Gesualdo lasciava vagare lo sguardo ora qua, ora là, lasciandosi trascinare e suggestionare da quel balletto a un tempo coinvolgente ed estraniante.
Di tanto in tanto un tomo sembrava quasi sfiorare il suolo come per cadere, ma poi riprendeva il volo librandosi in alto con più foga e dinamicità.
A tratti il ritmo della danza aumentava, poi sembrava scemare e quasi quietarsi.
Cercava di individuare fra quel fluttuare di tomi indifferenziati qualche testo in suo possesso o che aveva letto o almeno consultato in passato, ma i più erano a lui completamente sconosciuti sia per foggia che per contenuto. Ogni volume sembrava possedere una sua vita autonoma, originale ed una propria personalità che si circostanziava ora in una danza più allegra e briosa, ora in un’altra più lenta e compassata.
Egli non sapeva se credere o meno ai suoi occhi ed a quella scena incredibile.
Fu proprio in quel momento, sospeso in quel dubbio amletico, che Gesualdo riaprì gli occhi con un sorriso sereno e disteso stampato sul volto, svegliandosi da quel sogno per lui rasserenante e rinfrancante.
Quello per Gesualdo, a dire la verità, non era un sogno ricorrente, anche se quasi tutta la sua vita, già dalla primissima infanzia, era ruotata attorno ai libri ed alla carta stampata.
Aveva appena malamente incominciato a leggere verso i quattro anni d’età che già era ingordo di fumetti, di libri illustrati e di tutto quanto attirasse il suo sguardo e potesse essere compreso dalla sua mente vorace.
Ricordava quando ancor prima d’aver compiuto i dieci anni d’età divorava vigorosamente i libri dell’infanzia ed i classici della letteratura per ragazzi.
Già prima di accedere alla scuola media aveva letto alcuni scritti di Shakespeare ed alcune opere, per così dire, di letteratura seria, magari non comprendendole a pieno, ma assaporandole già con gusto.
Al liceo già fantasticava e sognava di diventare da adulto un celebre scrittore di successo e buttava giù qualche poesiola piena di sentimento e di confuse aspirazioni giovanili che lui stesso per primo, poi rileggendole, si vergognava di avere scritto, e si peritava di nascondere accuratamente per timore che qualcuno in casa potesse trovare e leggere, sganasciandosi poi dalle risate.
La vita spesso ci riserva destini diversi da quelli da noi auspicati, e tranne pochi esseri eletti, veramente determinati ed ostinati nelle loro aspirazioni, i più si rassegnano ad adoperarsi in occupazioni del tutto diverse da quelle sognate in gioventù.
Bisogna pur mangiare per vivere, e l’arte in genere è un cattivo nutriente ed un pessimo corroborante per lo stomaco umano.
Con Gesualdo però la sorte non era stata del tutto matrigna e gli aveva procurato un rispettabile impiego da direttore di biblioteca comunale, consentendogli, diciamo così, di rimanere nel campo dei suoi interessi e delle mai sue sopite aspirazioni giovanili, anche se certamente ad un livello più basso di quello una volta sognato ed auspicato.
Così Gesualdo si era assicurato il pane quotidiano, con un companatico adeguato alle sue necessità, ed anche se non era mai diventato celebre per i suoi romanzi, che del resto non aveva mai scritto, si era però potuto abbeverare abbondantemente a suo piacimento all’arte dello scrivere, altrui invece che propria, ma ugualmente piacevole e gratificante per il suo spirito di letterato in nuce.
Parte I
Fu così che quella mattina Gesualdo, dopo aver consumato una frugale colazione, si accinse a recarsi sul luogo di lavoro.
Era già da alcuni giorni che aveva pensato fosse giunto il momento di dare una sistemata alla biblioteca riordinando i libri in dotazione, eliminando quelli ridotti in condizioni indecorose per l’uso e stilando una lista di quelli eventualmente da richiedere per far sì che l’offerta, sia pur non amplissima ed approfondita, fosse almeno accettabile ed invitante, per un’utenza peraltro non molto vasta ed assidua.
Uscendo di casa Gesualdo decise che quello era il giorno giusto per incominciare l’inventario e risistemare i testi nel modo più ordinato possibile.
Forse quel mulinare di libri del sogno della notte appena trascorsa gli suggeriva inconsciamente che anche i tomi della biblioteca di cui lui era direttore col tempo erano volteggiati in maniera alquanto disordinata da uno scaffale all’altro senza che ormai nessuno avesse coscienza del disordine accumulatosi negli anni.
Arrivato che fu in biblioteca, Gesualdo scambiò cortesemente due parole di circostanza con le due signore addette alla segreteria, le cui uniche incombenze erano di prendere nota dei prestiti effettuati e delle riconsegne succedutesi.
Non si uccidevano certamente di lavoro le due signore, del resto non più giovanissime, ma neppure si rifiutavano di applicarsi ai loro compiti, e si mostravano sempre gentili verso gli utenti e disponibili verso le richieste del direttore, sebbene queste fossero sempre di facile adempimento e mai pressanti né nei tempi né nei modi.
Tuttavia Gesualdo quella volta aveva deciso di non delegare a nessuno il lavoro di riordino della sua biblioteca e di non avvalersi del supporto di nessuna delle due signore, anche se era certo che nessuna delle due, se richieste, avrebbe fatto mancare il suo supporto, lento ma ordinato.
Del resto la biblioteca consisteva in un unico grande stanzone con le pareti quasi interamente ricoperte di libri, saranno stati al più cento scaffali e parecchie migliaia di tomi in tutto.
L’ambiente era molto tranquillo e silenzioso, l’utenza scarsa ed anche le due signore, strano a dirsi, non erano molto ciarliere, e pure quando chiacchieravano tranquillamente fra loro lo facevano a voce bassa, creando quasi una sinfonia musicale di sottofondo in quell’ambiente rilassante.
