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Diario semi-umileh di una mamma rosa naturale

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Amydori è una mamma con una visione del mondo eclettica e totalmente in rosa, che tenta goffamente di barcamenarsi tra tre figlie, senza rinunciare a raccontarsi in modo ironico, per condividere la sua voglia di ridere di se stessa e del folle mondo che la circonda. A far vacillare l’equilibrio della sua quotidianità, già appeso a un filo (rigorosamente rosa), è l’esigenza di mettere le sue emozioni e le sue perle di ironica saggezza nero su bianco. Da un lato l’autrice, dall’altro la scrittura: due rette parallele che viaggiano all’infinito, senza mai incontrarsi. Il risultato? Una narrazione impulsiva e senza filtri della quotidianità di una “mamma semi-umileh”.

CAP. 1

DA DOVE TUTTO È INIZIATO

‘Sti cazzi è come il nero, sta bene su tutto.

Benedetta, la mamma rosa naturaleh

Non so quanti diari ho comprato nella mia vita, una quantità che oscilla tra il numero delle molecole di ossigeno in un litro d’acqua e quello delle stelle in cielo. E sono tutti conservati in un bel mobile che non dimentico mai di guardare con una certa dolcezza: un album dei ricordi dalle pagine completamente bianche. Ci sono dei diari bellissimi, che hanno certe copertine con cui vorrei tappezzarci casa sostituendo la carta da parati, riverniciarmici l’auto, dipingermici anche le unghie. Deve essere questo uno dei motivi che mi ha impedito, negli anni, di scrivere più di una pagina dei diari che ho comprato, nonostante volessi raccontare tutto ciò bolle in quel calderone infernale che, per semplicità, chiameremo la mia testa.

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Non avevo tra le mani una storia avvincente, una frase giusta, qualcosa di tanto bello da farmi piangere dall’emozione e che mi facesse dire: «Ora sono pronta a macchiare la pagina bianca di questo fantastico diario». Così, di anno in anno, di buoni propositi in buoni propositi, ho accumulato diari neanche fossero desideri. Prima o poi, mi dicevo, arriverà l’ispirazione e inizierò a scrivere. Per imparare –soltanto dopo aver speso un capitale in articoli da cancelleria! –che l’idea geniale non arriva se non la vai a cercare.

In realtà, c’è anche un altro motivo che mi ha sempre impedito di scrivere: sono del segno dei Gemelli e non devo aggiungere altro. Anzi, non dobbiamo aggiungere altro. Qua dentro, in quel calderone infernale che abbiamo già detto essere la mia testa, c’è un condominio molto affollato, composto dalle mie settantasette personalità. Cambio idea in continuazione, spesso passando da un estremo all’altro, senza soluzione di continuità e diventa difficile dedicarsi a un’attività così rigorosa come la scrittura. Insomma, un giorno potrei essere una vegana convinta e il giorno dopo organizzare una grigliata per duecento persone. Cambio spesso umore, opinione, idea. Mio marito ogni mattina mi guarda e si chiede con chi dovrà trascorrere la giornata. “Oggi chi sei, Benedetta 21 o Benedetta 77?” E non c’è niente che mi metta più ansia –non è vero, ho l’ansia per un sacco di cose, ma la frase sembrava carina –dicevo, niente che mi metta più ansia dello scrivere. Perché se scrivo, le parole si fissano sulla carta e tanti saluti. Quello che hai scritto, l’hai scritto.

What happened in carta, stays in carta. Già mi ci vedo ogni giorno a cancellare la pagina del giorno prima, se non addirittura a strapparla. E non è il caso, quei diari sono così belli.

Anche di pretesti che alla fine mi hanno convinta a scrivere ce ne sono due, uno serio e l’altro, ovviamente, no. Ma tanto pure questo l’ho già detto, sono Gemelli, la mia vita è sempre stata un’altalena di emozioni, la massima serietà e subito dopo la più totale stupidità. Dicevo, allora, che ci sono due motivi. Il primo è una questione di portafoglio. Mi spiego meglio. Mia figlia Mia (non è un gioco di parole, Mia è davvero il suo nome) ha preso tutto dalla madre: non ha neppure dieci anni e ha già collezionato più diari di me, tutti bellissimi, tra l’altro. “Voglio scrivere”, mi ripete puntualmente a distanza di mesi e se non l’accontento io, ci penseranno la nonna, il papà, lo zio, la madre di un’amica, la vicina di casa, un passante. In un modo o nell’altro, Mia riesce a ottenere un nuovo diario. Peccato che poi non scriva, quasi mai. Una pagina, forse due, ma soltanto il primo giorno, sulle ali dell’entusiasmo. Poi, angosciata anche lei dalle splendide copertine e sopraffatta dal senso di inferiorità tra l’estetica del diario e lospessore artistico dei suoi pensieri, decide di lasciar perdere. E il numero di diari abbandonati come pezzi da museo continua a crescere. Ogni giorno. Pericolosamente. E non posso dirle nulla! La cosa peggiore è che Mia è uguale identica a me, ogni voltache vorrei rimproverarla mi sembra di vedere tutti i miei diari abbandonati puntarmi il dito contro. È colpa mia, è come me, avete ragione. Così non le dico niente, mai, come potrei? Però la situazione in casa è decisamente sfuggita di mano, quindi ho deciso di scrivere, per dare il buon esempio.

