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Storie che non vorreste leggere

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Enrico è un giovane scrittore con un’unica certezza: ha solo ventiquattro ore per consegnare al suo editore l’idea per il prossimo libro.

Vaga per la città osservando le persone, cercando spunti, scandagliando nella sua memoria quelle storie che ha creato ma che non vuole dare alla luce. Quelle storie così assurde e così fuori dalle regole che non dovrebbero neanche essere lette. In questa ricerca però non è solo, è accompagnato da Monica, un’ulteriore storia rimasta in sospeso. E forse è proprio questa la storia che fa da cornice e da forza motrice di tutte quelle che “non dovrebbero essere lette”.

08:10 dice la sveglia

Lui:

La suoneria serve a poco, sono già sveglio. A casa c’è troppo silenzio. Le immagini sono ferme. Le proiezioni non hanno un muro o un pannello bianco. Inoltre, la batteria della mia testa è al 14%. Modalità risparmio energetico. Per questo esiste il caffè.

Entro al bar e saluto Monica, una mia cara conoscenza, seduta al tavolo in fondo. Viene qua almeno due volte alla settimana a quest’ora; come del resto anche io scelgo lo stesso bar negli stessi due giorni settimanali.

Zucchero classico, dolcificante e zucchero di canna (che poi è zucchero classico granulato e colorato beige). Senza zucchero, meglio. Passo in rassegna le diverse bustine e guardo attorno, in attesa che il Barista si rivolga a me. Mi ha già notato da un po’, mi osserva. Probabilmente pensa che io sia un agente dell’ufficio igiene in incognito. Questo spiegherebbe il compulsivo comportamento che ha per la pulizia del bancone. Si vede che è nuovo e non mi conosce, non sa che in realtà sto fissando i bicchieri sporchi di quel lavello per immaginare quali atomi e germi di storie racchiuda quel vetro.

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Lei:

È lui! Si siede sempre là. In chissà quale impresa sta per lanciare la lenza del suo genio. Quando muove le labbra senza proferire parola, muove la mente e scrive. Scrive e scrive. Scrive come se scrivesse il mare. Non necessariamente scrive sul taccuino o su uno di quei foglietti di varia forma che ricopre di appunti e cancellature ambo i lati. Scrive anche nel cinema che immagina e in cui proietta pensieri ed elucubrazioni. Scrive e scrive. Cancella e riscrive.

Mi ha salutata e ha sorriso. Credo sia stato un sorriso, si è voltato così rapidamente

Eppure avverto qualcosa. Una sensazione certa e incerta. Mi pare che provi sentimenti come… come se mi amasse.

Quanto mi sento stupida!

Lui:

Servito, il buon profumo del caffè è un defibrillatore. L’aria fragrante di quell’aroma unita alla cortina che si eleva dalla tazzina. Giunge così il buongiorno alle mie narici infreddolite. Ora rianimate, defibrillate. Decido di portarmi la tazza al tavolo e ordino anche un cornetto con crema di pistacchio, anche se di pistacchio ha a malapena l’aroma.

Mente, svegliati! Mente, fa’ girare le idee. Mi servono nuove storie da raccontare. Storie che stupiscano, che convincano. Mente, inebriati di profumi della vita e svegliati. Bevi la vita, a sorsi caldi.

Mente – uno, due, tre – LIBERA.

Così, senza badare a quale reazione del Barista seguirà il pensiero che sto portando all’etere, presto la mia voce al quesito: «Silvio, chi ammazzerà?».

Qui dentro solo Monica può capirmi. E se mi ha sentito, saprà di certo che quello stravagante quesito è per me l’incipit per costruire un nuovo racconto.

Oggi ammazzo qualcuno

ATTO I

 Silvio ha sessantacinque anni e ama Shakespeare. Preferisce le tragedie alle commedie. In testa ha solo cinque capelli grigi e ogni giorno porta lo stesso vestito grey, cinquanta sfumature di vecchio, senza cravatta. Lo stesso vestito nell’armadio si replica per cinque volte, uno più stinto dell’altro, seguendo le cinquanta sfumature sempre più stinte col passare degli anni.

Da quando è entrato in pensione ogni giornata è una giornata storta. E questa che state leggendo è la regina suprema delle giornate storte.

Quando apre gli occhi, l’orologio segna le 08:24.

