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Giovani Ambasciatori. Una torcia per Erthalys

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Giulio e suo cugino Max raggiungono il casale di nonna Cordelia, in Toscana, dove trascorreranno la fine delle vacanze estive. Durante la vendemmia conoscono Elena, la ribelle figlia dei vicini. In casa della nonna, i due cugini ed Elena trovano una fiaccola con dei bizzarri simboli incisi sopra, un oggetto arcano che catapulta i ragazzi in un altro mondo: la magica terra di Erthalys, presieduta da tre potenti spiriti. Qui, Giulio, Max ed Elena incontrano Serafina, che si unirà a loro in un viaggio avventuroso alla scoperta di territori sconosciuti, abitati da briganti, incantatrici e mutaforma. Toccherà ai nostri protagonisti proteggere Erthalys dalla minaccia che grava sul regno.

CAPITOLO UNO

GIULIO

Erano ormai passate diverse ore da quando Giulio aveva lasciato il treno preso a Milano diretto a Firenze, in Toscana. Dopo aver raggiunto Max nel parcheggio, era salito a bordo di un vecchio pullman blu per raggiungere un paesino sperduto sulle colline. Era lì che si trovava il casale di nonna Cordelia, la quale li stava aspettando per trascorrere insieme la fine delle vacanze estive.

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Appena uscito dalla stazione, Giulio aveva intravisto suo cugino nel parcheggio: indossava un paio di bermuda beige, sneakers bianche e un’aderente polo blu. Maximilienne Pierre Laforge era suo cugino fino a prova contraria, ma Giulio avrebbe sfidato chiunque ad affermare che fossero parenti. Diversi anni prima, l’unica sorella di sua madre, zia Letizia, aveva organizzato un viaggio con delle amiche a Parigi e, proprio in questa città, aveva conosciuto il suo futuro marito. Dopodiché, la zia si era trasferita dalla Toscana alla Francia e, qualche anno dopo, era arrivato Max. Nonostante avesse sempre vissuto all’estero, parlava perfettamente anche l’Italiano.

Entrambi avevano quindici anni, ma i punti in comune finivano qui. Suo cugino era un ragazzo dalla carnagione chiara, a differenza di Giulio che aveva un colorito tipicamente mediterraneo. I capelli biondo paglia di Max risplendevano sotto la luce del sole, sempre pettinati e curati nei minimi dettagli, mentre i suoi occhi erano di un azzurro acceso, quasi ipnotico. Vantava un fisico piuttosto muscoloso, paragonabile a quello di un centometrista delle Olimpiadi (cosa del tutto plausibile dato che si allenava al campo di atletica leggera da quando aveva otto anni). Ciliegina sulla torta, era anche il primo della classe. Stando a quanto raccontava la zia, Max non aveva alcun rivale con numeri e formule. Nonostante suo figlio avesse appena concluso il secondo anno di liceo, zia Letizia già si pavoneggiava, convinta che Max sarebbe diventato un medico di successo.

Grazie zia Letizia, pensava Giulio tutte le volte che la incontrava, e per fortuna le occasioni erano rare, meno ancora di quelle in cui vedeva suo cugino. Stare accanto a Max e subire il confronto fisico non era già abbastanza umiliante per lui, bisognava per forza ricordarglielo.

Purtroppo per Giulio, quell’estate i suoi genitori erano troppo indaffarati per potersi ritagliare anche una sola settimana di vacanza con loro figlio. Sua madre, però, non si era arresa. Zia Letizia le aveva accennato che Max sarebbe andato a trovare nonna Cordelia, come tutti gli anni, così la madre di Giulio gli aveva proposto di unirsi a suo cugino. Avrebbero trascorso le vacanze nella casa dove le loro madri erano cresciute e dove ora la nonna viveva da sola. Alla fine, per non dare un dispiacere a sua madre, Giulio si era deciso a partire per la campagna toscana.

