.
«Dervis Donovan, facci entrare, veniamo per conto della Corona» disse uno dei cavalieri.
Il padre di Blake non rispose e non si mosse. Prese tempo per dare a suo figlio modo di trovare un nascondiglio che potesse permettergli di fuggire non appena ne avesse avuto l’occasione. Sapeva quanto Blake fosse sveglio ma avrebbe comunque dovuto concedergli più tempo possibile.
«Dervis – intervenne uno degli uomini scesi da cavallo –, evitiamo questa farsa, facci entrare e parliamo da uomini. Se il tuo cavallo è qui fuori, il tuo culo è sicuramente lì dentro. Non farmi perdere la pazienza.» La voce del Generale era roca, il suo tono intimidatorio.
Ancora nessuna risposta. Blind fece un cenno a uno dei suoi sgherri. L’uomo al suo fianco si avvicinò al cavallo di Dervis Donovan. Lo accarezzò e disse: «Buono… un animale fantastico… crini foltissimi e ondulati… impeccabile mantello morello… robusto, possente, infaticabile… un esemplare straordinario». Poi, con un gesto potente e repentino, Jake Cornell detto il Vento aprì la gola dell’animale con una lama affilatissima. Il cavallo cominciò a scalciare, a dimenarsi, a strattonare il palo di legno a cui era stato legato, lacerando ancora di più la profonda ferita. Il sangue fuoriusciva a fiotti dalla sua gola, un taglio netto in un punto preciso, studiato. L’animale non ebbe scampo, i suoi nitriti colpirono il cuore del capo villaggio come dardi avvelenati. Passarono diversi interminabili minuti, dopodiché l’animale si accasciò a terra e si lasciò morire.
«Credimi, Dervis, potremmo riservare lo stesso trattamento a tutti i cavalli della tua comunità – riprese il Generale – e poi a tutti gli uomini… quindi penso che tu debba aprire questa dannata porta e farci entrare.»
Il padre di Blake si decise, non poteva fare altrimenti. Gli uomini del Generale Blind erano paragonabili alla feccia dei sobborghi di Deivan, troppo pericolosi per non essere presi sul serio. Aprì i chiavistelli e poi la porta d’ingresso. Vide il suo cavallo a terra. Avrebbe voluto correre dall’inseparabile amico per salutarlo un’ultima volta ma desistette, cercò di mostrarsi ancora più forte di quanto in realtà già fosse. Abbassò lo sguardo e invitò il Generale e i suoi uomini a entrare.
«Decisamente una serie di pessime scelte, mio caro Dervis – disse Blind entrando per primo nella casa del capo villaggio –, per alcune di esse ci vuole coraggio, lo riconosco… per altre, come ad esempio non aprirci la porta al primo avviso… avresti potuto risparmiare la vita del tuo cavallo…»
Blake da sopra le scale vide per la prima volta il Generale. Era un uomo ancora piuttosto giovane, alto molto più della media, robusto. I suoi capelli come i suoi lunghi basettoni erano neri, folti e poco curati. I suoi occhi erano castani, piccoli e leggermente incavati. Indossava il busto di una pregiata armatura di piastre – sulla quale era stato inciso il simbolo di una torre – e un mantello blu scuro per metà infangato dal quale s’intravedeva l’elsa di una lunga spada.
«Stavo sbrigando delle faccende al piano di sotto, nella cantina – rispose Dervis Donovan infuriato –, non vi ho sentito, maledizione! Per quale motivo pensate che non abbia voluto aprirvi? Perché avete ucciso il mio animale? Farò rapporto alla Corona per quello che avete fatto!»
«Calma i bollori, Donovan, non sei nella posizione per minacciare» rispose il Generale, sfoggiando un sorriso beffardo e mostrando la sua dentatura storta e giallastra. «Possiamo accomodarci?» chiese come se nulla fosse successo.
Dervis si limitò a fare un cenno con la mano per invitarli a sedersi mostrando tutto il suo disappunto.
Blind e i suoi due uomini si misero comodi. Cornell aveva ancora in mano il pugnale affilato con cui aveva sgozzato il cavallo. Si sedette poggiando i piedi sul tavolo. Estrasse un fazzoletto di velluto rosso e pulì la lama dai residui di sangue.
