Come ci è finito qui? Questo mi ha chiesto la signora Minelli oggi. Come ci è finito dietro questa scrivania, questo camice troppo piccolo addosso, che le stringe i polsi come salami, i capelli scarmigliati, le borse pesanti sotto gli occhi, il volto vuoto e trasparente come quello di un fantasma. Ed io non credo ai fantasmi, ha aggiunto. Ma lei lo è dottore, lo è eccome.
Non ho risposto, ovviamente. Le ho detto di sdraiarsi, le ho auscultato il cuore, le ho tastato l’addome, e come al solito non c’era niente. Credo che la signora Minelli sia molto sola e si diverta a venirmi a trovare alla ricerca di un po’ di compagnia. Normalmente parla di lei, delle sue giornate. Potrei ripetere a memoria i suoi discorsi. Ma oggi mi ha spiazzato con la sua domanda. Come ci sono finito qui.
E lei come ci è finita qui, vorrei chiederle. Siamo qui come sono qui tutti. Non importa se vogliamo esserci o no. Semplicemente siamo, e tant’è. E poi, che parola grossa siamo. Io non sono un bel niente. Sono finito, ecco cosa, e non sono finito qui, sono finito in generale. È un ottimo spirito con cui andare a salvare vite. Ma a chi vogliamo raccontarla, nella mia carriera di medico avrò salvato due vite in tutto, e sto esagerando. Per il resto, mi limito a prescrivere antibiotici per curare l’otite e a tastare addomi di vecchine annoiate con niente di meglio da fare che tormentarmi.
Eppure, la signora Minelli sembra serissima. Mi scruta da sopra gli occhiali tondi, sorride, ma è un sorriso quasi di scherno. Vorrei sapere cos’ha da prendere in giro. Chi sta meglio tra noi due? Hanno più senso i miei polsi grassi stretti nel camice o le sue patetiche chiacchiere sulla vicina che ha comprato dei nuovi gerani? Chi lo sa. Ai posteri l’ardua sentenza. Ma è probabile che né la signora Minelli né io avremo mai dei posteri a cui lasciare la nostra mal giudicabile insignificanza.
Le prescrivo un antidolorifico per una settimana: non si preoccupi, è sana come un pesce. Non fosse per la putrefazione che già emana il suo corpo, mi ritrovo a pensare, ma ovviamente non lo dico. Sorrido. Ci vediamo presto. A presto, dottore. La smetta di mangiare così tanto, che poi il camice non le entra più.
Ridicolo.
La signora Minelli è morta. Sono dovuto andare a casa sua per dichiararlo ufficialmente. È stata la vicina a scoprirlo, perché la signora non apriva la porta da giorni. Perfino il gatto era fuggito in cerca di cibo. Così la vicina ha chiamato i pompieri, che risoluti hanno sfondato la porta. La signora Minelli riposava serenamente sulla poltrona, davanti alla tv accesa su un canale di televendite. Non aveva niente che non andava: il viso era disteso, l’espressione rilassata. Era morta.
Firmo qualche scartoffia, ascolto i gemiti lamentosi della vicina, perché stava così bene dottore, non conoscevo nessuno di così in forma, qualche acciacco qua e là, ma chi non li ha alla nostra età. Mi limito ad annuire.
Lascio l’appartamento che è ormai l’imbrunire, mentre gli uomini delle camere ardenti si organizzano per portare via il corpo. Davanti al portone, trovo un gatto. È grigio, a macchie bianche, e miagola fissando coi suoi occhi fulgidi lo squarcio di buio che si intravede oltre l’entrata del condominio. Immagino sia il povero gatto della signora Minelli. L’unico che la conosce, l’unico a cui forse importava. Ma non poi così tanto visto che se n’è fuggito per trovare del cibo. Ce ne facciamo poco dei sentimenti quando moriamo di fame, animali o umani che siamo. Mi accuccio a terra e il gatto si avvicina. Annusa le mie dita, si lascia accarezzare. Siamo uguali io e te, penso. Soli e alla ricerca di cibo. Mi guardo intorno, poi lo prendo in braccio. Silenziosamente, mi incammino verso la macchina.
Dopo aver lasciato il gatto a casa davanti ad una scatoletta di tonno per cena, raggiungo il bar. Mirco mi sta aspettando. È già seduto al bancone, una media che lampeggia giallognola davanti a lui. Alza gli occhi proprio mentre svolto l’angolo, saluta con un ampio gesto della mano. A fatica mi arrampico sullo sgabello accanto al suo, ordino una pinta e delle patatine.
«Non ti ha insegnato niente la facoltà di medicina. Il colesterolo alto fa male».
Mirco parla con tono scherzoso, ma vuole essere anche un bonario rimprovero. E pensare che un tempo ero io quello giudizioso. Come cambiano le cose senza che davvero possiamo rendercene conto.
«So cosa insegnano a medicina. Semplicemente ho deciso di ignorarlo».
«Un brindisi a questo, allora».
«Cin cin».
Sorseggio la birra, e inaspettatamente penso alla signora Minelli. Bevo un sorso in suo onore.
«Com’è andata la tua giornata?» domanda Mirco.
«Una paziente è morta».
Mirco mi guarda: «Mi spiace».
