Ma la ragione per cui non voleva alzarsi, per cui non voleva muoversi da quella sedia di plastica rossa, era più fanciullesca.
Si era alzato presto, aveva cambiato due treni e preso un autobus dalla stazione per incontrarsi col dottor Mainz; fino a quando il suo scopo non fosse stato raggiunto, non si sarebbe permesso nessuna distrazione, nemmeno quelle corporali.
La mano sinistra teneva schiacciate, sul sedile della sedia vicina, le fotocopie del referto di Olivi, per impedire che se ne volassero da qualche parte.
Il contatto con la carta ruvida della busta, che conteneva quei fogli, aveva il potere di tranquillizzarlo.
Aprì delicatamente la busta e ne estrasse il contenuto.
Come già sul treno, quella nuova scorsa confermò che lo psichiatra non aveva cambiato idea e considerava ancora la sua salute mentale gravemente compromessa da un’acuta forma depressiva.
Deglutì nuovamente, nel tentativo di dare sollievo alla gola che reclamava un po’ d’acqua.
A una quarantina di metri rispetto a dove Luigi era seduto, lo sgargiante aspetto di un distributore automatico, grazie alla caparbia scaltrezza di un grafico, prometteva, alla stregua delle nenie delle sirene omeriche, delizie inenarrabili.
Una bottiglia di vetro emergeva dal ghiaccio, imperlata da goccioline dall’aspetto freddo e dissetante.
L’arsura nella gola di Luigi divenne urgenza e lo portò a infilarsi una mano nella tasca dei pantaloni.
Non aveva previsto di fermarsi per la notte, quindi gli unici franchi che aveva con sé erano quelli ricevuti come resto per un panino al prosciutto al bar della stazione. Tra la manciata di euro che estrasse dalla tasca trovò anche due monete da due franchi e una da dieci cent.
I franchi svizzeri non costituivano un’eccezione rispetto alla superiorità dell’euro italiano.
Le monete svizzere presentano erbe alpine su una faccia ed Elvetia scudata, o di profilo, nell’altra.
Guardando quelle monete, Luigi non poté non inorgoglirsi una volta in più. La maggior parte degli euro stranieri che gli erano capitati per le mani, raffiguravano erbe di qualche genere e profili di monarchi.
Il castello di Federico II, la Mole, il Colosseo, la Venere di Botticelli, Forme uniche della continuità nello spazio di Boccioni, l’inconfondibile naso di Dante. Chissà cos’altro avremmo potuto sfoggiare se ci avessero permesso di personalizzare anche le banconote.
Rinunciò ad acquistare un croccante per un fastidio ai denti e tornò a sedersi con una lattina di coca.
Nell’alzarsi, aveva notato di aver lasciato un alone di sudore sul sedile in plastica. La cosa lo aveva disturbato parecchio, anche se il vecchio, dimenticato nel suo accappatoio qualche sedia più in là, non sembrava averci dato peso.
Sollevò la linguetta della lattina e bevve a piccoli sorsi, come aveva insegnato a Elisa. Quando era piccola, dopo aver fatto una corsa, si sedeva sulle sue ginocchia e lui le ricordava sempre di non bere in fretta, in modo da evitare che le lacrimassero gli occhi.
«Signor Pinardi? Prego, tocca a lei.»
L’infermiera, trent’anni circa di graziosi lineamenti teutonici involgariti da una coda bassa e dall’assenza di trucco, che le conferivano un’aria vagamente sciatta, fece accomodare Luigi nello studio privato del dottor Lucas Mainz.
I due uomini si salutarono con una stretta di mano.
Luigi trovò vigorosa la stretta del dottore. Coi suoi 185 centimetri d’altezza Mainz sovrastava di più di dieci centimetri Luigi.
Da quando aveva superato i cinquant’anni, ogni stretta di mano, ogni scontro fortuito con un passante, lasciavano in eredità a Luigi la dolorosa certezza che la sua aitanza da ex runner amatoriale stesse scomparendo, e aveva la convinzione che fosse stato proprio quel contatto a travasare un po’ del suo vigore nel corpo dello sconosciuto.
Con gesti concitati, da roditore, il dottor Mainz si sedette dietro la sua scrivania e iniziò a sfogliare febbrilmente il calendario da tavolo coi suoi occhietti chiari, nascosti dietro piccole lenti dalla montatura rotonda, che disegnavano una certa armonia rassicurante sopra il naso camuso punteggiato da efelidi.
Si ravvivò i capelli biondastri, tenuti a spazzola, e incoraggiò Luigi a sedersi di fronte a lui.
«È sempre un piacere vederla, signor Pinardi, spero sia andato bene il viaggio» esordì il dottore giocherellando con una stilografica trovata nel taschino del camice.