Possibile che un autobus abbia in programma così tante fermate?, pensò Giulio. Il viaggio si prospettava troppo lungo per poter rimanere in silenzio fino all’arrivo. Anche Max doveva aver pensato la stessa cosa perché, tutt’a un tratto, decise di rompere il ghiaccio, a suo modo ovviamente.

«Come te la passi, Max?» disse, tentando di imitare il tono di voce di Giulio. «Non c’è male, cugino, la solita routine» continuò Max, rispondendo alla sua stessa domanda. «Sai com’è, con gli allenamenti e tutto il resto…»

Giulio non riusciva a crederci, suo cugino era veramente un idiota quando faceva così. Tolto il dente, tolto il dolore, pensò Giulio, tanto valeva che Max si lanciasse nel suo sproloquio in quel momento e lo lasciasse il pace per il resto del viaggio.

«Parteciperai anche quest’anno alle giovanili di atletica leggera?» domandò Giulio a malincuore.

«Certo, anche se questa volta sono riuscito a classificarmi solo all’ultimo secondo. Ho deciso di cambiare disciplina, però. Mi ero stancato di lanciare il giavellotto, ho voluto provare qualcosa di diverso. Così mi sono dato al salto in lungo e devo ammettere che non è affatto male. Tu invece sei poi riuscito a iscriverti a una squadra?» gli domandò Max.

«No!» sbottò Giulio, con un tono molto più aggressivo di quanto desiderasse. «Ma non perché non ci riesca, è solo che non avrei molto tempo da dedicare agli allenamenti.»

Max sembrava voler aggiungere qualcosa del tipo: “Volere è potere, devi solo crederci e impegnarti a fondo” oppure “senza sacrifici non si ottiene nulla”, per fortuna non lo fece. Doveva solo provarci, pensò Giulio. Come se lui non avesse già sacrificato abbastanza di sé.

Verso la metà del pomeriggio, l’autobus raggiunse finalmente la loro fermata. Il casale era poche centinaia di metri più avanti, appena oltre la vigna. La casa della nonna era ancora tale e quale a come Giulio la ricordava. Una cascina con due piani, con spessi muri di grandi pietre grezze e con una cascata di piante rampicanti che si abbarbicavano alle pietre e sul tetto spiovente. L’intero edificio era circondato da uno splendido giardino curato nei minimi dettagli; senza dubbio nonna Cordelia possedeva un pollice verde che faceva invidia a molti.

Giulio la scorse da lontano, seduta su una sedia di vimini sotto il portico, intenta a esaminare l’orizzonte, in attesa dei nipoti. Il passare degli anni non sembrava scalfirla minimamente. Era una donna alta e asciutta, con i capelli grigi, raccolti in un elegante chignon. Indossava un abito a maniche lunghe verde smeraldo, decorato con un’articolata fantasia floreale, e sfoggiava un ampio cappello di paglia intrecciata.

Giulio la vide saltare in piedi dalla gioia e, nonostante l’età, avanzare veloce verso di loro.

«Nipoti adorati, eccovi finalmente! Temevo non arrivaste più. Com’è andato il viaggio?» chiese, mentre li stringeva nel più affettuoso degli abbracci.

«Solo un po’ di ritardo con i mezzi, nulla di grave» rispose Max. «Purtroppo il solito treno è stato cancellato e mi sono dovuto arrangiare altrimenti».

«La distanza è un ostacolo, tesori miei. Ma non importa, ora siete qui» rispose la nonna, sfoggiando un ampio sorriso. «Sono sicura che vi farà bene trascorrere un po’ di tempo immersi nella natura.»

Nonna Cordelia doveva aver notato la smorfia sul volto di Giulio.

«So a cosa stai pensando, Giulio caro, ma non devi preoccuparti,» continuò lei «un’anziana signora non sarà la vostra unica compagnia per le prossime settimane. Qualche mese fa, nel casale vicino si è trasferita una famigliola adorabile. Hanno comprato l’intera cascina, compresa la cantina con le botti per la fermentazione del vino e ovviamente i terreni adiacenti per coltivare l’uva. I gemelli sono un po’ troppo piccoli per voi, ma la figlia maggiore credo abbia, più o meno, la vostra età. Potreste fare amicizia con lei.»

