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Omega 9 – Carpet dal Mare di Angle

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In un mondo dominato dagli araldi, creature simili ad angeli, gli umani sono considerati esseri deboli e imperfetti e per questo sono stati confinati in una landa inospitale, abitata da mostri e specie pericolose. Ma negli anni hanno sviluppato una tecnologia avanzatissima e, ora che possiedono armi sofisticate e ali meccaniche, hanno dato inizio a una guerra per riconquistare il loro posto nel mondo. L’epica battaglia arriva finalmente a una svolta quando scende in campo la famigerata Omega 9, una squadra di nove guerrieri eccezionali, di cui fa parte il giovane Carpet, l’unico essere umano col dono della magia. Ma non tutto è deciso e il destino non ha ancora calato tutte le sue carte…

 

Omega 9 – Carpet dal mare di Angle

Prefazione: 7 agosto 2012 d.p.
Esplosioni ovunque, fiamme rosse e blu coloravano la terra e il cielo e il verde dei prati era scomparso sotto uno strato nero di cenere.
Come facevano quei dannati umani a essere diventati così forti e a sottomettere la magia degli araldi? Le loro armi colpivano con troppa potenza e velocità rispetto a quanto l’esercito del regno riuscisse a contenere con gli scudi magici. Nei cieli erano sempre stati imbattibili, eppure gli uomini avevano trovato il modo di sopraffarli anche lì. Le loro ali meccaniche sparavano dardi infuocati che generavano spaventosi boati distruttivi.
Il fuoco avvolgeva i corpi dei combattenti che precipitavano a terra in una pioggia di faville incandescenti. Chi restava a terra e combatteva con la spada indietreggiava sotto la raffica dei colpi nemici, cercando solo di non soccombere. La potenza secolare degli araldi era in ginocchio.
Le sorti della battaglia sarebbero però cambiate.
Lo sguardo sorpreso degli uomini fissava le figure maestose che scendevano dall’alto. Il generale della guardia personale della regina veniva in loro soccorso con l’élite dell’esercito. Urla di gioia accompagnavano la discesa del grande araldo che portava una nuova speranza nel cuore di tutti.
Il generale prese la guida degli araldi nell’estenuante difesa della Piana di Seregast.
Nessuno aspettava nelle retrovie, non c’era onore fuori dal campo di battaglia. Soldati semplici e ufficiali combattevano fianco a fianco, uniti dallo stesso ideale e dallo stesso furore.