Blake osservava la scena dall’alto. Attento a non farsi vedere, era sdraiato sugli scalini di legno e teneva stretta in mano la moneta di Akanto. Aveva sentito parlare di colui che chiamavano il Vento, una figura sinistra quanto letale. L’uomo al servizio del Generale era di media statura, dal fisico asciutto e nerboruto. Aveva i capelli di un nero corvino, lunghi sino alle spalle e raccolti in una coda. I suoi occhi erano leggermente allungati e di colore verde, il naso aquilino e le labbra sottili. A differenza del Generale, Cornell non indossava il mantello della Corona. Questo permise al ragazzo di scorgere la sua armatura di cuoio, che sembrava essere un tutt’uno con la sua pelle tanto era aderente. Alla cintura portava due foderi per pugnali, entrambi a destra. L’arma ancora rinfoderata sembrava essere identica a quella che stava pulendo.
Il Generale Blind soffermò per un attimo il suo sguardo sul camino Jarite.
«Per noi uomini della Gola del Drago, le temperature qui a nord sono pungenti, piuttosto rigide per l’autunno, questo è sicuro… per voi immagino debba fare ancora caldo… ed è strano vedere il camino acceso… Adesso che ci penso in tutta Wheeler l’unica casa fumante è la tua. Sia mai che tu abbia dovuto bruciare qualcosa in tutta fretta?»
Blind non era solo un temibile guerriero, la sua arguzia gli aveva permesso, almeno quanto i suoi terribili fendenti, di divenire il primo Generale del Regno. L’uomo si alzò e cominciò a camminare verso il capo villaggio. Dervis era rimasto in piedi dinanzi al fuoco. La sua bocca era secca, la sua lingua asciutta, dalla fronte sgorgavano perle di sudore. I passi lenti e pesanti del Generale mettevano i brividi. In tutta Dorica si diceva che alla pigra camminata di Blind susseguiva sempre un attacco violento. Questo temibile metodo gli era valso il nome di Caimano. Dervis vide la sua fine avvicinarsi. Poi, d’un tratto, il Generale si fermò. Aveva calpestato qualcosa. Si chinò e prese tra le mani i frammenti di cera nera che il padre di Blake aveva lasciato cadere a terra nel momento in cui aveva aperto la lettera.
«Cera nera…» disse il Generale voltandosi dapprima verso i suoi uomini, poi volgendo lo sguardo nuovamente su Dervis. «Avevo ancora qualche dubbio sul tuo conto, Dervis Donovan, ora ho parte delle prove che ti rendono un traditore della Corona. Immagino che il resto sia cenere oramai, ma tanto mi basta.»
Cornell e il terzo individuo entrato in casa si alzarono a loro volta. Blake si irrigidì nel vedere il padre circondato ma mantenne i nervi saldi e non fece alcun rumore. Scorse la figura dell’altro uomo che accompagnava il Generale: non portava abiti da guerriero, indossava vesti civili, nobili. Il suo aspetto era curato, la sua pelle chiara, gli occhi azzurri e i capelli biondo cenere.
Rey Silver era un diplomatico, il consigliere personale del Generale Blind, meglio noto come il Principe nonostante non appartenesse ad alcuna nobile casata.
«Cosa state insinuando?» disse Dervis indietreggiando verso il camino. Il padre di Blake non indossava alcuna armatura, portava una camicia bianca e un paio di calzoni di tela spessa, ma celava un pugnale nel suo stivale destro.
«Deduzioni, che a quanto pare si sono rivelate veritiere» intervenne Silver.
«Ho diritto di sapere di cosa sono accusato» rispose prontamente Dervis.
«Pensiamo – continuò il consigliere di Blind – che tu stia tramando contro il Regno…»
«Menzogne!»