Maledetta sveglia rotta! Doveva suonare alle 7:00. Il suo noioso itinerario quotidiano parte già in ritardo. Roba da far alterare anche un uomo dal temperamento di Phileas Fogg del romanzo di Jules Verne. A ogni bottone che incrocia nelle asole della camicia, strizza l’occhio destro. L’artrosi gli impedisce di allacciarsi le scarpe, ma non sarebbe un problema se Silvio non odiasse tanto i mocassini e le scarpe a strappo. Uscirà con i lacci infilati dentro le scarpe. Prima di lasciare l’appartamento pettina all’indietro i cinque capelli grigi in modo che si mimetizzino col grigiore dello scalpo, dove è possibile leggere un erroneo numero cinque romano: IIIII.

Sceso al bar – sceso anche se vive al di sotto del piano terra come una tartaruga ninja – incrocia all’ingresso il ghigno beffardo di un altro vegliardo, più vecchio di lui e che pare insultarlo inarcando le sopracciglia e facendogli l’occhiolino con l’occhio sinistro.

Il caffè glielo servono bruciacchiato e appena lungo, di solito lo prende strettissimo; il cornetto è insipido, molliccio e con la crema, quando invece lo preferisce vuoto con un po’ di glassa in superficie; il bicchiere d’acqua è freddo e frizzante, mentre lui – povero – beve solo acqua naturale a temperatura ambiente perché i suoi pochi denti sono sensibilissimi come la pelle di un neonato. D’altronde anche il suo intestino è sensibilissimo e l’aria nello stomaco è un problema frequente.

Tutto storto!

Durante la passeggiata nel parco, Silvio impiastriccia accidentalmente i lacci delle scarpe slacciate con freschi escrementi animali. Poi una Donna col passeggino gli taglia la strada e occupa la sua solitaria panchina preferita, quella all’ombra del grande olmo. Silvio è costretto a sedersi sull’unica panchina libera, con l’insopportabile sole abbagliante che legge il rotocalco al posto suo. Per di più il giornalaio ha pure sbagliato: gli ha venduto il giornale di ieri, solo ora se n’è accorto, Silvio.

Tutto storto!

«Oggi ammazzo qualcuno!» esclama l’irato Silvio.

Sul cuoio capelluto, uno dei cinque capelli grigi si spezza.

ATTO II

Silvio – a causa del tardo risveglio – ha scordato di prendere le sue medicine. Doveva prenderle alle 7:30, ma essendosi svegliato alle otto passate, l’ha rimosso dalla mente, come se non fosse più parte del programma giornaliero. Ogni medicina ha il suo perché: Silvio soffre di un disturbo particolare della personalità che chiamano Alzheimer comunicativo. In pratica succede che quello che legge o dice in senso figurato, lo confonde nel senso letterale. Alla luce di ciò: avendo detto “oggi ammazzo qualcuno” per la frustrazione della giornata storta, ora Silvio si è convinto debba davvero uccidere un essere umano. La razione di pillole – tra cui quelle per questo disturbo – sarà rimasta sul comodino o sparsa per terra fin sotto il letto e quindi, ora, si troverà nel serbatoio dell’aspirapolvere della signora Marcella. A quest’ora il suddetto aspirapolvere starà confabulando con la polvere nel serbatoio, inveendo con frasi come “volevi scapparmi, farmi mangiare la polvere, quando io la polvere la mangio per mestiere”.

Il vecchio Silvio – ora Serial Silvio – ha puntato la sua prima vittima: la Donna col passeggino. Non sdegnatevi però, nel passeggino non c’è alcun infante, la Donna non è una giovane mamma. È una studentessa universitaria single, non granché bella ma prosperosa, che intende farsi sedurre con inganno dai lattofili – i feticisti del latte materno – per una sua tesi sulla lattasi, l’enzima della digestione del latte. Silvio medita di ucciderla a colpi di giornale “scaduto”, dato che la Donna è piccola quanto una mosca. In realtà la Donna è di media statura, solo che il vecchio è seduto lontano e per un attimo ha creduto fosse piccola per come la vede dal suo posto. Altro problema che affligge Silvio – e che senza le medicine non fa che peggiorare – è la cosiddetta “deformazione oculare delle distanze”.

Il vecchio si è avvicinato alla preda, è a una distanza tale da poter sferrare il colpo fatale ma, dopo averlo scagliato, la Donna lo ringrazia di buon cuore: non aveva ancora letto il giornale di ieri. I muscoli di Silvio non sono più quelli di una volta.

E così, un altro dei cinque capelli grigi si spezza. Ne restano tre.