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Una squadra intera di soldati nemici piombò dal cielo, tutti contro uno, tutti per eliminare il generale. Gli puntarono contro le loro armi e fecero fuoco, scaricandogli addosso raffiche di mitra. Lui si protesse sotto le sue potenti ali. Le piume scoppiarono sotto i colpi e sottili spirali di sangue danzarono dappertutto tingendo l’aria di un colore purpureo. Poi le esplosioni cessarono un istante. Il generale spalancò le ali e dalle sue mani scaturirono fiamme ambrate che spazzarono via i nemici, carbonizzandoli e accrescendo il tappeto grigio e nero sotto di loro.
Altri erano già pronti a rimpiazzare i compagni caduti. L’araldo estrasse la sua spada: un’arma superba, dalle dimensioni impressionanti, una lama nera come la notte senza stelle, tinta dal peccato di mille corpi trafitti in duello.
Un avversario si avventò con troppa foga. All’araldo bastò parare il colpo per fargli perdere l’equilibrio. Alzò il braccio e come un fulmine l’arma divise in due il malcapitato. Una sola goccia di sangue scivolò sulla lama prima di inumidire il terreno.
Diversi uomini tentarono nuovamente di colpirlo ma furono uccisi ancora prima di poter premere il grilletto.
La sua maestria e le sue grandi ali, cosa insolita in un maschio, l’avevano portato a essere un generale dell’esercito di Amelia. Sapeva che in quel luogo era indubbiamente il più forte, ma i suoi araldi invece non erano abbastanza abili e cadevano sotto le raffiche nemiche. Non sarebbe riuscito da solo a far fronte a quei soldati di fanteria e a quei terribili uomini di metallo che solcavano il cielo, reclamandone il dominio; sembravano schiere di aquile in una nube di passeri.
Qualcosa di strano attirò la sua attenzione dopo aver eliminato l’ennesimo avversario. Gli uomini indietreggiarono e smisero di attaccare.
Il generale spinse a terra con un calcio l’uomo che gli stava davanti, disarmandolo. Gli occhi del giovane che stava ai suoi piedi brillarono di paura quando le lacrime iniziarono a riflettere il sole dietro le spalle dell’araldo.
Il ragazzo vedeva controluce solo la sagoma di chi lo stava per eliminare. Il generale distolse invece lo sguardo.
Non è facile guardare negli occhi l’uomo che stai per uccidere.
Gli invasori batterono la ritirata. Senza perdere tempo il generale ordinò la conta dei feriti, portando in salvo chi si poteva ancora salvare. Quel che rimaneva degli avversari erano per lo più accozzaglie di metallo, ossa spappolate e brandelli di carne sparsi ovunque come frattaglie per gatti. Gli araldi caduti, come quelli, offrivano uno spettacolo di ammassi di carne e ali spezzate, come colombe bianche tinte di rosso.
Il generale si avvicinò a un uomo agonizzante a terra, che si muoveva ancora e tentava inutilmente con la mano di raggiungere la sua arma. Gli puntò un piede in mezzo al petto e ci si appoggiò con tutto il peso, poi l’oppresse fino a togliergli il respiro e svuotargli tutta l’aria dai polmoni, finché non sopraggiunse la morte a dipingergli una smorfia permanente sul viso.
Improvvisamente un sibilo assordante fece tacere per un attimo ogni singolo essere vivente e tutti si fermarono con il naso all’insù. Un dardo dalla coda di fuoco si innalzava sempre più in alto nel cielo per poi puntare verso di loro. Il generale sapeva che stava per vedere morire tutti i suoi sottoposti e solo lui poteva sperare di fermarlo. Volò fino al punto dove gli sembrava che il dardo volesse colpire e aspettò l’impatto. Alzò una delle sue splendide ali rosse, raccolse tutta la sua energia e ve la infuse, poi la usò come scudo riparandosi sotto e cercando nel contempo di proteggere i suoi araldi.
L’attacco fu violentissimo, tanto da farlo sentire come schiacciato da una montagna e da renderlo sordo alle urla dei suoi compagni e al resto del mondo. Tutto divenne buio intorno a lui. Tutto stranamente silenzioso.

Recuperò parzialmente i sensi molto tempo dopo. Sentiva delle figure informi e sfuocate parlare di lui. Li riconobbe come alcuni dei suoi.
«Lasciamolo qui e fuggiamo nelle retrovie!» urlò uno di loro.
«Ma ci ha appena salvato la vita» disse un altro.
«Non può farcela nelle sue condizioni e poi anche se riuscisse a cavarsela… guardalo… guarda com’è ridotto. Preferirebbe anche lui togliersi la vita che viverla come un lurido umano.»
«Ma…» balbettò il secondo.
«Credi che riuscirebbe a tornare dalla sua regina?» continuò l’altro.
«Forse hai ragione… anche gli altri sono stati lasciati indietro e per lui non valgono eccezioni.»
«Anche se ha compiuto un atto eroico non ha onore. Facciamo in modo che non perda quel che aveva e ricordiamolo così come è sempre stato.»
«Onore?» continuò un altro. «Sai che l’onore è un dono divino e che deve essere salvaguardato e non distrutto. Sapeva bene a cosa andava incontro. L’onore è l’onore… e lui non ne ha più!» disse prima di andarsene.
Gli altri lo seguirono dando un ultimo sguardo al loro generale.
Uno di loro, il più giovane, si fermò per dargli un misericordioso colpo di grazia. Il generale cercò con gli occhi il volto del compagno rimasto.
Non è facile guardare negli occhi colui che ti sta per uccidere.
Il giovane esitò, poi cambio idea e prese di corsa il volo per raggiungere i compagni.
Con una sensazione terribile che gli correva come un brivido sulla pelle il generale tentò faticosamente di dispiegare le ali. Ci provò ma non ci riuscì. All’improvviso sentì delle rocce scostarsi dai brandelli laceri della sua ala sinistra; era mal ridotta ma la distingueva ancora benché avesse la vista offuscata. Si sentì rincuorato.
Ora la destra, pensò.
Cercò invano di muoverla ma non la vedeva, né sentiva. Aveva paura. Un terrore viscerale lo paralizzò quando con la mano riuscì a tastare il moncherino che vi era al posto dell’arto. La scoperta gli gelò il sangue, facendolo svenire nuovamente con la speranza che si trattasse di un incubo o, nel peggiore dei casi, che lo raggiungesse la morte, sorte migliore di quella che gli era toccata.