«Ah, menzogne – incalzò il Principe –, e allora spiegaci: come è possibile che la tua comunità, con una guerra alle porte, sia così calma e tranquilla… capisco sul mare, con la flotta reale attraccata a Deivan potreste sentirvi tutelati, ma la Valle dei Falchi, così scoperta e a rischio invasione… Suvvia, raccontaci quale assurdo accordo hai stretto con quei barbari, dicci chi sono i tuoi agganci e qual è il piano dei nemici della Corona. Se così sarà, verrai condotto a Forte occidentale per essere processato regolarmente.»
«Se permetti – intervenne Cornell –, vorrei sapere anche chi è la spia che gli ha riferito del nostro arrivo.»
«Ebbene, aggiungiamo anche questa risposta» concluse Silver.
Dervis non rispose.
«L’alternativa – disse il Generale – è la morte seduta stante… ovviamente, dopo aver cercato tra le tue viscere le risposte che vogliamo…» Il volto di Dervis Donovan cambiò espressione, il pallore scomparve per dare luogo al rossore di una rabbia celata da tempo. Anche la sua postura da difensiva divenne più spregiudicata. In cuor suo aveva capito che in ogni modo sarebbe morto, per questo decise di combattere.
«Io non so di cosa stiate parlando, Generale, probabilmente voi e i vostri uomini siete stanchi dal lungo viaggio e avete bisogno di riordinare le idee… tuttavia, non mi lasciate altra scelta… non me ne starò inerme a farmi ammazzare.»
Il padre di Blake estrasse con maestria il pugnale occultato nello stivale destro.
«Risolviamo la questione fuori – aggiunse allontanandosi dal camino – non voglio imbrattare di sangue questa casa che ho costruito con le mie mani… su gentile concessione del Re.» Scosse la testa dimostrando tutto il suo disappunto, nelle parole e nei gesti.
«Ahahah!» Il Generale scoppiò in una fragorosa risata, che come un tuono riecheggiò in tutta la casa. «Decido io dove e come morirai, Donovan.» Blind estrasse la sua spada bastarda, la lega di metallo con cui era stata forgiata la lama l’aveva resa scura, quasi nera. Levò in alto il braccio destro, poi indicò con la spada il suo umile avversario.
In quel momento, le speranze di Dervis di risolvere la tenzone all’esterno per permettere a suo figlio di scappare dalla porta sul retro al piano terra svanirono tristemente.
«Signori, potete accomodarvi e godervi lo spettacolo» aggiunse il Generale, mantenendo un atteggiamento spocchioso, irrispettoso e irrisorio.
Dervis Donovan non era mai stato un condottiero, uno di quei valorosi guerrieri ricordati nei grandi tomi dei Cantanisti, l’ordine degli Storici che tramandava nei secoli gli avvenimenti del Continente Maestro; non aveva doti eccezionali o poteri soprannaturali come quelli attribuiti ai grandi saggi, uomini dalla mente speciale, miti e leggende di quei tempi; ma l’amore per il suo unico figlio e la sua battaglia personale lo resero un avversario tutt’altro che prevedibile.
Cornell e Silver si sedettero a osservare. Il Generale Blind fece il primo affondo, una stoccata diretta al petto dell’avversario. Dervis ebbe la prontezza di riflessi per schivare la spada e spostarsi alla sinistra dell’uomo del Re. Con rapidità inflisse il suo colpo, ma il pugnale del capo villaggio riuscì solamente a trapassare il mantello del Generale sfiorando l’armatura.
«Bella schivata, Donovan, pessimo colpo…»
A Blind bastò roteare su se stesso di quarantacinque gradi per disarmare il nemico. Contemporaneamente tentò di colpirlo con l’elsa della spada. Ancora una volta Dervis fu in grado di schivare il colpo abbassandosi. Indietreggiò e uscì dalla mischia avvicinandosi nuovamente al camino dando le spalle al suo avversario.
Il Generale sorrise: «Presto potrai scaldarti tra le braccia di Zaeufna, amico mio…».
Blind cominciò la sua famosa camminata. Passo dopo passo, lentamente, si avvicinò al suo bersaglio. Indispettito dalle schivate di Dervis, il Generale decise di fare sul serio, il suo prossimo colpo sarebbe stato letale.
