Non uscivo più di casa, non uscivo da parecchio, per me era normale anzi era un sollievo.
Ogni volta che mettevo il piede fuori casa, ormai, un vento contrario di pensieri negativi mi scoraggiava continuamente e insistentemente di farlo.
L’ultimo episodio che mi aveva fatto decidere che fosse meglio restare sempre a casa era accaduto qualche settimana prima.
Mi ero preparata per uscire con mio marito e le mie figlie. Era una bellissima giornata di sole, avevamo deciso di fare una passeggiata.
Camminavamo mano nella mano, mentre passeggiavo, però, ero inquieta, prestavo molta attenzione alle bimbe, temevo che tra tanta gente potessero perdersi.
Mio marito chiacchierava con me, ma io ero distratta, cercavo di rassicurarmi pensando che la gente facesse troppo rumore, o che se erroneamente avessi scambiato una persona per un’altra era soltanto per confusione e non perché avessi qualche problema o malattia al cervello.
Ero dominata da pensieri negativi, non sentivo i profumi, non vedevo i colori, vedevo preoccupazioni ovunque.
Mi assicuravo sempre di tenere le mani delle mie bambine…. Se le avessi perse sarebbe stata tutta colpa mia!
Ero mamma da qualche anno, la mia vita da mamma, allora, era molto impegnativa, mi preoccupavo moltissimo di essere una brava mamma, capace e all’altezza dell’altrui aspettative.
Ciò che notavo è che mi sembrava che le altre donne fossero tutte più spensierate, più curate e più belle di me.
Mi trascuravo da tanto tempo, per me era solo importate essere in ordine, l’essenziale, ma non provavo più il piacere di scegliere con accuratezza un capo da indossare, comprare un abito, provare un nuovo trucco.
Una semplice uscita mi provocava tutta questa gamma di riflessioni per nulla affatto piacevoli.
Ad un tratto incontriamo una nostra amica, ci fermiamo a chiacchierare con lei, ci chiedeva come stavamo, cosa avremmo fatto quel giorno, la vedevo entusiasta.
Io ero assente, annuivo, ma ero molto più preoccupata per i segnali che ricevevo dal mio stato interiore.
Ero inquieta, mi aspettavo che qualcosa di brutto come una malattia improvvisa potesse capitarmi da un momento all’altro.
Spesso ero triste e mi capitava di passare da un umore all’altro in pochissimo tempo e la cosa più fastidiosa era che mi chiedevo il perché di tutto ciò che provassi e che sentissi, ed in quel periodo mi preoccupavo di tutto.
Le mie preoccupazioni spaziavano dal perché avvertissi un certo dolore da qualche parte a perché avessi determinati pensieri piuttosto che altri.
Mentre parlavamo con questa mia amica, ne incontro un’altra, a quel punto la tensione per me era crescente, non riuscivo a gestire tutti quei saluti, stare attenta alle bambine, preoccuparmi di come stavo, era troppo perché il lavorio dei pensieri era costante, era come avere una voce nella testa che mi poneva continue domande o preoccupazioni insistenti che mi distoglievano dalla situazione presente.
Improvvisamente, come se qualcuno mi stesse scuotendo, accusai un senso di vertigini fortissimo, poi un capogiro e la sensazione di cambiare prospettiva in un attimo.
Eppure ero lì ferma, paralizzata dalla paura, una tremenda e silenziosa scossa di terremoto nell’anima.
Mi spaventai tantissimo, con una scusa feci capire a mio marito che dovevo allontanarmi. Non capivo più nulla, la strada per arrivare alla macchina per me era sconfinatamente lontana.
Temevo di svenire, di non riuscire più a muovermi, di non sapere dove mi trovassi e probabilmente chi fossi. Sentivo di stare per impazzire.
Mi faccio aiutare da mio marito Biagio, non volevo nemmeno più guardare dove fossi e dove stessi mettendo i piedi, mi ero aggrappata a lui ed avevo gli occhi chiusi, desideravo solo rifugiarmi in macchina.
Appena arrivati, Biagio, Laura e Bianca, le mie piccole si sistemarono nei sedili anteriori, io mi sdraiai sui sedili posteriori, stavo male, avevo una paura e un panico che mi toglievano il fiato, avevo la mente confusa e sentivo freddo.
Quella sensazione terribile continuò fino a che non arrivammo a casa dei miei.
Mi sistemai nel letto e cercai di bere qualcosa di caldo, mentre mio marito cercava di distrarre Laura, la maggiore, visibilmente preoccupata per me.
Era l’unica maniera, secondo me, di far calmare questi attacchi di ansia che mi scuotevano nel profondo.
Poi piansi, arrivava sempre il pianto come la pioggia dopo l’addensarsi delle nuvole e il rincorrersi dei tuoni.
Paragono le mie sensazioni ai fenomeni atmosferici, lo faccio fin da quando ero bambina, mi risulta più facile spiegare come mi sento.
Piangendo scioglievo momentaneamente i miei malesseri.
Capita a tutti qualche volta di avere preoccupazioni su cosa possono pensare gli altri di noi, se stiamo facendo bene qualcosa, se ci stanno criticando.
Si presentano nella mente una serie di domande di questo tipo che sono completamente normali perché hanno a che fare con il nostro desiderio di presentarci nel migliore dei modi possibili alle altre persone.
Nel momento in cui queste paure e preoccupazioni iniziano ad essere troppo pervasive e troppo frequenti, limitando la nostra libertà di pensiero, di espressione e di azione diventano un problema per noi.
Quando ci troviamo con altre persone c’è la tendenza a restare in silenzio per paura di fare brutte figure, di essere criticati, derisi o magari appena attiriamo l’attenzione e qualcuno ci guarda, cominciamo ad arrossire, ci tremano le mani, incominciamo a sudare e ciò può essere definito come timidezza.
Se queste paure non vengono trattate, tendono a cronicizzarsi nel tempo e possono trasformarsi in un vero e proprio disturbo psicologico chiamato disturbo d’ansia sociale.
Il disturbo d’ansia sociale è caratterizzato da vari ed intensi sintomi di tipo ansioso e può arrivare addirittura a sfociare negli attacchi di panico.
Le situazioni tipiche che scatenano quest’ansia sono: parlare e conversare con persone, soprattutto sconosciute, rispondere a delle telefonate, fare delle obiezioni quando si è in disaccordo con qualcuno o partecipare a delle feste.
Il vero problema è che quando si provano questi sintomi molto forti,
si inizia a mettere in atto la trappola mentale che si chiama evitamento, cioè si cerca di fuggire la situazione in cui si è stati sottoposti a questi episodi.
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