1 febbraio 2012 d.p.
Il ragazzo varcò la porta della biblioteca. Conteneva innumerevoli libri ed era la più grande della nazione. Il chiarore delle lampade elettriche rischiarava le stanze sotterranee dove si trovava e assieme agli scaffali proiettava lunghe e inquietanti ombre che si stagliavano sulla muratura laterale. Il locale era situato dieci metri sotto terra con delle pareti molto spesse, in modo che nessun cataclisma le potesse distruggere, e un cuore di resine isolanti per non far filtrare l’umidità. In fin dei conti quasi tutti gli edifici più importanti della federazione erano nascosti all’occhio vigile del nemico.
Le mura di alcuni corridoi e dei saloni principali avevano affreschi magnifici, raffiguranti paesaggi che il ragazzo non aveva mai visto e che mai avrebbe potuto immaginare. Le enormi scaffalature di ciliegio, ricche di intarsi floreali dallo spessore di un pugno per poter sostenere l’intero peso di quei libri, erano sparse per le sale senza un ordine ben preciso ma con un effetto avvolgente che invogliava a scoprire i misteri che contenevano.
Il giovane era interessato a un libro in particolare. L’aveva scorto dietro ad alcune pile di volumi storici e sembrava che fosse stato nascosto di proposito. Non era però riuscito ancora a sfogliarlo e, sentendo di doverlo fare, lo aveva rimesso dov’era, sperando che non lo trovasse nessuno prima del suo ritorno.
Oltrepassò due scaffali prima di infilarsi in un corridoio illuminato solo da una flebile luce. Sembrava che quell’ala della biblioteca non fosse curata da anni e che fosse abbandonata, come se non interessasse a nessuno. In fin dei conti, dopo l’incendio dell’archivio del governo avvenuto agli inizi del Novecento, tutti i libri che erano stati raccolti e salvati, la maggior parte provenienti da Andalia, furono accumulati e stoccati alla rinfusa nel nuovo stabile sotterraneo e, dopo un secolo, la maggior parte non era ancora stata catalogata.
Per ora se quel luogo fosse curato o meno non importava molto. Il ragazzo puntava dritto alla sua meta sperando che nessuno avesse deciso proprio quel giorno di esplorare quell’area.
Giunto alla fine del corridoio si diresse verso il libro e lo tirò fuori dal suo nascondiglio. Si sedette sul pavimento e incominciò ad accarezzare la copertina in pelle antica. Al solo contatto sentì una sensazione strana, una scossa pervadergli la mano. Nonostante gli anni, la pergamena non era molto rovinata e, sfiorandola appena, pareva di toccare la pelle umana: liscia e ancora morbida. Sembrava un diario e le pagine erano scritte a mano con una calligrafia elegante e ricercata come si usava fare più di un secolo prima. Recava incisa sulla copertina la scritta Il Nostro mondo.
Tra quei libri di storia il giovane aveva imparato più di quello che veniva insegnato ai ragazzi della sua età. Tutti sapevano che gli uomini furono esiliati in quelle terre da mostri alati che vivevano in un luogo lontano. Veniva invece evitato di raccontare, almeno in tenera età, che gli umani discendevano da quegli stessi mostri. Da più di due secoli, essi regnavano in quella terra, resa quasi ospitale, facendo sorgere città ed evolvendo sempre più il loro stile di vita grazie a innumerevoli ricerche in campo tecnologico e scientifico. Separate da moltissimi anni, le due razze non trovarono più modo di rapportarsi, né in modo costruttivo né con vere e proprie battaglie, tranne che in occasionali scontri in mare aperto.
Il nuovo governatore del regno, però, aveva deciso che fosse giunta l’ora di trovare nuovi territori e più risorse per la sussistenza del popolo. Aveva dunque incitato le masse alla guerra. Utilizzando come pretesto la vendetta nei confronti di un ingiusto esilio e rivendicando come proprie le terre al di là del mare, Sever Caus creava la sua personale dittatura, interrompendo quel clima pacifico che si era instaurato dopo la rinuncia, o dimenticanza, a una voglia di rivincita che non sentiva più propria.
Aprendo il diario, il ragazzo lesse il nome dell’autore: “Desmond Choris, 1775 anni dopo il patto”.
Quasi duecentoquaranta anni fa, pensò tra sé il giovane prima di rimettersi a leggere.

