Rocío non capisce. Rocío sale le scale che la conducono al quarto piano del palazzo, chiedendosi se Stefano Izzo non sia definitivamente impazzito. Ma questo, dopotutto, non le importa.
Ora le importa solo della vita che sarà. Per lei. E per lui. Insieme.
Non sa che un giovane napoletano, Gennaro Varrella, non se n’è affatto scappato, come Izzo aveva creduto. O meglio, era uscito dalla loro visuale, ma solo per qualche minuto.
Questo ha generato un altro equivoco. Gennaro non ha visto il detective italiano prendere il taxi. Nè ha visto Rocío rientrare in casa. Non li ha visti, insomma, separarsi.
Quando è riemerso tra la folla indistinta che si affrettava a passo rapido per le vie di Barcellona, tra turisti stanchi dopo una giornata di estenuanti visite obbligate, e lavoratori ansiosi solo di tornare da mogli, figli e amanti, Gennaro ha semplicemente chiesto al gestore del bar di indicargli dove potesse trovare la signorina vestita di rosso, che stava seduta ai tavoli pochi minuti prima, insieme ad un uomo.
Si è finto un amico della coppia. Un amico ritardatario, troppo ritardatario per l’appuntamento comune. Per fortuna che li ha visti passando in macchina… anche se non è riuscito ad avvertirli del suo imminente arrivo.
Il gestore del bar, ridendo, gli ha chiesto: “È amico di quel matto che urlava poco fa?” E gli ha risposto che la signorina Rocío abita al quarto piano del palazzo, dove è appena rientrata. “Non lo sapeva?”, aggiunge – colto da un volatile dubbio. Purtroppo, l’ignaro gestore si dimentica di precisare che Izzo se n’è scappato. Un altro dettaglio, un’altra amnesia, messa lì, spietatamente, dal caso.
Gennaro, consultando il citofono iberico, sempre molto dettagliato nel fornire l’ubicazione esatta degli appartamenti ai piani, risale immediatamente a dove Rocío vive all’interno del bel palazzo del centro cittadino.
Nel frattempo ha già telefonato allo zio Enzo, che si sta precipitando a raggiungerlo.
Tutto questo Rocío, ovviamente, non lo sa. Non sa che un pericoloso killer della camorra sta venendo a casa sua. Alla ricerca disperata di Stefano Izzo.
Per ucciderlo, ovviamente.
Non sa che la sua vita è in pericolo. Né può immaginarlo, perché sta andando tutto bene. Fin troppo bene. Un lavoro di successo, che le regala la prima fila nella Barcellona che conta – sì, proprio lei, la povera andalusa proletaria trapiantata nella grande città del commercio e degli affari. E un amore ritrovato, che sembra essere finalmente quello giusto.
Non lo sa che, mentre scruta pensosa il guardaroba per decidere quale vestito mettersi all’importante cena di lavoro delle 21, Enzo Varrella sta guidando a velocità folle verso il suo appartamento.
Enzo sa di essere braccato. L’ha sentito alla televisione, trenta secondi prima che il nipote lo chiamasse. In quel momento ha compreso nella sua interezza quel messaggio ambiguo fattogli pervenire da Ciro Cimmino la mattina stessa, al Mercato della Boqueria… quel messaggio così sibillino. Tre parole. “Aspetta gli eventi”.
Lo aveva intuito. Ora però ne è certo: quel messaggio significa una condanna al carcere.
“Penseremo noi a tutto”, aggiungeva Cimmino nel biglietto.
No, non sono parole rassicuranti. Non sono garanzia di una vita da uomo libero. Il vero significato è un altro: alle spese per il tuo avvocato e agli aiuti economici per la tua famiglia spagnola, francese e napoletana provvederemo noi. Punto. Nient’altro.
Questo è il vero senso della seconda parte del messaggio.
Enzo ha sperato fino all’ultimo di avere capito male. Ma ora ne è sicuro. Cimmino lo ha venduto. Le ragioni di Martínez hanno avuto la meglio.
“Affanculo Cimmino, affanculo Martínez”, ripete Varrella mentre sfreccia verso Plaça Catalunya, per imboccare Ronda San Pere e puntare verso Carrer Girona, nel traffico della sera. Il codice criminale imporrebbe di arrendersi. E lasciar fare alla cosca. Ma Varrella è una testa calda. E non intende cadere, senza averci almeno provato.
Uccidere Izzo, quel fottuto detective che sa chi è e dove sta, per fargliela pagare. Ed eliminare contemporaneamente l’unico testimone oculare dell’omicidio di Jorge Martínez. Due piccioni con una fava.
Poi una bella latitanza, per far calmare le acque. E farsi perdonare, forse, un giorno ancora lontano, dal boss Cimmino.
Lo ha visto al Mercato, la mattina stessa. Cazzo, ma che si crede, Izzo… di essere più furbo di lui? Di essere più bravo di un camorrista vero? Con i controcazzi? Lo avrebbe dovuto ammazzare a Lanzarote. Ma ora ha una seconda chance. Finalmente.