«Sì, sì… Abbiamo accumulato un po’ di ritardo superata Sondrio, ma dopo tutto bene.»
«Non c’erano dubbi che dopo sarebbe andato tutto bene, qui siamo in Svizzera, non scherziamo con gli orari.» Mainz fece una pausa da monologhista consumato, affinché il suo pubblico potesse digerire la battuta. «La ringrazio per essere venuto così velocemente anche se, come le avevo detto nell’e-mail, sarebbe potuto passare a ritirare gli esiti anche la prossima settimana.»
«Lo so… Ma venire qua è comunque qualcosa di diverso.»
«Gli ultimi esami, sia del sangue che delle urine, non hanno rivelato niente di preoccupante. L’unica cosa da segnalare è una lieve forma di anemia, le consiglio un maggior consumo di carne rossa.»
«Ci proverò!» glissò Luigi che non aveva nessuna intenzione di disquisire con Mainz su quanto fosse iniquo l’ammontare della sua pensione.
«Bene… Con gli esami clinici noi avremmo finito… Signor Pinardi, ne abbiamo già discusso più volte e non voglio obbligarla ad affrontare nuovamente un argomento che, mi rendo conto, non è certo facile per lei, ma mi sento in dovere di ricordarle che è una scelta che spetta solo a lei e può cambiare idea in ogni momento.»
«Sa già come la penso, dottore.»
«Volevo solo ricordarglielo… Se è quanto ha deciso, fissi un appuntamento con la mia segretaria per la data del ricovero. Noi abbiamo già una copia della perizia della dottoressa Stüber. Ci serviranno delle copie del referto del suo psichiatra curante…»
«Sì, le ho con me!»
«Perfetto, e una copia del verbale della commissione medica che l’ha visitata prima della pensione.»
«Non sapevo di doverla portare, non mi è stato detto…»
«Non c’è motivo di preoccuparsi, ce ne manderà una copia via fax. Comunque, in segreteria le sapranno dare tutti i dettagli sulle formalità da sbrigare e sui documenti necessari, eventualmente non si faccia scrupoli a fare domande per qualsiasi dubbio le dovesse venire in mente, vedrà che sono molto cortesi. Arrivederla, signor Pinardi.»
Simona
“L’amaro in bocca” è un libro che lascia, appunto, con l’amaro in bocca – e non solo per quel pezzetto di cioccolato con cui si chiude la vicenda. “L’amaro in bocca” parla della scelta della morte, del suicidio assistito – una cosa allegra, insomma, all’altezza delle letture di questo blog.
In realtà, il libro è davvero una storia frizzante, scritta in modo fluido anche nei punti più cupi. Il nostro protagonista, Luigi, è un uomo comune: era un padre, fino a quando la figlia non è morta in un incidente d’auto, ed era un marito, fino a quando la moglie Linda non è andata via di casa. Ora, Luigi è un uomo di routine, di piccoli piaceri e di quotidianità. Non c’è più il lavoro, sottratto da una diagnosi di depressione e da un pensionamento anticipato – e non ci sono più le piccole gioie della condivisione del quotidiano. E tutto questo lo porta su un treno veloce, verso un destino che già vi ho spoilerato alla prima riga.
Non ci sono grandi riflessioni filosofiche o etiche, in questo libro, anzi: credo che la cosa più sconcertante sia l’assenza di riflessioni, l’assenza di personaggi che possano avere un opinione su questa vicenda, che possano opporsi. Abbiamo una ex-moglie che si è ricostruita una vita, abbiamo una vicina di casa con cui guardare un film ogni tanto, abbiamo le ragazze della biblioteca che si sono affezionate a questo Signor Pinardi. Ma nessuno sa nulla del desiderio di Luigi di porre fine a tutto – e nessuno può dire la sua, fermarlo prima del viaggio verso la Svizzera.
Il problema di fondo, in realtà, non credo sia la clinica a cui ricorre Luigi – quanto più il contesto, il quadro che l’ha portato a compiere questa scelta. Possiamo discutere all’infinito sul fatto che sia etico o meno avere cliniche in cui si possa legalmente chiedere di morire, possiamo discutere all’infinito sul fatto che la medicina possa o non possa essere usata per porre fine a una vita – ma la realtà è che le motivazioni di Luigi sono le stesse di chi cerca il suicidio in modo autonomo, in modo spesso pubblico, più umiliante e meno dignitoso. Il problema è a monte – e forse è su questo che dovremmo discutere: cosa potremmo fare, per impedire che si arrivi a pensare al suicidio?
https://escherichialibri.wordpress.com/2017/10/14/lamaro-in-bocca/