Queste sono le mie memorie. Per voi, figli miei, perché possiate capire la mia vita e comprendere le mie azioni; perché possiate continuare il mio operato e possiate rendere vivibile questa terra. Il nostro destino è tutto da scrivere e ciò che saremo renderà onore alla nostra vita presente. Quello che voglio è un mondo senza pregiudizi nei nostri confronti. Noi non siamo diversi e non meritiamo di pulire le latrine di quegli indottrinati al culto di Anyax e Vanth. Il loro potere non è un dono divino, perché è divino essere giusti col prossimo e loro non lo sono. Quello che voglio è una vendetta nei confronti di mia madre che mi ha abbandonato. Quello che voglio è vedere gli uomini ergersi alla pari degli araldi, pur senza ali e magia. Tutta la vita abbiamo vissuto nelle fogne e nei luoghi più bui della città. Tutta la vita l’abbiamo passata nell’ombra pronti a farci deridere e calpestare al primo tentativo di vedere la luce. Fui gettato giù dalla rupe appena nato, lo dimostrano i segni e le malformazioni delle mie ossa. Fui salvato da uomini che stavano appostati ai piedi del monte Varlaam. All’epoca non sapevo ancora di chi fossi figlio ma sapevo che come gli altri ero stato scartato, gettato nelle fauci della morte perché privo, non per mio volere, delle ali. A quel tempo gli uomini non potevano nemmeno provare a ribellarsi alla loro situazione, eravamo troppo deboli e incapaci di salire le irte pendici che proteggevano il cuore della città. Eravamo deboli… ma non stupidi. Decisi quindi di preparare l’insurrezione.