Solo quando qualche maestra intraprendente portava la scolaresca a scegliere i libri di lettura per la classe l’ambiente si animava ed il chiacchiericcio diventava vivace, interrotto qui e là da gridolini di sorpresa, risate di scherno e sospiri di soddisfazione per la scelta effettuata.
Gesualdo s’era fatto il conto che, a meno di imprevisti (ma che imprevisti mai ci potevano essere d’altronde?), due giorni pieni sarebbero bastati per rimettere tutto in sesto nell’ordine più perfetto, riattando quanto il tempo ed il cattivo uso aveva potuto degradare o scompaginare.
Si mise di buona lena al lavoro.
Mentre riordinava i volumi, rimettendo accuratamente al loro posto quelli che trovava disordinatamente dispersi in scaffali che loro non competevano, di tanto in tanto si sorprendeva di ritrovare testi che aveva letto molti anni fa, alcuni addirittura in gioventù, e di cui aveva perfino dimenticato l’esistenza.
Altre volte si sorprendeva a sorridere fra sé e sé ritrovandosi fra le mani e rincontrando volumi da lui preferiti e ben conosciuti che si premurava sollecitamente a ricollocare amorevolmente al loro giusto posto.
Dopo un’oretta ch’era al lavoro Agnese, la più giovane, o per meglio dire la meno attempata, delle due signore addette alla consegna ed alla restituzione dei testi, si affacciò sull’uscio della stanzetta.
«Direttore vuole che le dia una mano a sistemare i volumi?» disse con la sua vocina sottile.
«No la ringrazio, non ce n’è di bisogno,» rispose Gesualdo un po’ ansimando per la verità, «è quasi un piacere vedersi passare fra le mani in pochi istanti la summa del sapere umano. Si fatica un poco a chinarsi e rialzarsi, ma è un piacere per gli occhi e per la mente scorrere i titoli e leggere gli autori.»
«Va bene, però se ha bisogno di una mano d’aiuto me lo dica pure» soggiunse quella rientrando al suo posto di lavoro.
La mattina passò veloce e, non ostante avesse finito la zona dei classici, si rese conto di non aver incontrato l’Ulisse di Joyce.
“Chissà dov’era andato a finire” si disse.
Nel pomeriggio, dopo una breve pausa per un pranzo frugale, riprese la sua attività di buona voglia, quasi come un ripasso veloce, una messa a punto di una lezione che si conosceva ormai molto bene.
Arrivò veloce alla fine della giornata ed ammirò con soddisfazione dal centro della stanza la zona già sistemata, come se il riordino effettuato potesse essere riconosciuto ed apprezzato dal colore dei dorsi dei tomi risistemati, ma tant’è gli sembrava evidente già a prima occhiata il risultato dell’ottimo lavoro effettuato.
No, dell’Ulisse nessuna traccia. Era proprio curioso di sapere chi aveva potuto prenderlo in prestito, erano anni che nessuno più lo richiedeva.
Si appressò alla stanzetta delle signore.
«Gertrude, sa per caso chi ha preso in prestito l’Ulisse di Joyce?» chiese alla più anziana delle due.
«Non credo che qualcuno l’abbia richiesto» rispose quella, «sono anni ormai che è lì a prendere la polvere.»
«Sì, però io non lo trovo» rispose Gesualdo, «le spiace controllare se per caso qualcuno l’ha preso in prestito dimenticandoselo poi bellamente a casa sua?»
«Sì certo» rispose la signora, e si mise all’opera col computer alla ricerca nell’archivio dei prestiti e delle riconsegne.
«No direttore, come le dicevo, l’ultimo prestito dell’Ulisse è stato tre anni fa, lo ricordo bene. L’ha preso quel giovane universitario a cui serviva per i suoi studi sulle innovazioni letterarie e sulle avanguardie.»
«Sì, ma l’ha riconsegnato poi, o ce l’ha conservato in casa sua da tre anni?» rispose Gesualdo.
«No, no, risulta che l’ha riconsegnato; ha chiesto la proroga per un altro mese ma poi l’ha riportato, me lo ricordo personalmente tra l’altro, l’ho ripreso io stessa in consegna.»
«Boh, chissà dove sarà finto allora, magari domani lo ritrovo in mezzo ai libri per ragazzi» concluse sconsolato Gesualdo.
Tornato a casa, a dire il vero, il Nostro, dopo essersi seduto ed aver cenato in modo molto sbrigativo, scoprì al momento di alzarsi da tavola di ritrovarsi con le gambe indolenzite e la schiena alquanto rigida e difficile da raddrizzare completamente. Evidentemente la ginnastica effettuata nella giornata appena trascorsa aveva lasciato delle tracce rilevanti sul suo fisico non certo aitante e l’acido lattico accumulatosi nei suoi non più giovani muscoli aveva completato la sua opera. Del resto Gesualdo non era stato mai un tipo atletico. Incredibile a dirsi, ma già ai tempi della scuola media e del liceo l’ora di educazione fisica era quella per lui meno gradita, mentre attendeva con impazienza spasmodica le lezioni di italiano e di storia ed andava letteralmente in solluchero alle spiegazioni di letteratura del suo mai dimenticato professore degli ultimi anni del liceo.
Gesualdo pensò che una buona nottata di sonno ristoratore l’avrebbe rimesso in sesto per la prossima conclusiva maratona di piegamenti e stiramenti che lo attendeva, per cui andò a dormire molto presto quella sera.
L’indomani si svegliò fresco e riposato, ma già al momento di alzarsi si accorse che non tutto nel suo corpo, ormai non più aduso a certi sforzi, era tornato in perfetta efficienza.
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