«Allora…»
È il momento tanto atteso.
«… il computer mi dice: Giovanni Mambretti, nato a Milano il 10 ottobre 1930…»
«Il 10 ottobre, sì, come oggi… è il giorno del mio compleanno…»
«Senta, non ha visto che fila? Non abbiamo tempo da perdere qui. Allora, le stavo dicendo… pensione numero eccetera, eccetera, residente a Vinovia, Oltrepò Pavese, provincia di Pavia, presso la residenza per anziani La Casa del Riposo, eccetera, eccetera, che gode anche della reversibilità della moglie Ersilia Covoni in Mambretti, nata eccetera, eccetera, morta il eccetera, eccetera, eccetera. Il suo assegno pensionistico ammonta a 1.986,50 euro al mese.»
«Si, 1.986,50 euro.»
«Allora…»
La tensione del signor Giovanni è al massimo. Per fortuna che il suo cuore è ancora in ordine, un po’ meno la pressione, leggermente più alta del dovuto, che cura con uno spicchio d’aglio crudo ogni mattina a digiuno, prima del caffelatte.
Nonostante ciò sente i battiti a mille. Ci vorrebbe un po’ d’acqua. La chiede.
«Stia calmo, gliel’ho già detto, non è altro che una semplice formalità, non deve preoccuparsi, non si agiti. Tra un attimino abbiamo finito e proprio qui di fronte c’è un bar. Ora però mi lasci lavorare, non vede che fila? Allora, stavo dicendo…»
Il signor Giovanni vorrebbe rispondergli per le rime ma, senza sapere perché, dice: «Scusi sa, non volevo interromperla, mi scusi ancora».
«Allora, ecco qua la sua risposta, ora la stampiamo e lei è servito.»
Si volta verso la stampante, prende il foglio che il computer ha dettato e lo porge al signor Giovanni.
«Avanti il prossimo.»
Il signor Giovanni Mambretti si alza e torna nella sala d’attesa dove ritrova la sua amica filippina.
«Come è andata?»
«Bene, ho qui l’esito.»
«Sono contenta per lei, ora però la saluto perché hanno chiamato il mio numero.»
«Buongiorno e auguri.»
Si rimette sciarpa, cappello e cappotto, siamo all’inizio di ottobre ma fa già freddo, ed esce. Non entra al bar, gli è passata la sete, è solo ansioso di ritornare a Vinovia.
Pensa che quando sarà di nuovo nella sua camera potrà leggere il responso. Non è per scaramanzia che decide di attendere; è che ha dimenticato di portare con sé gli occhiali e, se da lontano ci vede ancora molto bene, da vicino è una tragedia.
Che stupido sono stato, come ho fatto a dimenticarmene?
Sul treno è quasi tentato di farsi leggere il documento da qualche passeggero, ma si trattiene. Manca solo che mi prendano per un analfabeta.
Tiene duro anche sulla corriera che dalla stazione di Voghera lo riporta a Vinovia; lì trova dei conoscenti ai quali potrebbe rivolgersi, loro sanno bene che non è analfabeta, ma in questo caso, prevale la sua riservatezza.
Entra nella Casa del Riposo proprio mentre le campane battono tre tocchi grandi e due piccoli.
Sono già le tre e mezzo, pensa, e da ieri sera sono in pista solo con una fesa d’aglio, due caffè corretti e un bicchiere d’acqua.
Decide di passare dalla cucina, dove una suora caritatevole gli prepara un panino col prosciutto cotto e della fontina, mentre si versa da solo un bicchiere di Cortese.
Il signor Giovanni ringrazia, prende il vassoio con la merenda e sale in camera sua.
Qui giunto, si libera del cappotto, del cappello, della sciarpa e si toglie anche la giacca. Rimane in maniche di camicia e, seduto al suo piccolo scrittoio, si mette alla ricerca degli occhiali.
Dove diavolo li avrò lasciati? Ripensa ai movimenti della mattina: sveglia, doccia, barba… Ecco dove sono! Sono certamente in bagno, me li tolgo sempre prima di passarmi il dopobarba sul viso. Va in bagno, convintissimo di trovarli, ma degli occhiali non c’è traccia.
Ritorna a ragionare: sveglia, doccia, barba, caffè corretto, poi corriera, treno… Ma certo, che stupido sono. Quando ho fatto il biglietto non potevo non averli. Stupido, stupido, hanno ragione di dire che da vecchi…
Non completa la frase, rientra in camera, fruga nel taschino della giacca e finalmente li trova. Ecco dove li avevo messi. Chissà perché questa mattina me li sono tolti. Sto proprio perdendo colpi.
Inforca gli occhiali, guarda distrattamente il suo panino che ora gli sembra superfluo, beve d’un fiato il bicchiere di Cortese, apre bene il documento dell’Inps e legge:
“Il richiedente, signor Giovanni Mambretti, non sta ricevendo la pensione da tre mesi perché è morto esattamente tre mesi or sono”.
Quando è troppo è troppo, e anche una vecchia quercia come lui non riesce a reggere la notizia. Si alza barcollando, esce dalla camera, incomincia a scendere le scale quasi correndo, inciampa e rotola fino al pianerottolo.
È lì che lo trovano un’ora dopo, morto stecchito.
Capitolo 2
Lunedì 10 ottobre, dalle ore 15:55 alle ore 16:30.
Sindrome del compleanno blu per un omicidio perfetto.
«È morto nel giorno del suo compleanno.»
«Povero Giovanni, era una brava persona.»
«Ma come ha fatto a cadere?»
«È morto sul colpo, almeno non ha sofferto.»
