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Quel che i lupi mangiano

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Un cacciatore in cerca di vendetta, un uomo che inganna la Morte, una cuoca con un ingombrante problema da risolvere, una scrittrice triste in una città straniera, eroi ed eroine piegati dalla passione, come tutti, in un labirinto delirante che quasi mai è quello che sembra.
Trenta racconti in cui, tra sante e prostitute, assassini e paladini, si manifestano sesso, speranza, solitudine e molte altre cose terribili e meravigliose che non iniziano necessariamente con la lettera S. Come il lupo bianco e il lupo nero che albergano nell’anima di ognuno di noi, fra queste righe lottano ironia e amarezza, allegria e inquietudine, vitalità e decadenza.

L’anima dell’aglio
“È vero, zio Stojil, ho visto una fata che ha trasformato un tizio in fiore.” il Piccolo Malaussène
Guardo il burro sfrigolare in padella, passare dall’ordine geometrico e confortante del panetto al caos entropico dello strato bollente di grasso sul fondo di metallo. Il vitello è già pronto vicino ai fornelli, la nonna l’ha tagliato a tocchetti e infarinato per bene.
L’altro giorno ho chiesto alla mamma perché quando mi accompagna a trovare la nonna lei non sale mai. Avevo appena finito di fare colazione e lei fumava una sigaretta aspettando che le si asciugasse lo smalto. «Perché tua nonna è una stronza» ha risposto, per poi imprecare sottovoce per aver detto una parolaccia davanti a me. «Scusa, tesoro, a volte mi scappano. Comunque, tua nonna è una persona inaffidabile, ed è anche un’alcolista. Non credere nemmeno a una delle parole che escono dalla sua bocca. A meno che non parli di cucina. Su quello ascoltala sempre.»
«L’aglio si mangia tutto» mi spiega la nonna tagliandolo a metà. Abbassa la mano davanti a me per mostrarmi la strisciolina verde al centro dello spicchio. La estrae con la punta della dita e la butta via. «Tranne l’anima.»

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Getta l’aglio in padella con la carne e il pane raffermo. Io prendo un appunto mentale come faccio sempre quando vedo la nonna cucinare. Lei mi guarda e sorride. Non è vecchia e brutta come le nonne degli altri, che hanno la faccia raggrinzita, i capelli bianchi e la voce stridula. Mia nonna le rughe le ha solo intorno agli occhi e sul collo, e ha i capelli ancora neri neri. «Vai ad apparecchiare, Bee» mi dice, e io corro al cassetto delle posate al quale arrivo solo con la fronte, cerco tastando forchette e coltelli e comincio a disporli in tavola. «Prendi il servizio buono, quello con le roselline.»
«Mamma dice che il servizio buono va tirato fuori solo se viene il Papa.»
La nonna sospira mescolando la carne e i pomodori schiacciati. Annusa i vapori che si levano dalla padella. Aggiunge del sale. «Tua mamma è una persona inaffidabile, ed è anche una drogata. Non credere nemmeno a una delle parole che escono dalla sua bocca. A meno che non parli di uomini. Su quello ascoltala sempre.»
Versa un goccio di vino bianco in padella per far sfumare la carne e tracanna un sorso generoso dalla bottiglia prima di metterla a posto. Io guardo il vitello dorarsi e i pomodori ritirarsi e mi pare ancora che sia un miracolo, che la nonna sia un’alchimista che trasforma il piombo in oro e materia scura e appiccicaticcia in cibo divino mediante processi segreti.
Non mi sarei stancata mai di guardarla. A dieci anni mi permise di prendere in mano un coltello e iniziò a svelarmi i segreti della sua arte. Imparavo bene. Già a undici anni cominciai a cucinare al posto di mia madre. Lei ne era contenta, cucinare rovina le unghie.
«Basta che non diventi una stronza come tua nonna» mi disse quando le confidai il mio sogno di diventare chef. Lei fumava seduta sul davanzale e io pelavo patate per il gateau. Fuori dalla finestra, New York urlava di piacere e dolore, come tutte le notti. La mia colonna vertebrale sentiva il suo richiamo e mi faceva prudere i piedi dalla voglia di andare.
Così feci, qualche anno dopo. Passai a salutare la nonna e lei mi disse che mi voleva bene e mi offrì il primo sorso di sherry della mia vita. Lo accettai, bruciava come fuoco e sapeva di futuro e paura. Uscii barcollando nella notte e me ne andai.
Mi trasferii dall’altra parte della città e trovai lavoro come lavapiatti in una trattoria italiana. Dormivo nella cucina del ristorante e lavoravo quattordici ore. Per iniziare poteva andare. Vi risparmierò le storie sul mio personalissimo sogno americano, sulla mia scalata tra i fornelli. Potete tranquillamente immaginarvi i tempi in cui lavoravo come una cagna in bettole di second’ordine prima di essere assunta al Ritz, dove finalmente mi promossero sguattera da cucina e dove il grande Chef Marinez mi prese sotto la sua ala. Sono ricordi che sbiadiscono pian piano persino nella mia, di memoria, come tutta la mia vita fino al momento in cui ho incontrato Nick. Sapete com’è quando ci si innamora. Mi sentivo come se avessi vissuto tutti i miei giorni in una stanza al buio, fino al momento in cui Nick era entrato e aveva acceso la luce ed era iniziata la musica.
Quando ci sposammo mia madre e mia nonna si rividero per la prima volta dopo anni, e tutte e due videro Nick per la primissima volta in generale. Mia madre mi disse di stare in guardia. Mia nonna mi disse che il tacchino era troppo salato. Nick mi disse che mi avrebbe amata fino alla fine dei tempi e io nella confusione riuscivo a sentire solo lui. Mi piaceva baciarlo posandogli le mani sulle guance. Anche adesso mi verrebbe da farlo, in realtà, ma non ho voglia di sporcarmi di sangue. Sospiro.
Prendo uno straccio da uno dei gancetti appesi al muro e inizio a pulire il coltello. È uno di quelli di porcellana, l’ho pagato molto e spero davvero di non averlo scheggiato. Lo metto a posto. Il piano della cucina è rimasto miracolosamente immacolato, è il pavimento a essere un casino. Di colpo mi viene da piangere, e non per il sangue per terra, ma perché mi sembra di vedere mia madre appoggiata al muro che fuma e mi ripete «Te l’avevo detto, Bee» con il suo solito tono. Deglutisco. Devo calmarmi. Nick è un omone e non può stare qui. Ha anche irrimediabilmente macchiato il tappeto con le sue viscere e lo odio anche di più per questo, ma con l’odio credo di poter venire a patti, ora che ho sistemato la cosa. Il problema più urgente è di ordine pratico e fisico. Dove mettere Nick? Mia madre aspira un tiro infinito dalla Camel immaginaria e scuote la testa sorridendo. «Avresti potuto semplicemente ascoltarmi e non saresti dovuta arrivare a questo, Bee. Come lo vuoi far sparire adesso, un fottuto cadavere di un metro e ottanta?»
«Mamma, puoi star zitta un attimo per favore?» strillo voltandomi verso la sua voce. «Non riesco a pensare se continui a dirmi che hai sempre ragione!»
«Tranne che sulla cucina» osserva mia nonna spuntando davanti ai fornelli. Ha gli occhi rossi come le fiammelle del gas e indossa il suo vecchio grembiule. «In quello sono io ad aver sempre ragione.»
Guardo mia madre, poi mia nonna, poi Nick e per un momento non ricordo più chi sia reale e chi no. Poi vedo i coltelli sul piano della cucina e comincio a selezionarli con occhio esperto.
«Si mangia tutto,» mormoro «tranne l’anima.»
«Prendo il servizio buono. Quello con le roselline» dice la nonna avviandosi verso la credenza. La mamma sbuffa e si accende un’altra sigaretta. Fuori New York ulula di paura e tripudio, come tutte le notti.