L’altro motivo per iniziare a scrivere è che sarei davvero felice se anche soltanto unamamma, una donna, leggendo queste pagine e oscillando con me nell’altalena emotiva delle mie esperienze, potesse trovare unospunto, un’idea, un’ispirazione. Mi basterebbe che si sentisse meno sola, anche solo unadi voi e per un momento solo. A volte so essere anche seria, ve l’avevo detto. Poi ho pensato che tanto devo scrivere al computer, quei diari sono ancora salvi.

Ma dicosa scrivere? Sono leggermente logorroica, e mi sa che sto facendo lo stesso anche adesso, che invece di parlare devo soltanto digitare su una tastiera. È addirittura meno stancante e credo di aver raggiunto un nuovo record: dopo le duecento sedici parole in un minuto, raggiunte mentre mi confidavo in preda all’ira con una mia amica, ho segnato ben trecento sette parole scritte in un minuto. Così, senza avere la benché minima idea di dove stessi andando. Infatti, la domanda è: che cosa si scrive in un diario, anche se questo diario è virtuale? Avrei così tante cose da raccontare perché è vero che sono una madre, ma prima sono stata una moglie, una fidanzata, una ragazzina, una bambina, e lo sono tutt’ora. Davvero si può raccontare un momento così unico come la maternità, senza dire neanche una parola sulla donna che sono stata prima? Diventare mamma è un cambiamento incredibile, un vero e proprio prima e dopo. Quindi partiamo dal prima.

Nella mia vita non ho mai avuto tante massime, frasi a effetto da usare nelle migliori occasioni: ho una memoria così incasinata che mi verrebbe difficile ricordarmi la frase giusta al momento giusto, rischierei soltanto di maledirmi sotto la doccia per aver trovato due ore dopo la battuta adatta. Quindi no, non ho molti aforismi da recitare, ma i pochi che ho sono tosti, in particolare questo: “Ho un problema: c’è una soluzione? Sì, allora mettila in pratica e non preoccuparti; se la soluzione invece non c’è, allora non ci pensare più e vai avanti”.

Insomma, avere paura noncredo che abbia molto senso, o meglio, non ha senso farsi fermare dalla paura. Perché poi non sono tanto le situazioni a farci veramente del male, ma siamo noi stessi a procurarcelo. A sentirmi riflettere così sembro una vecchia saggia piena di rughe, ma non lo sono (anche se le rughe imperversano inesorabili lo stesso). Ho scommesso la mia salute mentale più di una volta, anzi la metto in gioco tutti i giorni, per cercare di vivere come vorrei. Ed ero la prima che non ci riusciva davvero, a fare le cose senza paura. Avrei voluto, da sempre, ma c’era qualcosa che dentro di me mi bloccava.

Mi torna in mente il mio maestro di sci. A me è sempre piaciuto sciare perché è così adrenalinico, però avevo paura di affrontare i dossi. Così, il mio corpo, in una reazione istintiva, tendeva a retrocedere, cambia la postura, andando con il peso all’indietro, gli sci si aprivano e al contatto con il primo ostacolo, anche piccolo e innocuo come una gobba di neve, finivo a gambe all’aria. Colpa degli sci? Colpa della neve?No, tutto merito mio e della paura. Il maestro lo diceva sempre: “Affronta la gobba, vai convinta, porta il peso in avanti, come se le stessi correndo contro, e gli sci si faranno più pesanti. A quel punto scivolerai sulla neve come una lama calda nel burro, senza neanche accorgertene”.

Ecco, userei questa frase, se dovessi sceglierne una da scrivere su ogni prima pagina di ogni diario che conservo, e di quelli che comprerò nella mia vita –perché ne comprerò ancora, sappiatelo, sempre e per sempre. Però,poiché sono l’emblema della confusione e delle cose fatte un po’ a caso, questa prima fase che avrei voluto scrivere a inizio diario, la lascio qui. Dopo un tot di pagine, a sorpresa.

 

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Amydori
nasce a Tivoli nel 1986. Dopo una burrascosa carriera scolastica, muove i primi passi nel mondo della moda di Roma, ma ne resta insoddisfatta e decide di volgere lo sguardo altrove. La ricerca di strade alternative è però interrotta dalla prima gravidanza, esperienza travolgente al punto da farla approdare nel mondo dei social. Qui racconta con spontaneità la sua vita accanto al compagno, Marco Alfeo, e alle tre figlie: Mia, Bianca e Vita Luna.
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