Un rumore destò il ragazzo dalla lettura. Era proibito portarsi via i libri da lì quindi nascose in fretta il diario tra gli altri volumi e uscì frettolosamente dal corridoio.
«Carpet!» sentì chiamare il suo nome.
Se era stato chiamato era perché la squadra aveva bisogno delle sue doti. Si diresse di corsa verso l’uscita, ma un uomo sulla sessantina, alto e magro, gli sbarrò la strada.
«Oh, Anjiliux, sei tu! Serve qualcosa?»
«Ovviamente! So bene di essere stato io a consigliarti di venire qui per informarti, e che la cultura nobilita l’uomo, ma bisogna mediare tra piacere e dovere. Non stare continuamente rinchiuso in questo luogo, devi sempre essere a nostra disposizione.» L’uomo si lisciò la barba bianca e si incurvò verso di lui per guardarlo più da vicino. I suoi occhi azzurri lo studiarono per un momento. In quel modo il vecchio riusciva sempre a convincerlo a obbedire. «Non ti scordare che ora fai parte di una squadra importante!»
«Sì! Hai ragione.»
«Siegfried vuole che incanti alcuni suoi proiettili. Quindi raggiungi gli altri e fa’ ciò che vuoi solo nel tempo libero.»
Il ragazzo annuì. Carpet era un elemento fondamentale della squadra e lo sapeva bene, anche se non lo faceva intendere. Era l’unico umano capace di destreggiarsi con qualche piccola magia, pur essendo privo di ali. Non sapeva come e perché, ma riusciva a farlo fin da bambino ed era quindi malvisto dalla gente comune.
Successe tutto una fredda mattina d’inverno, quando suo padre Casper lo portò a pescare con lui. Il sole appena sorto illuminava fiocamente il cielo e i raggi che filtravano nella nebbia creavano una danza di luci e ombre. Sembrava andasse tutto bene quando una fiocina, lasciata incautamente carica appoggiata alla paratia, con l’ondeggiare dell’imbarcazione, cadde sul ponte facendo scoccare una freccia che colpì un marinaio alla gamba. Sanguinava copiosamente e rischiava di morire prima del rientro in porto. Ordinarono al ragazzo di tamponare la ferita in modo da far uscire meno sangue possibile, mentre suo padre andava sotto coperta per prendere l’occorrente per medicarlo.
In quell’istante però successe qualcosa, le sue mani si illuminarono di un color turchino. Le sentiva bruciare, un calore che saliva attraverso il suo sangue fino a raggiungere il cuore e la testa. Ma non sentiva dolore. Era come se quell’energia fosse parte di lui, una compagna assopita dentro il suo essere, che solo ora si era voluta destare. Il ragazzo provò a staccare i palmi dall’uomo ferito ma non ci riuscì. Iniziò a urlare per la paura. Paura per quella cosa nuova che lo faceva sentire strano, diverso. Iniziò a sentirsi stanco, gli mancava la forza e aveva la vista annebbiata. Quello che stava avvenendo gli stava prosciugando l’energia vitale.
A questo pensiero il panico aumentò trasformandosi in terrore e iniziò a urlare più forte, sempre più forte, chiedendo aiuto ma nessuno lo soccorse. Sentendo quelle grida suo padre corse a vedere che cosa fosse successo e rimase agghiacciato alla vista di quello che stava accadendo. I marinai attorno rimasero impietriti dalla paura vedendo gli occhi del ragazzo risplendere tra le lacrime. Il padre fu l’unico ad avere il coraggio di avvicinarsi per aiutarlo, ma una forza invisibile rendeva impossibile smuoverlo da quella posizione.
All’improvviso le mani tornarono normali e riuscì a liberarsi da quella presa invisibile. La ferita nella gamba dell’uomo era scomparsa, lasciando al suo posto solo una piccola cicatrice.
Quando tutti si accorsero del miracolo avvenuto gioirono, ma da quel momento iniziarono ad aver paura e ad allontanarsi da lui. Nessun umano, almeno per quanto si avesse notizia, aveva il dono della magia. I marinai da quel momento pensarono fosse un araldo.
L’uomo ancora sul pavimento, risanato, si rialzò e lo ringraziò. Provava terrore come tutti gli altri, ma il ragazzo lo aveva pur sempre salvato da una morte sicura. Suo padre disse subito, prima che i marinai potessero fare qualcosa di avventato, superstiziosi com’erano, che era stato un intervento divino. Che Dio aveva posato la sua luce sul ragazzo concedendogli i poteri per controllare il “flusso” e salvare l’uomo ferito.
I membri dell’equipaggio, tornati al porto, iniziarono a spargere la voce e lo stesso giorno tutti vennero a conoscenza dell’accaduto.
Dopo qualche settimana, in cui tutti avevano accettato la spiegazione del padre, la magia ricomparve. Era un pomeriggio che stava volgendo al termine come molti altri. Lui, Casper e Murlock, un vecchio stravagante boscaiolo, erano andati a tagliare un albero nella collina dietro casa, quando suo padre, forse anche a causa del dolore causato da alcune vecchie ferite alla schiena, perse l’equilibrio sul ghiaccio e cadde giù per il sentiero verso il dirupo. Ma non scivolò nell’abisso. Lo sguardo rivolto verso il basso era pieno di stupore e di paura. Il suo corpo era sospeso nell’aria sopra il baratro che non gli avrebbe lasciato scampo, regalandogli solo la morte. Girò la testa verso la terra ferma e vide suo figlio con le mani illuminate e aperte rivolte verso di lui. Gli occhi abbaglianti che lo fissavano erano carichi di lacrime di panico e gioia, ma possedevano un’aura inspiegabile.
Il ragazzo mosse le braccia verso il petto e il corpo del padre iniziò ad avvicinarsi. Quando Casper fu in grado di aggrapparsi a un appiglio, il ragazzo cedette e si raggomitolò su se stesso, tanto era il dolore che provava dopo l’enorme sforzo.
Prima di perdere i sensi per il male sentì le urla del vecchio che gridava e lo malediva definendolo un demone alla stregua delle altre creature terribili del continente. Non un salvatore, solo un mostro dagli occhi di fuoco.
I suoi stessi genitori tentarono inutilmente di dissuaderlo dall’uso di tale potere per proteggerlo dagli occhi indagatori della rozza gente del villaggio che si era fatta convincere da quel pazzo. Quando la voce delle sue capacità si sparse fino al governo centrale, questi mandarono una squadra a studiarlo. Da allora Carpet avrebbe visto di rado la sua famiglia, che non poté trattenerlo e, dopo un addestramento in accademia, entrò ufficialmente nell’Omega 9, il team composto dai membri più dotati dell’esercito. Accettò di buon grado di farlo perché flinalmente si sentiva autorizzato a esercitare il suo potere.