Il respiro del padre di Blake si fece più affannoso, poi, sempre con estrema agilità, quando Blind si trovava ormai a pochi passi da lui, si voltò di scatto e lanciò un altro pugnale che aveva celato precauzionalmente sotto una trave di legno. Incredibilmente il colpo andò a segno. Il pugnale oltrepassò l’armatura del guerriero conficcandosi nel pettorale destro di Blind.
Il Generale interruppe la sua camminata senza emettere alcun gemito. Il sangue cominciò lentamente a fuoriuscire dalla ferita. Blind guardò il pugnale infilzato nelle sue carni e le sue pupille si strinsero divenendo due piccoli puntini neri, dopodiché tornò a osservare il suo avversario.
Dervis Donovan era incredulo, lo aveva colpito. La stessa espressione di stupore si materializzò nei visi di Cornell e di Silver. Il primo dei due fece immediatamente per alzarsi. Blake, dall’alto dei gradini della sua casa, sorrise speranzoso. «Fermo» intimò Blind al suo compagno. Poi, come se fosse una cosa naturale, l’uomo estrasse il pugnale. Un fiotto di sangue sgorgò copioso.
Silver sapeva cosa stava per accadere, da lì a poco Dervis Donovan avrebbe salutato questo mondo e lo avrebbe fatto senza aver fornito alcuna delle risposte che cercavano, così tentò di intervenire: «Generale, possiamo ancora riuscire a farci dire…».
Il Generale Terrance Blind, alto ufficiale del Regno di Dorica, prossimo signore di Forte occidentale e dei territori di nord-ovest, cominciò la sua carica. Teneva la spada bastarda con entrambe le mani e nonostante la stazza imponente i suoi movimenti sembravano fluidi come quelli di un grande rettile. Dervis Donovan provò in tutti i modi a schivare nuovamente l’attacco ma questa volta non ci fu nulla da fare. Blind, arrivato a un passo da Dervis, si era leggermente inchinato verso il basso e da quella posizione aveva esploso un terribile colpo verso l’alto. La spada bastarda del Generale trapassò il padre di Blake, la lama penetrò tra le costole frantumandole, trafisse un polmone e uscì dalla schiena dell’uomo scheggiandogli la scapola sinistra. La spinta fu talmente forte che la spada penetrò interamente, sino a quando la guardia dell’elsa non ne bloccò la micidiale corsa.
Il cuore di Dervis Donovan cessò di battere, nello stesso momento Blake sgranò gli occhi terrorizzato e senza accorgersene si lasciò sfuggire dalle mani la moneta di Akanto. Il silenzio surreale che si era creato fu interrotto dal tintinnio sordo del metallo caduto sul pavimento in legno. Cornell e Silver si voltarono e videro il ragazzo accovacciato sulle scale.
«Bene, bene, bene» disse Cornell indicando al suo compagno il ragazzo impietrito. Il Principe diede una rapida occhiata, era decisamente più assorto nell’osservare la moneta. «Piovono monete di Akanto dal cielo, siamo proprio fortunati» disse avvicinandosi all’oggetto. La raccolse: «E che moneta, conosco gente che per averla sgancerebbe un sacco di soldi!».
Il Generale estrasse la spada dal corpo inerme di Dervis. Il cadavere del padre di Blake caracollò a terra assumendo una postura innaturale. Blind si voltò, vide la moneta nelle mani di Silver e successivamente il ragazzo.
«Cosa facciamo, Generale?» chiese Cornell.
«Quello che volete» rispose con freddezza incamminandosi verso l’uscita. Terrance Blind era solito comportarsi in quella maniera. Ogni volta che toglieva la vita a una persona in un duello – e quello con Donovan poteva considerarsi tale – entrava in uno stato di trance tale da doversi allontanare da tutto e da tutti. Quella sensazione svaniva presto ma durante quello stato di coscienza il Generale diveniva estremamente pericoloso.
Udite quelle parole, Blake cercò di rinsavire. Scattò in piedi e cominciò la sua fuga.
«Intanto lo prendo» disse colui che chiamavano il Vento. I suoi movimenti erano così rapidi che nel giro di poco fu addosso al ragazzo. Lo prese per la camicia di tela. «Fermati, non rendere le cose più difficili.»