“Varrella non perde mai. Varrella è il migliore. Anche di quel rotto in culo di Cimmino”, impreca mentalmente.
Tutto questo Rocío Hernández non lo sa. E non lo sa neppure quando esce qualche secondo sul balcone a gustarsi il sole che cala all’orizzonte, avvicinando di qualche ora l’arrivo, ormai prossimo, dell’estate. La stagione che Rocío preferisce, a Barcellona. Sì, troppi guiris, troppi turisti. Ma vuoi mettere prendersi mezza giornata di permesso dal lavoro e andare in metropolitana fino in spiaggia? In quale grande città europea lo potresti mai fare? Stendersi al sole, guardare l’orizzonte… e dimenticare tutti i problemi?
Rocío intravede, prima di rientrare in casa, quel motociclista un po’ goffo che arriva come un pazzo sotto l’edificio. Quell’uomo basso e tarchiatello che -senza togliersi il casco- punta dritto verso l’ingresso del palazzo. Sorride, osservando quella figura involontariamente comica. “Di solito i motociclisti sono alti e muscolosi”, pensa mentalmente. “Tutti alti, belli e muscolosi… almeno in pubblicità”.
Rocío rientra nell’appartamento, decisa ad andarsi a fare una bella doccia.
Pochi piani più sotto Enzo Varrella trova la porta di ingresso dell’edificio aperta. Il nipote Gennaro lo aspetta. E gli indica l’appartamento di Rocío. Lui resta giù, a fare il palo.
Xavi invece arriverà pochi minuti dopo, ignorando volutamente la presenza di Gennaro. Se lo può permettere: Gennaro, semplicemente, non lo conosce.
Xavi sa però chi è Gennaro. E sa pure che non costituisce il pericolo principale. Almeno adesso. Xavi sa già tutto. Glielo ha detto Stefano Izzo al telefono.
Quello stesso Izzo che, come in una premonizione, ha visto in anteprima, nella sua testa trasportata da un taxi lanciato a velocità folle nella Barcellona del traffico di fine giornata, il dipanarsi inarrestabile di un film dell’orrore. Al quale rischia di assistere impotente.
Gennaro si limita ad osservare Xavi: non ha la faccia del poliziotto, però appare un po’ troppo trafelato.
Mentre pensa a come fermarlo, sopraggiunge una madre con due bambini. Gennaro, che alla scuola della camorra ha conseguito ottimi voti come segugio, ma pessimi giudizi come uomo d’azione, perde tempo nel mantenerle la porta aperta. Forza un sorriso a mezza bocca rivolto alla signora, mentre osserva Xavi dileguarsi su per le scale.
Toc, Toc, Toc. Colpi alla porta. Colpi sempre più forti.
Rocío resta spiazzata. Poi capisce: sarà quel pazzo di Stefano, che vuole farsi perdonare. Oppure ha dimenticato qualcosa.
Rocío non è né una detective né una poliziotta. Non sa quante precauzioni occorra avere, a questo mondo.
L’ultimo raggio di sole illumina l’ingresso dell’appartamento, portandovi un preludio di tramonto. Tramonto definitivo. Tramonto tragico. Quel piccolo angolo di paradiso sta per essere violato.
Squilla il telefono di casa. Rocío non vi presta attenzione. Non sa che è Stefano Izzo, che la chiama per supplicarla di chiudersi dentro e non aprire a nessuno. Rocío non sa che Stefano ha già provato a chiamarla milioni di volte sul cellulare. Lei però lo ha silenziato ore prima. E non lo ha più rimesso in modalità normale. Per una banale, quanto fatidica, dimenticanza.
Per questo, in preda alla totale disperazione, Izzo ha avuto l’illuminazione: chiamarla a casa.
Rocío non sa che, per una serie di incredibili coincidenze, si è incamminata con le sue stesse gambe verso l’inevitabile. Se solo non avesse invitato Izzo a quell’aperitivo, nel quale voleva, proprio lei, dichiarargli il suo amore. Se solo avesse risposto a quel cazzo di telefono, che continua a squillare ininterrottamente.
Uno squillo disperato, ormai.
Quel telefono è l’ultima strada rimastale per la salvezza. Ma non la vede, ipnotizzata com’è da quegli ultimi istanti di felicità assoluta. E voglia di vivere.
“Joder, Stefano, estás loco…” Rocío si ferma a metà della frase, mentre apre di scatto la porta. Rimane muta, mentre un Varrella furioso la spinge a forza all’interno dell’appartamento. Non sa chi sia quell’uomo. Poi ricorda improvvisamente di averlo appena visto entrare nel palazzo, con ancora indosso il casco. Non se l’è mai tolto.
“Dov’è Izzo?”, la minaccia.
“Chi è lei?”
Varrella ora le punta la pistola alla testa. Rocío ha capito che questo non è uno scherzo. E che il gioco in cui si è messo Stefano è maledettamente pericoloso.