Marden si trovava nel cantiere navale di Jafina, dove tutti erano intenti a preparare gli armamenti per la spedizione che avrebbe dato il via alla guerra, e stava controllando gli ultimi rapporti procurategli da Anjiliux. Considerava quell’uomo come un mentore benché sottostasse ai suoi ordini. Questo strano rispetto che provava per lui era forse dato dal fatto che era il più anziano del gruppo e con un’esperienza maggiore sul campo. Era Anjiliux che indagava e studiava come muoversi prima di un’operazione e che rendeva sempre efficaci le loro azioni e che si infiltrava tra i nemici del popolo, tra gli avversari del governatore Caus.
Il ventiquattresimo leader della federazione era riuscito a inglobare nella sua figura le cariche più prestigiose e aveva di fatto preso il potere assoluto. Negli ultimi tempi qualcosa l’aveva turbato e aveva annunciato improvvisamente di voler intraprendere una campagna di conquista, aveva incitato le folle e le aveva indotte a credere alle sue promesse.
A Marden tutto questo in realtà non interessava. Era cresciuto tra le milizie e aveva trovato persino l’amore lì, in un luogo generalmente frequentato da soli uomini. Comandava la squadra più importante dell’esercito, composta non soltanto da persone speciali e migliori nel proprio campo di competenza, ma anche da molti capitani di altri reggimenti. Ovviamente questi non potevano abbandonare sempre i loro compiti e i loro uomini, ma in casi particolari erano chiamati a raccolta per organizzare i piani d’azione.
Mentre controllava una vecchia mappa per studiare la terra in cui sarebbero dovuti sbarcare, fu richiamato all’attenzione di uno scienziato.
«Marden!» chiamò con tono confidenziale l’uomo che era appena arrivato.
«Callimaco, come procedono i lavori?»
«Lo scafo della Mayflower è a posto ed è pronto a essere adagiata in acqua. Per installare il secondo cannone temo ci vorrà ancora qualche giorno.»
Callimaco era entrato nel gruppo già da quasi tre anni, dal giorno della formazione del team, ma lavorava come progettista prima ancora della creazione dell’Omega, divenuta ufficialmente Omega 9 con l’arrivo di Carpet. Nessuno conosceva il suo passato ma dal modo impacciato che aveva di camminare, quasi claudicante, doveva averne passate davvero molte. A dimostrazione di ciò, vi era il fatto che portasse sempre un basco in testa a nascondere qualche orrenda cicatrice, o solo la precoce calvizie.
«Tranquillo! La partenza è stata fissata tra due settimane, c’è ancora tutto il tempo» rispose il comandante. «Però forse è meglio che vai a controllare i tuoi operai, mi sembra che stiano per combinare un disastro con quella gru.» Callimaco si girò e corse a richiamarli e a guidare i lavori prima che potessero danneggiare lo scafo appena concluso con una manovra sbagliata.
Il cantiere navale era molto grande ed era stato costruito sopra il letto di un fiume che lo attraversava dividendolo a metà. In questo modo le nuove imbarcazioni e gli interventi per migliorarle non erano fatti nel porto ma in una zona più protetta, nell’entroterra. Da lì le navi venivano trainate fino alla costa dove adempivano alle loro missioni. Le imbarcazioni da guerra esistevano già da parecchio tempo. Il continente dove si erano stanziati gli uomini inizialmente non era ospitale ed era popolato da un’infinità di creature. Il mare, ancora più della terra, era insediato da mostri immensi e solo negli ultimi decenni gli attacchi erano divenuti più rari. Se sulla costa queste creature si stavano estinguendo non significava però che nell’oceano profondo fossero del tutto scomparse. L’esercito si doveva armare con navi più grandi e armi più forti per il viaggio che bisognava compiere.
In fondo al cantiere, Marden vide entrare un ragazzo giovane dalla pelle chiara e i capelli castani che gli cadevano sugli occhi. Era vestito con la solita divisa da combattimento rossa e grigia fumo che si metteva sempre, tanto vi si era affezionato.
Ripensò a quando vide per la prima volta il ragazzo. Lo trovarono in un villaggio di contadini e pescatori che sopravvivevano con il poco che gli dava la terra e ciò che veniva dal mare. Avvertiti da delle strane voci giunte all’orecchio del governo, andarono a controllare con il compito di eliminare un’eventuale minaccia di un araldo. Il bambino però non possedeva ali e giocava sorprendentemente col fuoco senza bruciarsi. La paura per ciò che si erano trovati davanti portò alla decisione di sbarazzarsi immediatamente del problema. Bisognava eliminare il demonio, tanto simile a quei mostri d’oltreoceano. Marden però lo aveva guardato bene, aveva visto oltre le apparenze e nel sorriso innocente del bambino aveva capito che era crudele, oltre che stupido, eliminarlo. C’era un solo modo per salvargli la vita e convincere gli ufficiali che erano con lui: bisognava far loro credere che fosse una risorsa preziosa da plasmare, farlo entrare in squadra e addestrarlo come alleato. Solo poco più di due anni più tardi tutti avevano capito l’importanza del ragazzo e gli fu concesso di far parte ufficialmente dell’Omega 9, come membro attivo più giovane di sempre dell’esercito.
Carpet attraversò l’intero stabilimento per andare da un altro uomo, magro e col cappello.
Siegfried ha ancora bisogno di lui, ma quanti proiettili spreca quell’uomo! pensò tra sé il comandante.