Alzo le spalle: «Cose che capitano. Era anziana».
«Beh, comunque mi dispiace».
Non lo sopporto. Non sopporto quella compassione. Non lo fa apposta, è ormai diventato l’unico modo per relazionarsi con me. Ci sono abituato. Ma ogni volta è come se i suoi occhi smeraldini mi facessero la stessa domanda della signora Minelli. Cambio argomento.
«La tua ricerca?».
Mirco sembra imbarazzato mentre sorride. Prende un sorso di birra, poi dice: «Hanno deciso di pubblicarla».
«Wow, congratulazioni».
Gli porgo la mano, il mio amico la stringe.
«Complimenti, davvero».
«Grazie. E ti ricordi Giglioli, il nostro relatore?».
«Certo».
«Ha chiamato quel pezzo grosso che mi aveva presentato anni fa, a cui aveva fatto leggere la mia tesi. Gli ha presentato la mia ricerca e lui ha deciso di supportarla. Verrà all’università a tenere qualche lezione ai miei studenti come professore ospite, e anche per lavorare con noi sul proseguimento della ricerca».
Sorrido: «Meraviglioso».
Ignoro lo sguardo di commiserazione che mi rivolge Mirco.
«Mi piacerebbe la leggessi anche tu, Max, e mi dessi il tuo parere».
Scoppio a ridere: «E perché dovrei farlo? È già bella e pubblicata, la tua ricerca».
«Cosa c’entra? Sai quanto conta per me la tua opinione».
«Lo so, Mirco. Ma, davvero, non serve».
«Anche Lisa l’ha letta. Manchi solo tu. Come ai vecchi tempi».
Impercettibilmente sobbalzo, ma sono abbastanza sicuro che Mirco non se ne sia accorto. Scuoto la testa, mantenendo un’espressione distesa, senza però riuscire a trattenere un sospiro.
«Non voglio deluderti, ma credo che i vecchi tempi non ci siano più, Mirco».
«Max…».
«Ho trovato un gatto, oggi».
Mirco si interrompe e si mette a ridacchiare: «Un gatto, che cosa?».
«Già, un gatto. L’ho rubato alla paziente che è morta».
Mirco si porta una mano alla bocca, scuotendo la testa: «Dio, non ci credo».
«Credici».
«Sei tremendo».
«Un brindisi a questo, allora».
Mirco alza il boccale, io lo imito.
«Cin cin».
Verso le undici, lasciamo il bar. Ci salutiamo davanti alla macchina di Mirco. L’aria notturna della città è ancora frizzante, ma in giro ci sono più persone del solito, come se il solo miraggio della primavera fosse sufficiente ad attirare la gente per strada. Con un gesto secco, alzo il bavero della giacca.
«Ti aspettiamo domani per pranzo, allora?» domanda Mirco.
Vorrei semplicemente dire di no, non me la sento, non ho voglia di vedere persone, di fare finta che vada tutto bene, che quello che sta succedendo non mi dia fastidio. Ma non ne ho il coraggio. Non ho il coraggio di far soffrire Mirco e Lisa.
«Sì, a domani. Porto il vino».
«Perfetto. Buonanotte, allora».
«’Notte».
Mi incammino a passo svelto verso casa. Più mi allontano dal centro, più la città si svuota. I semafori già non funzionano più, lampeggiano ambrati e tristi nella fresca notte marzolina. A casa, trovo il gatto. Ha mangiato il tonno, e ora riposa sornione sul mio divano. Quando mi avvicino spalanca gli occhi e si struscia sulla mia gamba per fare le fusa. Tutto così facile, spontaneo. Non succede mai con gli esseri umani.
Mi siedo accanto al gatto sul divano, accendo la televisione. In quel momento, appare davanti ai miei occhi la signora Minelli. Perfino da morta, è più viva di me. Come ci è finito così, dottore.
Vorrei saperlo anche io.
Marcello Tagliavini (proprietario verificato)
Romanzo davvero imperdibile! Lo consiglio caldamente a tutti quei lettori che hanno voglia di cimentarsi con una lettura profonda e riflessiva, ma allo stesso tempo scorrevole e accattivante.
Il protagonista, Max, personaggio introspettivo e talvolta contradditorio, con cui però è facile entrare in relazione, ci accompagna nel suo viaggio alla scoperta di luoghi affascinanti e pieni di sorprese, intraprendendo un tortuoso percorso di crescita personale, caratterizzato da riflessioni interiori ricche di sfumature, che a poco a poco ci rivelano il vero io del protagonista.
Un romanzo originale, che intreccia cultura, sentimenti, desideri e aspettative. Oltre ad essere estremamente coinvolgente, ci offre anche l’opportunità di porci domande e assumere nuovi punti di vista. Da leggere assolutamente!
Francesa Favro (proprietario verificato)
Nell’accaparrarmi l’opera prima di Letizia Dolcini, ho cominciato a leggere l’anteprima: non avrei più smesso!! Come in un film, da subito ti coinvolge nella vita del dottor Max e di chi lo circonda, con una scittura fluida, familiare, che ti fa vivere il racconto come sul grande schermo. Giovane,brava e promettente, vale davvero la pena contribuire al suo successo. Ora attendiamo solo l’uscita del libro, magari autografato 🙂