Era evidente che non avevano pranzato: entrambi mangiarono fino allo sfinimento, concludendo con almeno tre porzioni a testa di crostata ai mirtilli. Poco dopo, però, arrivò una notizia un po’ meno piacevole.

«Ho promesso ai vicini che avreste dato loro una mano con la vigna. Non è un problema, vero?» disse loro la nonna. «Sono qui da poco e domani devono iniziare assolutamente con la vendemmia, ma non hanno ancora trovato il personale necessario. Sarebbe soltanto per qualche giorno, una settimana al massimo.»

Prima che Giulio avesse anche solo la possibilità di obiettare, Max accettò l’incarico a nome di entrambi, assicurando a nonna Cordelia che per loro non rappresentava alcun fastidio e che invece erano contenti di poter dare una mano.

Quella sera Giulio non vedeva l’ora di gettarsi sul suo letto e non lasciarlo per almeno una settimana. Dopo che la nonna ebbe mostrato a lui e a Max la stanza che avrebbero condiviso, si lanciò sul materasso e impiegò ben quattro nanosecondi per cadere in un sonno profondo.

Sussurri. Erano stati dei sussurri a svegliarlo. Non sembravano così intensi all’inizio, poi si erano fatti sempre più fastidiosi. Giulio provò a ignorarli con uno sforzo sempre maggiore. Provò ad allontanarsi, si mise a correre, fino a quando sentì la terra scomparire da sotto i piedi e iniziò a precipitare. Si risvegliò ansimando. Era notte fonda e Max stava dormendo tranquillamente, proprio accanto a lui. Era solo un incubo, mancavano ancora parecchie ore al sorgere del sole e all’inizio della giornata di lavoro nella vigna. Desiderava solo riprendere sonno, ma quei maledetti sussurri non volevano lasciarlo in pace. Un momento… ora era sveglio, perché continuava a sentirli?!

Giulio si voltò rapidamente verso l’origine di quegli strani rumori e vide le ante della finestra completamente spalancate. Niente di strano, si trattava solo del cigolio di qualche vecchio infisso. Giulio era certo di averla chiusa, ma forse la stanchezza gli aveva giocato un brutto scherzo. Si avvicinò alle ante della finestra ma, quando provò a chiuderle, quelle non si mossero di un millimetro: una manciata di rampicanti robusti bloccava i cardini della finestra. Come potevano essere cresciuti di alcune spanne in sole poche ore? Avvicinò la mano per provare ad allentarli, ma fu costretto a ritrarla immediatamente. La pianta aveva iniziato a far ondeggiare i suoi rami sottili come se fossero tentacoli e Giulio udì di nuovo quegli strani sussurri. Questa volta sembravano meno caotici, come se si fossero messi tutti d’accordo su un’unica tonalità.

RAGGIUNG… PALAZZO DOVE… UIO

Giulio fece un balzo indietro, terrorizzato. Non era un sogno, era sicuro di averli sentiti. Le sue mani tremavano ancora, ma riuscì a farsi coraggio e a tornare a dare un’occhiata. Fuori dalla finestra, sotto la luce fioca dell’unico lampione nel cortile, Giulio vide i rampicanti scendere lungo il muro di pietre fino al terreno per poi fondersi con delle grosse radici bitorzolute. Quello strano groviglio di piante aveva formato una sorta di sentiero che attraversava l’intero cortile fino a raggiungere il grande portone di legno che conduceva nella cantina dei vicini. La sua mente cominciò a viaggiare, chiedendosi chi o che cosa ci potesse essere là sotto. Forse si stava immaginando tutto. Ma la sua curiosità ebbe la meglio. Decise di andare a dare un’occhiata, per fugare ogni dubbio e tornare a dormire tranquillo, nonostante questo volesse dire sconfinare nella proprietà dei vicini.