«Stava così bene…»
«Ora starà per sempre con la sua amata Emilia.»
«Ersilia volevi dire. Sua moglie si chiamava Ersilia.»
«E per i funerali?»
«Sembra che avesse dei risparmi.»
«Parenti?»
«Nessuno.»
«Non sarà il caso di avvertire i carabinieri?»
«Ma no, cosa dici? È caduto dalla scala. È un fatale incidente.»
«Chissà se aveva fatto testamento!»
È un coro quello che si forma intorno al cadavere del povero signor Giovanni Mambretti, mentre il medico lo visita per l’ultima volta e le suore della Casa del Riposo al gran completo recitano a bassa voce un Padre Nostro.
Un coro di frasi buttate lì direttamente dal cuore, ma senza trascurare la realtà dei fatti, che è composta anche di incombenze, di soldi e di interessi.
I vecchi sono così preparati alla morte che possono permettersi anche un po’ di sano cinismo.
Sono tutti lì, nemmeno tanto stupiti, perché alla loro età la morte non fa più paura.
«È previsto un cambiamento per la cena?»
«Oggi a te, domani a me.»
«Pensa che potrei trasferirmi nella sua camera? La mia è così piccola…»
«Ma era poi riuscito a capire perché non gli davano più la pensione?»
«Certo che morire così…»
«Andrò a ritirare il mio abito nero, l’ho portato in tintoria solo due giorni fa.»
«Non ha perso nemmeno tanto sangue, visto la caduta che ha fatto.»
«Ora mi ci vuole proprio una bella grappa.»
Poi il coro si disperde, tutti si allontanano e rimangono solo le suore con il medico.
«Ora lo potete spostare.»
Le suore, mentre il medico si allontana, si accingono a sollevare il cadavere, ma vengono bloccate .
«Non ancora. Andate, andate pure, rimango io con lui. Chiamatemi l’Egregio, ditegli di raggiungermi qui per favore.»
A dire queste ultime parole è la madre generale, suor Palmira, e tutti le ubbidiscono.
L’Egregio è da lei dopo pochi minuti.
«Ero nel mio laboratorio a fare delle ricerche etimologiche.»
«Ha visto?»
L’Egregio annuisce e poi chiede il permesso di salire nella camera del Mambretti.
«Mi aspetti qui, madre.»
Torna quasi subito e incomincia a ispezionare il cadavere. Riflette a voce alta: «È in maniche di camicia. Nella sua stanza c’è un panino che non ha nemmeno toccato, e sì che doveva avere fame dopo il viaggio a Milano. Ha invece bevuto un bicchiere di Cortese, come se avesse avuto bisogno di farsi coraggio. Farsi coraggio per poter correre via a cercare aiuto. Qualche cosa deve averlo talmente spaventato da spingerlo a precipitarsi giù, e non era da lui scendere le scale frettolosamente. Assumeva invece un’andatura elegante, impeccabile… Probabilmente si è sentito mancare, non stava bene. È corso giù barcollando: lo si deduce dalle pieghe sulla passatoia della scala, irregolari, presenti solo uno scalino sì e uno no. Doveva essere in uno stato di grande turbamento… E questo cos’è?».
Girando il cadavere l’Egregio ha liberato la mano destra che nella caduta era finita sotto al corpo.
La mano sta ancora stringendo un foglio tutto appallottolato.
«Il medico non l’ha spostato. Nessuno lo ha toccato prima del suo arrivo.»
L’Egregio si alza, apre il foglio e legge.
«Madre Palmira, grazie. Ora lo può fare spostare.»
«La vedo pensieroso, cos’ha scoperto?»
«Il povero signor Giovanni Mambretti non è stato vittima della sindrome da compleanno blu, come stavo ipotizzando.»
«La sindrome per la quale si tende a morire nel giorno del proprio compleanno?»
«Sì, pare che sia più diffusa di quanto ci si immagini, anche se vengono ricordati solo i casi dei personaggi famosi, come Shakespeare per esempio.»
«Ora che mi ci fa pensare, è capitato anche qui da noi qualche volta, ma si è sempre trattato di morti naturali.»
«Quella di Mambretti non è stata una morte naturale.»
«Già, la caduta dalle scale…»
«Certo, le scale, ma non è tutto. Credo che Giovanni Mambretti sia stato assassinato.»
La madre generale si fa il segno della croce e con un filo di voce domanda: «Ne è proprio sicuro?».
«Si tratta di un omicidio differito, per il quale nessuno verrà mai incriminato, una sorta di delitto perfetto.»
Madre Palmira rispetta molto l’Egregio per metterne in discussione le ipotesi e non può che annuire. In cuor suo, però, nutre qualche dubbio e per questo ripete: «Ne è proprio sicuro?».
«Come del fatto che noi siamo qui in questo momento.»
«Devo avvertire i carabinieri, allora?»
«Non serve, gliel’ho detto: siamo di fronte a un delitto perfetto. Nessuno lo ha spinto giù dalle scale. Non c’è stato alcun avvelenamento. L’assassino è e rimarrà anonimo. Non avrà mai un volto. Non ci sarà nessun processo e nessuno verrà mai condannato. Non ci resta che pensare a un degno funerale.»
L’Egregio sta per andarsene, ma ci ripensa. Torna sui suoi passi. Quasi si inginocchia davanti al cadavere. Gli mette una mano sulla fronte e, a bassa voce, lo si sente dire: «Ti prometto che la pagheranno, la tua morte non sarà dimenticata».
Infine, rivolto a madre Palmira dice: «Madre preghi per lui».
«Sia lodato Gesù Cristo.»
«E sempre sia lodato.»
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