03 aprile 2019

Aggiornamento

Quel che i Lupi Mangiano raggiunge quota 103 ordini! Siamo al 52% dell'obbiettivo in meno di una settimana! Grazie, grazie, grazie veramente e di cuore a tutti i lettori e gli amici che mi sostengono con passione e fiducia! Siamo in discesa e tra 97 copie il libro entrerà in coda di editing, il primo passo verso la distribuzione. Per festeggiare allego la bellissima illustrazione realizzata da Verdiana Palumbo Grandinetti per il racconto 'La vera storia di Cappuccetto Rosso', che potete trovare nell'anteprima della raccolta! Quel che i Lupi Mangiano 100 ordini
01 aprile 2019

Aggiornamento

Siamo a 73 copie vendute in tre giorni (e non è un pesce d'aprile). Grazie a voi Quel che i lupi mangiano è molto più vicino al traguardo di 200 copie che gli permetterà di arrivare in libreria, su internet e in tutti i posti dove noi lettori andiamo a caccia di libri.
Grazie, grazie, grazie a tutti coloro che hanno scelto di credere nel mio libro e di sostenermi! Ricordo a tutti che dal vostro account avete accesso alla bozza completa del manoscritto, non vedo l'ora di sapere cosa ne pensate! Con affetto, gratitudine e un sacco di ansia sociale, la vostra

Sara Brayon

Commenti

  1. (proprietario verificato)

    Devo fare i complimenti a Sara, perchè ha messo insieme una raccolta veramente interessante. I racconti sono tutti godibili (ed è una cosa rarissima, nelle raccolte c’è sempre qualche anello che tiene meno degli altri), e la penna è notevole, non certo quella di un esordiente. Sara, continua a scrivere per favore, ti auguro di fare tanta strada perchè te lo meriti. Sono veramente contenta di aver sostenuto la campagna per Quel che i lupi mangiano, e soddisfatta di quello che ho letto.

  2. (proprietario verificato)

    Acuti, ironici, cinici al punto giusto. Questi racconti si leggono veramente con piacere!

  3. verdiana

    (proprietario verificato)

    Ho letto le anteprime e sono di una scorrevolezza deliziosa e intrigante. Sara è davvero una bravissima scrittrice, con la brevità dei racconti si catturano momenti e sensazioni a cui non c’è bisogno di aggiungere altro. In particolare c’è un racconto tra le anteprime in cui mi ha colpito la citazione (spinta, spintissima) di un famosissimo scrittore che risulta di una gradevolezza che culla, nonostante il macabro, senza scadere mai. Non vedo davvero l’ora di leggere la raccolta completa

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Sara Brayon
è nata a Roma nel 1992 ma da anni vive a Bologna, dove studia alla facoltà di Lingue. Lavora come analista in un’azienda informatica, scrive racconti e poesie. Vive con svariati libri e un gatto rosso di nome Ivan il Terribile. Quel che i lupi mangiano rappresenta il suo esordio letterario.
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