Mentre usciva dalla stanza, fece attenzione a non svegliare Max, che dormiva ancora della grossa. Varcata la porta di casa, tirò fuori il cellulare dalla tasca e accese il flash per illuminare meglio la strada davanti a sé. Accelerò il passo e, in men che non si dica, si ritrovò davanti al portone, nello stesso punto in cui le radici si tuffavano nuovamente nelle profondità del terreno. Temeva che avrebbe dovuto forzare un lucchetto, cosa di cui non era capace, invece gli bastò sciogliere il nodo di una corda. Probabilmente i vicini non pensavano che qualcuno si sarebbe avventurato là sotto, temevano soltanto l’incursione di qualche animale di passaggio.

Giulio aprì una delle due massicce ante di legno e si avventurò con cautela giù per le scale. L’ambiente era completamente buio ma, per fortuna, aveva con sé il cellulare. Alla fine della scalinata si apriva una sala enorme con un soffitto piuttosto basso e lunghe file di botti che si estendevano a perdita d’occhio. La curiosità lo stava ormai divorando, così decise di andare fino in fondo e di scandagliare l’intera stanza, fila dopo fila.

Nonostante avesse percorso la sala avanti e indietro più volte, non era riuscito a trovare nulla. Cominciò a chiedersi se non si fosse immaginato ogni cosa. Tutta l’adrenalina che lo aveva tenuto sveglio ormai era scomparsa e la stanchezza gli stava nuovamente crollando addosso. Pensò di tornare nella sua stanza, prima che qualcuno si accorgesse che si trovava dove non avrebbe dovuto, ma tutto a un tratto sentì i cardini del vecchio portone cigolare.

Il cuore di Giulio iniziò a battere all’impazzata. Lo avrebbero sicuramente scoperto e non sarebbero stati affatto felici di trovare un ladro in casa loro. Così agì nell’unico modo possibile: si nascose dietro alla botte più vicina, sbirciando da uno spiraglio, in attesa.

«Max?!» esclamò Giulio incredulo, vedendolo scendere gli ultimi gradini. «Cosa diamine ci fai qua?»

«Potrei farti la stessa identica domanda, cugino,» gli rispose «ma prima ne ho un’altra: perché desideri così tanto farci arrestare?»

Giulio raccontò a Max quello che aveva udito e visto. Nessuna scusa al mondo avrebbe retto a un’inquisizione completa da parte di suo cugino e poi anche lui doveva aver notato quel bizzarro groviglio vegetale che collegava i due edifici.

Ma la faccia di Max esprimeva invece con chiarezza una forte preoccupazione nei suoi confronti.

«Tutto quello che so è che stavo dormendo beatamente fino a quando ho sentito cigolare la porta d’ingresso. Ho visto il tuo letto vuoto, così ho pensato che fossi andato a prendere una boccata d’aria. Sono uscito appena in tempo per vederti sgattaiolare nella cantina dei vicini. Ti ho aspettato per più di un’ora ma, visto che non ti decidevi a uscire, ho preferito venire a prenderti di persona.»

Giulio non riusciva a capire come Max avesse fatto a seguirlo senza intravedere, o perlomeno inciampare, nell’enorme fiume di radici che aveva invaso il cortile con il favore del buio.

«Ma io non mi sono inventato nulla!» ribadì Giulio. «Quelle strane voci hanno mormorato qualcosa, e poi il “sentiero” era…»

«Ti rendi conto di quello che dici, cugino?» lo interruppe Max, come se fosse stato attaccato sul personale. «Qualcuno ti avrebbe chiamato, nel cuore della notte, per farti scendere in una cantina da fermentazione? Non c’è nulla di paranormale qui, basta usare un po’ di logica per capirlo.»