Carpet aveva passato l’intera mattinata al servizio dei suoi compagni. Potenziava le armi con la sua magia e, se qualcuno aveva bisogno d’aiuto nei lavori del cantiere, fondeva per loro il metallo. Era felice che tutti contassero su di lui e lo trattassero da amico, ma quello che voleva fare veramente era tornare a sfogliare il vecchio libro. Ci aveva pensato tutto il giorno ed era ormai intenzionato a rubarlo.
Nessuno se ne accorgerà, pensava.
Aspettò il calar del sole quando le porte della biblioteca furono chiuse e i corridoi finalmente sgombri. Percorse nuovamente le vie che portavano in profondità nella terra e in pochi minuti arrivò lì, davanti al portone blindato. Appoggiò quindi una mano e chiuse gli occhi aspettando di sentire il suono della serratura che magicamente si aprì. Ancora una volta si diresse verso il diario che attirava tanto la sua attenzione, lo tirò fuori dal suo nascondiglio e lo celò sotto il cappotto grigio dai contorni rossi. Percorse poi la strada a ritroso, si chiuse la porta alle spalle e si diresse verso la sua stanza al secondo piano di una delle abitazioni governative concesse agli ufficiali o ai soldati di una certa importanza. Era solo un piccolo appartamento in realtà, ma non doveva pagare l’affitto.
Il ragazzo osservò nuovamente ciò che teneva tra le mani e accarezzò la copertina. Perché aveva una strana sensazione quando lo faceva? Il libro lo stava forse chiamando? Voleva essere letto? O erano i suoi poteri che stavano evolvendo e dicevano che lì avrebbe trovato qualcosa di importante?
Carpet aprì il diario e iniziò a leggere.

Avevo preparato tutto con meticolosa precisione. La giornata stava giungendo al termine e il rosso di quella sera assomigliava tristemente al sangue che sarebbe stato versato. Avevo passato trent’anni della mia vita con altre persone come me, accampati tra i boschi e i vicoli più bui della città. Trent’anni e mi ritrovavo già le prime piume grigie in testa. Nei sobborghi si potevano trovare uomini e araldi decrepiti, colpiti dalla sfortuna di essere nati storpi, con misere ali e miseri poteri. La cosa ironica era che questi non si rendevano conto di essere più simili a noi che agli altri araldi e trovavano ancora il coraggio di guardarci dall’alto in basso; loro… loro che non sapevano volare e con la magia accendevano a malapena il fuoco. Eppure fu uno di questi che mi diede la possibilità del riscatto. Lo chiamavano Discordia ed era un mercante disposto a tutto pur di vivere da re, sebbene si trovasse nel limbo della città. La sua casa era un rudere come tutte le altre ma con un’alta torre, cosa strana per chi non possedeva il dono di volare. L’interno invece era una reggia di puro lusso; riempita di oggetti di ogni genere dove alcuni recavano inciso lo stemma di famiglie prestigiose. Il suo ruolo nei sobborghi era quello di gestire il mercato e di fare legge lì dove i veri araldi si rifiutavano di andare. Per arricchirsi depredava persino le tombe, rubando ciò che veniva seppellito col defunto. Era solito in quel mondo esser sepolti con gli oggetti a cui più si teneva in vita perché li seguissero anche nel regno dei morti. A differenza degli altri araldi non pensava più all’onore e non credeva a un mondo futuro. Lui voleva tutto e subito senza tentare più di rivaleggiare con gli altri alati a cui non poteva assomigliare. Discordia era una serpe, una persona di cui non ci si poteva fidare, eppure l’unica di cui avevo bisogno.
L’araldo inizialmente si rifiutò di farmi entrare ma mi bastò dire ciò che avevo in mente per fargli cambiare idea. All’inizio mi prese per un folle ma la promessa di un lauto guadagno lo indusse ad accettare. In fondo non aveva nulla da perdere e si divertì molto a guardare i progressi del mio piano benché lo ritenesse ancora impossibile da realizzare. Il non avermi ucciso subito ma avermi assecondato era dovuto a una strana simpatia che questo provava per me e l’affetto che gli suscitavo.
Gli chiesi di procurarmi il corpo di un araldo deceduto e del materiale trafugato dai magazzini della città alta, comprese delle sacche di polvere esplosiva. A quel lacero essere strappai le ali e con euforia infangai il suo onore dopo la morte. Pensai a quale terribile maledizione mi avesse scagliato dal luogo dove era finito, ma non ci diedi molto peso dato che io ero già nato indossando un anatema. Bruciai quindi i resti riversando le ceneri in cielo. In questo modo dimostrai che anche un corpo senz’ali può volare.
Le ali che avevo recuperato le lavorai col ferro e col sudore delle mani. Niente magia, solo cervello. Dopo mesi di lavoro possedevo ciò che avevo solo immaginato: degli arti artificiali capaci di muoversi con meccanismi di ganci e corde. In esse installai anche dei tubi contenenti la polvere infiammabile degli alchimisti. Le indossai e le legai accuratamente con delle cinghie di cuoio, prima di infiltrarmi nella città alta e studiare ciò che un tempo potevo vedere solo da lontano.
Nel frattempo altri uomini si erano uniti alla mia causa, sostenendola anche a costo della loro futile vita. Li armai con delle robuste corde e degli uncini per scalare le irti pendici, di armi di mia fabbricazione studiate accuratamente per esplodere al contatto col bersaglio e di spade procuratemi da Discordia, sempre più preso da quest’avventura, quasi convinto che io ce la potessi fare. Ed eccomi là, pronto quella sera ad attaccare il castello, armato di qualcosa che nessuno conosceva e della mia voglia di vendetta.