ATTO III (Come i suoi tre peli in testa in questo momento)

Serial Silvio decide di uccidere il venditore ambulante appena fuori dal parco. Lo chiamano Mr. Friggo – cosa vende è chiaro dal suo nome d’arte – e Silvio vuole ustionarlo a morte con l’olio bollente direttamente da una delle sue quattro padelle. Un assassinio che potrebbe sembrare accidentale. Silvio però, con l’artrosi che si ritrova, riesce solo a porgere una padella – tra l’altro l’unica ancora pulita – a Mr. Friggo, che lo ringrazia di avergli avvicinato la padella regalandogli delle arancinette al burro (sono un narratore palermitano, l’arancina è femmina!).

Silvio, attonito per la reazione del venditore, con le arancinette ancora calde nella vaschetta di plastica, punta una nuova vittima: una Giovane fissata con la linea che vuole perdere una taglia di girovita a tutti i costi. La intercetta per caso, mentre declama tragicamente a se stessa di volersi suicidare se non perderà una taglia entro la mezzanotte del giorno stesso. Una vittima già bella e pronta per Silvio che deve solo darle il colpo di grazia, spingerla nell’oblio del gesto estremo. Decide di tenderle una nefasta trappola: le offre la vaschetta di squisite arancinette al burro, bombe di calorie concentrate. La Giovane rimane sorpresa dal gesto di Silvio, ma non nel modo in cui sperava il vecchio. Infatti, la Giovane, da quel genuino atto gioviale, inizia a vederci chiaro: quel gesto è un segno del cielo che le dice “basta fissarsi con la dieta, bisogna vivere felici senza troppe fissazioni, così come siamo fatti nei modi e nella fame”. La Giovane ringrazia il (non) buon vecchio Silvio e si defila con la vaschetta di arancinette, lasciandolo a mani vuote, madide e leggermente unte, ma non sporche di sangue; purtroppo per lui.

Un altro capello, spezzandosi, abbandona lo scalpo di Silvio.

ATTO IV

Il terzo fallimento porta Serial Silvio quasi all’abbandono dal suo esordio di omicida e di tutta la sua impresa esecutiva. Ma ecco che Silvio riconosce la vittima per antonomasia, quella che davvero merita di morire: il vegliardo beffardo. Colui che quella mattina lo aveva provocato, facendogli l’occhiolino con l’occhio sinistro.

Silvio punta il vegliardo con uno sguardo rapace e anche il vecchio più vecchio di lui lo fissa allo stesso modo. I due sono a un passo l’uno dall’altro. Silvio smette di guardarlo e dalla tasca destra della giacca caccia fuori una pistola calibro 9mm. Le medicine le ha dimenticate, la pistola no.

Nella sua stoltezza non aveva pensato a usarla prima. Poi, come un pistolero di un film di Sergio Leone, estrae l’arma e spara.

BANG

Blackout.

Il penultimo capello grigio si spezza.

ATTO V

Silvio, occhi vitrei spalancati, è accasciato faccia all’aria nella pozza del suo stesso sangue. Il vestito grigio non è più grey. Un rosso bruno viscoso predomina. Ci sono tagli profondi su tutto il corpo. Quel vegliardo che voleva ammazzare non era altro che il suo riflesso – che più non riconosceva – in una vetrata della boutique di un vetraio. Sparando a quella distanza, il vetro si è frantumato e alcuni frammenti gli si sono scagliati addosso. Il vetraio dovrà chiamare il figlio vetraio per aiutarlo a riparare il danno; forse anche il nipote vetraio.

Arrivano i soccorsi. Per uno strano motivo l’ambulanza soccorre i cocci di vetro dove stava il riflesso di Silvio. Così, a terra, Silvio si spegne.

Il suo ultimo pensiero è che dopotutto non era una così gran brutta giornata. D’altronde ha sempre preferito le tragedie alle commedie.

E poi ce l’ha fatta, Silvio ha ammazzato qualcuno: Silvio. Ha mantenuto il senso figurato della sua imprecazione.

L’ultimo dei cinque capelli grigi si spezza.

[…]

Troverai qui tutte le novità su questo libro

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Mauro Camarda
nasce a Palermo nel 1988. Laureatosi in Musicologia, sperimenta con la scrittura, influenzato dalla passione per l’opera lirica e l’hip hop italiano, oltre che per la letteratura. Su Instagram, col profilo @blu.mc, si fa conoscere con le sue frasi poetiche. Nel 2019 pubblica una raccolta di poesie dal titolo Il Fiore e lo Spettro, mentre Storie che non vorreste leggere è la sua prima raccolta di racconti.
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