Giulio odiava quando suo cugino voleva dare lezioni e insegnamenti di vita a tutti. E poi come poteva essere sempre così logico e razionale? Giulio detestava quel modo di pensare così poco elastico, anche se questa volta, purtroppo, le circostanze sembravano pendere a favore di suo cugino. A dirla tutta, Giulio si era sentito fuori di testa anche solo a descrivere la scena, la quale ormai gli sembrava solo un sogno lontano che si affievoliva sempre di più.

«Forza, torniamo a dormire,» gli disse Max, un po’ più calmo «non penso che la famiglia che abita qui sopra farebbe i salti di gioia nel trovarci a rovistare in casa sua.»

Giulio stava per seguire suo cugino, rassegnato, quando il cellulare gli scivolò e andò a infilarsi dietro una delle botti. «Max, aspetta! Vieni a darmi una mano, questa botte pesa come un macigno.»

«Credevo che la nonna avesse detto che i vicini erano arrivati da poco,» ricordò Max, con aria confusa «è impossibile che siano già riusciti a riempire le botti.»

«Rimarrai lì impalato ad analizzare le probabilità oppure mi aiuterai?» sbottò Giulio.

Tentarono in tutti in modi, ma nemmeno unendo le forze riuscirono a smuovere quella grossa botte.

Dopo molti sforzi, preso dalla frustrazione, Giulio colpì con forza il coperchio. Appena la sua mano entrò in contatto con il legno, ormai marcio, quello si frantumò.

«È ovvio che non riusciamo a spostarla, la botte è ancorata al terreno!» esclamò Max, dopo aver dato un’occhiata al suo interno. «Sembra proprio che qualcuno la utilizzasse per nascondere questa… pietra?!»

Con il cellulare di Max come unica fonte di illuminazione rimasta, Giulio scorse una struttura a tronco di cono, alta circa mezzo metro. Sulla base superiore, al centro, compariva un foro grande quanto un pugno. Si accorse anche che dalla base si estendeva una lastra di pietra con una strana forma ad anello e un diametro ben più grande di quello della botte.

«Che strani simboli…» commentò Giulio tra sé e sé. Non aveva mai visto niente del genere in vita sua, non assomigliavano per nulla alle lettere dell’alfabeto fonetico.

Tutt’a un tratto, udirono un susseguirsi di passi proprio sopra le loro teste. Giulio si sentì strattonare per un braccio.

«Ne riparleremo domani,» gli bisbigliò Max trafelato «ora dobbiamo correre!»

2022-02-21

Aggiornamento

Buonasera a tutti i meravigliosi sostenitori della campagna di crowdfunding per "Giovani Ambasciatori, una torcia per Erthalys", ho un'ottima notizia da comunicarvi: obbiettivo raggiunto! Proprio così, qualche giorno fa siamo approdati a quota duecento preordini, assicurandoci così la pubblicazione del romanzo prevista per Settembre 2022. Non posso fare altro che ringraziarvi di cuore per aver creduto in questo progetto e in me. Spero davvero di regalare a ognuno di voi una vera e propria avventura, quanto più possibile ricca di emozioni. In ogni caso, se qualcuno fosse interessato, rimane ancora possibile preordinare il libro con le stesse modalità (vedi link per la campagna di crowdfunding). Personalmente non vedo l'ora di tuffarmi nel lavoro di revisione insieme ai professionisti di Bookabook e prometto di tenervi aggiornati con tutti i particolari. Le novità sono terminate, almeno per ora. A presto e benvenuti a Erthalys!

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Andrea Migliorati
Originario della provincia di Brescia, attualmente vive e studia Ingegneria Meccanica a Milano. Spinto da una grande passione per il genere fantasy, decide di cimentarsi nella scrittura, in particolare nella letteratura per ragazzi. È fermamente convinto che i libri possano aprire portali per un’infinità di mondi e, ancora meglio, di avventure. Partendo proprio da quest’idea nasce "Giovani Ambasciatori, una torcia per Erthalys", il suo primo romanzo.
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