Blake Donovan non riuscì a reagire. In un’altra occasione, qualunque fosse stato il suo avversario, più grande d’età o più robusto, avrebbe cercato di sgusciare via in ogni modo. Sapeva farlo e avrebbe potuto provarci ma quella volta desistette, nonostante la sua stazza a soli quattordici anni fosse paragonabile a quella del suo aguzzino.
Cornell trascinò Blake al piano terra.
«Gran bella moneta» disse Silver con la sua solita affabilità, rivolgendosi al ragazzo. Blake aveva gli occhi arrossati dalle lacrime e lo sguardo perso. «Sei suo figlio?» chiese il Principe indicando il cadavere di Dervis.
Blake annuì.
«Quanti anni hai?» Blake non rispose. «Nonostante la tua corporatura, direi… quindici anni, ho indovinato?»
Nessuna risposta.
Blake era in ginocchio. Il Principe si avvicinò al ragazzo e si accovacciò per guardarlo negli occhi.
«Dimmi: tu sapevi che tuo padre era un traditore, che tramava alle spalle del Regno? Sai dirci qualcosa a riguardo?»
Nonostante il terribile sconforto, Blake resse lo sguardo e anche quella volta non rispose.
«Questa moneta? Te l’ha data lui? Sai che valore ha?» chiese, indicando ancora suo padre.
Nessuna risposta.
«Lo so io che valore ha, la prendo io» intervenne Cornell.
Silver sorrise: «Non crederai davvero alle storie che raccontano i bardi su quelle monete?».
«Tu non preoccuparti e dalla a me.»
«Come vuoi» rispose il Principe lanciandola al suo compagno. Silver sapeva che neppure lui sarebbe uscito vivo da quella stanza se non avesse lasciato la moneta a Cornell. Quell’uomo era un serpente velenoso, un individuo senza valori e senza remore, avrebbe infilato le sue lame affilatissime nel ventre del Principe e in men che non si dica sarebbe riuscito a creare uno scenario alternativo, talmente ponderato da renderlo credibile persino agli occhi del suo Generale.
Cornell la prese al volo.
«Lui non sa niente – aggiunse Silver con disappunto –, io raggiungo il Generale.» E così fece. Il giovane Blake si trovò dinanzi allo spietato assassino di Blind. Cercò di rimettersi in piedi ma l’uomo lo spinse nuovamente a terra con la suola dello stivale.
«Stai buono… io non sono così convinto che tu non sappia nulla… avanti, marmocchio, dimmi cosa sai!»
Mentre parlava, Cornell osservava avidamente il suo nuovo tesoro. Non avendo ottenuto nessuna risposta, mise la moneta nel borsello di cuoio che portava legato alla cintura e fece roteare in aria il suo pugnale. Quando ebbe nuovamente nel palmo della mano il manico finemente lavorato, avvicinò la lama al viso del ragazzo.
«Ti hanno mozzato la lingua? Non capisci in quale situazione ti trovi? Sei più testardo di quei fottuti Alarici… Quando catturiamo le spie di quei barbari schifosi solitamente impiegano meno tempo per parlare. Facciamo così, ti risparmio la vita solo perché in cambio, diciamo… mi hai lasciato una bella fortuna – diede un paio di colpetti al borsello – tuttavia, puzzi di Alarico almeno quanto puzzi di pesce… anche se i tuoi capelli sono scuri, i tuoi occhi brillano di grigio… penso che il tuo vecchio non solo facesse accordi con quei maiali ma addirittura se li fottesse!» Sputò per terra. «Le fiche delle donne del nord sono più larghe, dicono, non avrà fatto fatica quella troia di tua madre a farti venire al mondo.»
Detta l’ultima nefandezza, Cornell compì un movimento talmente rapido che il ragazzo neppure se ne accorse. La lama del Vento lo aveva sfregiato in volto, un taglio che attraversava tutta la parte sinistra del suo viso sfigurandogli il sopracciglio, l’occhio, la guancia e persino parte del mento. Il sangue cominciò a uscire e Blake sentì un dolore inteso e pulsante. Urlò e si accasciò a terra.
«Il tuo viso era troppo pulito… ora puoi entrare di diritto nella cerchia dei tuoi simili…»

