Ore, giorni o forse epoche più tardi, la sua consapevolezza si destò ancora, più vigile questa volta, e con la lucidità giunsero anche altre nuove e poco entusiasmanti sensazioni. Lividi, escoriazioni, dolore alle giunture, contusioni, geloni, tagli… non c’era un centimetro della sua figura che non dolesse come se fosse stato calpestato da una carica di barbari sanguinari.
Fu tentato di tornare tra le nebbie del sonno dove il dolore era lontano, ma non poteva continuare a ingannarsi: presto o tardi avrebbe dovuto affrontare la realtà.
Provò a focalizzare la sua attenzione sulle sensazioni che giungevano dal suo corpo, una periferia che sembrava distante molte miglia dal posto in cui stava galleggiando la sua coscienza. Il dolore non era poi così forte: nessuna ferita seria, probabilmente. Questo era consolante, però faceva freddo. Molto freddo.
Stava dannatamente congelando, e questo voleva dire solo una cosa: non era nel letto di una locanda, e nemmeno in un fienile. Lì le temperature potevano essere rigide, ma non in modo così pungente.
Sentiva l’odore della lana intorno a lui, puzzava di cane bagnato. Respirando percepiva una forte umidità nell’aria, forse era proprio per quello che si sentiva così terribilmente intirizzito. L’odore delle coperte umide però non era il più penetrante: c’era un odore terribile, bestiale sotto di esso. Jarren non l’avrebbe saputo identificare con precisione, ma sotto al lezzo acido che gli pungeva le narici percepiva una vaga nota di marcio, di putrefazione.
Intorno a lui i rumori erano lontani, ovattati. Neve. Una bella nevicata, di quelle che sembravano mangiarsi tutti i suoni del mondo, avrebbe potuto scommettere su quello. Il brusio regolare di un paio di voci però arrivava anche attraverso quel muro di ovatta, in parte dovuto alla neve e forse in percentuale maggiore alle condizioni della sua testa. Dovevano essere i suoi compagni di viaggio, oppure era finito prigioniero dei soldati dell’Inquisizione. Uh, quello sì che sarebbe stato un risveglio seccante.
Con grande fatica provò ad aprire le palpebre. La luce del giorno era forte, ma non abbagliante. Anzi, abbagliante era decisamente la parola sbagliata. Dopo qualche secondo i suoi occhi si abituarono a quelle condizioni, e gli permisero di mettere a fuoco la vista. Era il crepuscolo? No, no. Era giorno fatto, ma una volta del tutto sveglio si rese conto di dove si trovassero.
Le nebbie vorticanti intorno al giaciglio dello gnomo indicavano che non si erano ancora allontanati da quel luogo maledetto dagli dei e dagli inferi.
Erano ancora nella Grigia Desolazione.
– Voran! – gridò con tutto il fiato che aveva in gola. Il che al primo tentativo si tradusse in un suono gracchiante che Jarren giudicò un po’ troppo simile allo starnazzare di un papero per essere considerato dignitoso.
Il secondo richiamo andò meglio e, sebbene il suo fisico non fosse molto collaborativo, lo gnomo riuscì a sollevarsi su di un gomito e a guardarsi meglio intorno.
– Jarren, ti abbiamo nuovamente tra noi? Questa è la prima buona notizia da un bel pezzo.
Dei tonfi pesanti annunciarono l’arrivo di Voran, il grosso guerriero nymoreano. La sua mole massiccia si profilò dalle nebbie dense, e si accucciò accanto al giaciglio di Jarren.
Il volto barbuto del guerriero era aperto nel suo consueto gioviale sorriso, ma la pelle del viso era rigata da sporcizia, sangue, cenere e ciocche di capelli incollate alla fronte.
– Ti ho visto in condizioni migliori, caprone.
– Non tutti abbiamo avuto l’occasione di schiacciare un pisolino di diverse ore, sai? Almeno sei, se intuisco bene la posizione del sole in questa dannata nebbia.
– Sei ore? Ecco perché mi sento così sottosopra. Sono troppo poche! Torna tra altre sei e porta con te la colazione, allora forse sarò in grado di apprezzare la tua faccia pelosa.
Dalla nebbia giunsero altri suoni, alcuni familiari, altri della cui origine Jarren non aveva troppa ansia di curarsi.
Un rumore come di un sospiro, qualcosa di grande che si sgonfiava. Passi nella neve. Tintinnare di finimenti e di metallo contro metallo.
– Per favore ricordami cosa è successo, Voran. Io rammento solo che stavo correndo verso il Sacrario, a bordo del carro di quei maledetti fanatici, – Jarren si toccò una tempia, con gli occhi persi nel vuoto – poi tutto si fa nero. Di certo non mi sarei aspettato di risvegliarmi immerso nella neve fino al collo.
– Ti sei perso un bel pezzo della nottata, e la cosa francamente non mi stupisce. Sarei rimasto di stucco nel vederti partecipare un minuto di più a qualcosa che somigliasse anche solo lontanamente a uno scontro armato.
Jarren incrociò le braccia sul petto con uno sguardo fiammeggiante.
– Senza di me sareste stati schiacciati come sardine su due fronti. Immagino che il carro dei pupilli del Reverendo si sia andato a schiantare sul fondo della rupe – lo gnomo non poté che sogghignare al pensiero. – Mi chiedo se la loro fede non li abbia sostenuti nella planata.
– Niente di tutto questo, mi spiace. Ti abbiamo trovato steso nella Navata, ed eri già fuori gioco. Secondo me ti hanno giudicato una minaccia nemmeno degna di una coltellata come si deve.
– Questo mi delude molto, caprone. La parte del carro, intendo: avrei proprio voluto vedere come quelle anime candide si conquistavano il loro posto nei Regni Celesti.
Voran sollevò un sopracciglio – Possiamo ancora organizzare un secondo round: immagino ne sarebbero deliziati.
Jarren ficcò la mano nella neve accanto al suo giaciglio, e ne sventolò una manata verso il compagno, che rise fragorosamente e lo lasciò a stiracchiarsi. Lo gnomo non si reggeva ancora in piedi con la consueta baldanza, ma trattenersi ulteriormente nella piccola conca nevosa in cui l’avevano collocato sarebbe stato ancor più sgradevole. Se i suoi compagni pensavano che sarebbe rimasto fermo in quella pozza di neve sciolta si sbagliavano di grosso, e non c’era modo migliore per scaldarsi un po’ che fare un minimo di movimento.
In direzione del pasto più vicino, possibilmente.
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