27 aprile 2019

Aggiornamento

Ciao amici lettori! Scriviamo per ringraziare tutti coloro che erano presenti alla prima serata di presentazione di Omega 9 nel locale A Tutta Birra di Selvazzano Dentro (PD). Abbiamo scelto una birreria perché è la cosa che più assomiglia alle vecchie locande in cui uomini, hobbit e nani si ritrovavano a bere nelle più famose saghe fantasy ma anche, e soprattutto, perché dopo aver girato biblioteche e librerie in lungo e in largo, abbiamo capito che il metodo migliore per avere nuovi lettori è farli prima ubriacare! La presentazione è stata un successo e in pochi giorni ci siamo avvicinati di molto al goal finale. Se volete saperne di più su Araldi, Felidi e Uomini che popolano il mondo fantastico che abbiamo creato state allerta, presto annunceremo una nuova data in un nuovo locale! Grazie ancora a tutti e non smettete di credere in noi! A Tutta Birra di Selvazzano Dentro   presentazione in birreria
10 aprile 2019

Aggiornamento

Cari amici, Omega9 è stato presentato anche su Radio People Italy, all'interno del programma "Vuoi Conoscere Un Casino?".  
25 marzo 2019

Aggiornamento

Ciao a tutti, cari sostenitori e lettori di fantasy. Abbiamo avuto l'onore di essere citati in una testata giornalistica molto famosa che tratta di eSport e del genere fantastico in generale. Comparire per la prima volta in un articolo che parla di noi e dei nostri progetti ci rende molto orgogliosi. Speriamo vivamente di raggiungere il goal definitivo e di agguantare così quel che per ora è solo un grande sogno. Potete leggere il pezzo a questo link. powned parla di omega 9

Commenti

  1. (proprietario verificato)

    Non vedo l’ora di averlo tra le mani e leggere questo romanzo di 2 miei amici che ci hanno versato sudore e speranze.

  2. (proprietario verificato)

    Dopo aver letto il capitolo bonus non vedo l’ora di leggermi il romanzo completo.
    La voglia poi è maggiore, se questo romanzo è stato scritto da due amici.

  3. (proprietario verificato)

    “Ho partecipato ad una presentazione dove è stato letto un capitolo bonus, molto coinvolgente…non vedo l’ora di leggere il romanzo”

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Tom Garland - Josh Sparda
Tom Garland, pseudonimo di Tommaso Franchin, nato a Pado- va nel 1989, cresce all’ombra dei Colli Euganei. Dopo la laurea in DAMS si cimenta nella scrittura, come giornalista freelance per una testata online, e nel suo blog per raccontare i suoi viaggi.
Josh Sparda, nome d’arte di Joshua Primucci, classe ’89, cresce sui Colli Patavini. Appassionato di lettura e cucina, ha perseguito entrambe le passioni diventando un grande pasticciere senza rinunciare alla scrittura.
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