Anno 1132
III giorno, II decade di Dunill, calendario di Eryan

La guerra tra il Regno di Dorica e gli Alarici, definita Guerra delle Trecce, è durata nove lunghi anni. Re Jonas Bedlyn ha respinto l’invasione dei popoli del Nord ripulendo parte delle montagne e reimpossessandosi di Rocca Pallida. Il suo nome è divenuto leggenda e la sua fama è riconosciuta su tutto il continente e forse oltre. Vakin Grande Treccia, il Re condottiero Alarico che ha guidato le invasioni, sconfitto in battaglia, è stato giustiziato in pubblica piazza, a Dorian; suo figlio Jari, così come moltissimi altri del suo popolo, è tutt’oggi prigioniero della Corona. I superstiti hanno ripiegato a Stella del Nord, ancestrale dimora della leggendaria Regina Bianca, nelle lande di ghiaccio della grande isola di Alarin. Il Generale Blind è divenuto signore dei territori di nord-ovest e uno degli uomini più potenti della Corona. La sua influenza di fatti copre oltre 1500 miglia di terra e le fortezze di Rocca Pallida, Deivan, Città della Luna e Forte occidentale, sua dimora.

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Commenti

  1. Roberto Domizi

    (proprietario verificato)

    All’inizio l’autore introduce il.motivo per cui Blake intraprende il viaggio. Genere fantasy scritto molto bene, come non ne leggevo da anni! Combattimenti personaggi e ambiaentazioni descirtti in modo fantastico!!!! Ogni pagina del libro c’e’ un colpo di scena che stupisce! Mi sono gia affezzionato a Blake, Lyo e Enika….e visto che e’ una saga aspetto il seguito per innamorami di nuovo di Blake, Lyo e Enika!
    Bellissimo fantasy a sfondo storico consigliatissimo!

  2. (proprietario verificato)

    Ne vale certamente la pena!!!!! Un racconto avvincente, ben ideato e una lettura piacevole per chiunque…un viaggio intricato e mai scontato per appassionati della letteratura sempre più rara dei mondi di mezzo, tra medioevo e fantasy. Nello stile, fa sognare un fantastico crossover con o contro il mitico Drizzt! 😉

  3. (proprietario verificato)

    ho iniziato la lettura sono al 4° capitolo e diventa sempre più interessante e coinvolgente.

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Cristiano Nesta
nato a La Spezia nel 1983, si laurea in Cultura Editoriale e Giornalismo. Oggi è responsabile della formazione per un’azienda privata di Parma. Dopo il suo romanzo thriller Sul- la lama dei ricordi (2010), Cronache del continente maestro. Onore e vendetta è il primo libro della saga fantasy di Blake.
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