Putroppo, lo ha capito tardi.
“Hai una sola possibilità, idiota. Dimmi dov’è Izzo, o ti faccio esplodere il cervello”. Varrella è accecato dalla rabbia. Nota la prorompente bellezza di Rocío. Però è solo un lampo, nella sua testa. L’ira prevale. Torna a concentrarsi sulla sua missione omicida.
“Non lo so, se ne è andato dieci minuti fa”, risponde Rocío. Ora in lacrime.
Rocío che si appoggia, o meglio, si riversa paralizzata con tutto il suo peso, su un armadio bianco alle sue spalle. Quello che aveva comprato ai saldi di gennaio. Una vera follia, lo aveva pagato, nonostante fosse fortemente scontato. Ma era il suo preferito.
Varrella è a mezzo metro. La pistola puntata.
Il dubbio che la donna dica la verità lo lascia indeciso sul da farsi.
È proprio in quell’istante che l’unica -debole- possibilità di salvezza per Rocío sfuma. Per un altro, incredibile, scherzo del destino.
“Fermo, polizia!”, improvvisa Xavi, appena entrato dalla porta principale.
Xavi, purttroppo, è un bravo ragazzo. Non è armato, per scelta. Non ha mai voluto portare una pistola. “Faccio il detective, non il killer”, aveva spiegato alla moglie una sera a cena, dopo la chiusura di un caso particolarmente pericoloso. Lei lo aveva supplicato di tenerne con sé una, almeno nelle situazioni più difficili. Ma non c’era stato verso di convincerlo.
Anche Xavi, come Gennaro Varrella, è un ottimo segugio, ma, esattamente come lui, è inadatto alle situazioni di azione estrema. Avrebbe potuto arrivare alle spalle di Enzo e stordirlo con un qualsiasi oggetto. Varrella non lo ha visto, né sentito arrivare: invasato com’è, si è dimenticato di tenere sotto controllo la porta d’ingresso, rimasta spalancata.
Xavi però, colto dal panico alla visione di una donna sotto la minaccia di una pistola, pensa alla cosa più semplice. Spaventare l’aggressore. Metterlo in fuga.
E commette un errore fatale.
Xavi non vede arrivare la pallottola che gli trafigge il cuore, tagliandolo in due. Perché Enzo Varrella sarà uno sfigato, basso e tracagnotto. Ma come killer è uno dei migliori della cosca Cimmino. Il detective non ha neppure il tempo di dedicare un ultimo pensiero a sua moglie. A quella donna che lo aveva reso felice. E con cui si è sposato solo pochi mesi prima. La morte sopraggiunge istantanea.
“No!”, urla Rocío, in preda ad una crisi isterica. La sua vita, così solare e felice fino a dieci minuti prima, è bagnata dal sangue di un ragazzo che lei neppure conosce, freddato sulla porta di casa sua.
La seconda pallottola di Varrella parte nell’esatto istante in cui l’ultimo raggio di sole abbandona l’ingresso dell’appartamento di Rocío. Nell’esatto istante in cui l’ultimo tramonto della vita della giovane andalusa approda in quell’angolo di casa. Nell’esatto istante in cui Stefano Izzo paga il tassista, senza capire neppure quanti euro gli stia lanciando addosso, impaziente com’è di salire da Rocío. E scongiurare così l’inevitabile.
Rocío Hernández percepisce solo il clic del dito di Varrella sul grilletto della semiautomatica. Non vede il cane dell’arma colpire l’innesco, attraverso il percussore, portando all’uscita meccanica del proiettile dalla volata della canna alla velocità di mille metri al secondo.
Una simile velocità le impedisce, come ha impedito a Xavi, di vedere la pallottola destinata al suo cervello.
In una frazione di secondo però la intuisce.
In quella frazione di secondo la sua mente ha il tempo di elaborare rapidissime immagini della vita che avrebbe potuto essere. La sua carriera sempre più in ascesa, le sue estati in spiaggia a contemplare il Mar Mediterraneo, le visite estive ai parenti andalusi. E, chissà, il matrimonio con Stefano Izzo. Sarebbe stato tutto così perfetto.
Già, la vita che avrebbe potuto essere.
E che non sarà mai. Il mobile bianco, quel bel mobile bianco comprato coi saldi al centro commerciale Maremagnum, in una tiepida giornata di sole invernale, si imbratta del sangue di Rocío.
Rocío che cade, a peso morto, per terra. Rimanendo distesa. I suoi bei capelli neri, che hanno fatto girare la testa alla metà degli uomini di Barcellona, le ricoprono delicatamente gli occhi e il viso, in un ultimo atto di pietà del destino.
Varrella, quella fottuta testa calda di Enzo Varrella, l’uomo di cui Ciro Cimmino un giorno disse, ridendo, “È uno che prima spara e poi pensa”, capisce che ora gli resta una sola cosa da fare.
Fuggire.
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