CAPITOLO UNO
L’Astro Re era sempre stato lì, fisso in cielo come uno spettatore in una postura solenne e ordinata, a comporre il disegno degli dèi tanto misericordiosi quanto temibili. Eppure, quando mi conobbe, il giovane Socrate vide il creato squarciarsi, il castello delle certezze crollare in un’accozzaglia di macerie.
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Era stato l’unico uomo, a eccezione di Gesù di Nazareth, ad aver incontrato un qualcosa di divino e demoniaco prima di trapassare: i meandri della morte non l’avevano stretto in una morsa dissacrante, lo avevano piuttosto lasciato libero di conoscere quel che dopo c’è e c’è sempre stato, senza rinunciare alla vita. Ma, possiamo immaginarlo, per un giovane non è così facile conoscere i segreti del creato senza abusarne o senza fare di un’occasione una necessità, per cui l’adolescente che poi sarebbe diventato il padre della filosofia fece di me un servitore e un padrone, un amico e una guida, un mezzo e una fonte. Fu nel trascorrere dei mesi, quando la frutta maturava e i fiori si schiudevano cullati dalla calda luce di Madre Sole, che Socrate, in un giorno come un altro, dopo aver indossato la tunica e i sandali, si decise a fare domande sulla mia natura. E mentre io, che provenivo da una dimensione dove nessuno può nascere o morire, che non conosce la fame e la sete come il tempo e lo spazio, mentre lo vedevo evolversi nella pubertà, mi ritrovavo a rispondere a domande del tipo: «Come possono un dio buono e uno cattivo condividere la stessa forma?».«Io ho forma solo nella tua testa e non sono né l’uno né l’altro» dicevo.«Mi stai dicendo che non esistono dèi buoni e cattivi?»«Ti sto dicendo che buono e malvagio sono sinonimo di ingenuo e stolto.» E ad altro, capitemi, non potevo rispondere. Non posso nemmeno, dal canto mio, pretendere di annoiarvi con queste digressioni sul buono e il cattivo, giacché è una verità universalmente riconosciuta che la giustizia divina non corrisponde a quella umana. C’è da dire anche che al giorno d’oggi gli dèi non esistono più, se non in poche culture ancorate ai dettami antichi, e che la sacralità è stata incentrata tutta nella figura di dio, che viene pensato, venerato e santificato come uomo, come per sentirsi più vicini all’onnipotente. Ma se alcuni di voi fossero stati trasportati in un tempo lontano, diciamo al tempo di Socrate, tra le vie di un’Atene omertosa e villana, nelle menzogne quanto nella verità, avrebbero visto quanto il culto fosse importante e quanto l’uomo può cambiare dèi di continuo, pur rimanendo ancorato a un credo. E perdonatemi se non sono abbastanza chiaro nell’esposizione dei fatti, ma abbiamo così tanto di cui parlare che prima di Socrate bisognerebbe inquadrare il contesto in cui è cresciuto. Una volta, un uomo saggio, di cui non rivelerò il nome perché non c’è identità nella saggezza ma solo nell’arroganza, mi disse che i vizi e le virtù di un uomo derivano da tre cause: i genitori, gli studi e le compagnie. E guai, ragazzi miei, ad avere compagnie sbagliate, come capitò al buon vecchio Socrate, che crebbe con un talesenso del dovere verso la cultura da oscurargliene il piacere. M’ero presentato come qualcosa di divino e demoniaco e il fanciullo che non è stato conservato nella memoria del mondo sgattaiolò lontano in preda a spasmi di terrore.
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