È come trovarsi sott’acqua, in apnea, e cercare di risalire a galla, con la corrente che impedisce la risalita.
Per tutte le donne che hanno un lavoro, ma non è esattamente il massimo della soddisfazione e si ritrovano ogni giorno a sospirare aspettando che qualcosa possa cambiare, e cambiare in meglio.
Per quelle che al mattino lasciano i loro figli, ogni giorno, e si perdono le piccole gioie quotidiane, la colazione tutti insieme, o anche solo il piacere di spazzolare i capelli alla loro piccola, per farle una treccina e darle un bacio sul nasino.
Ma c’è forse un segreto? Una pozione magica? Fare di necessità virtù? Quali sono le loro rinunce, le loro conquiste, quali i compromessi e i loro consigli?
Prendiamo da loro energia positiva e guardiamo oltre e con un pizzico di lungimiranza.
La mattina, a passeggio per il quartiere, quando le scuole aprono i cancelli, il traffico scandisce i minuti trafelati e la giornata prende vita, incontri loro: un violino in spalla che profuma di legno pregiato e vernici miste a olio e resina, che al solo pensiero chiama il cuore ad aprirsi, a spalancare le finestrelle e far entrare suoni armonici e melodiosi. Una shopping bag zeppa di libri per Cristina che corre a prendere la metro, ci sono le prove anche oggi. Lei, poco più di vent’anni, ha dato vita a un’orchestra di piccoli musicisti (dai quattro anni in su), e, puntualmente, ogni anno realizza insieme a loro concerti dal sapore d’altri tempi; faccine emozionate nelle loro camicine bianche candide, un nastrino rosso nei capelli delle bimbe, un papillon rosso per i maschietti, gli strumenti in spalla, e dopo aver studiato, provato, giocato con la musica, portano a compimento un miracolo d’eleganza, dolcezza, sonorità, raffinatezza: un concerto degno del teatro dell’opera!
Lei così paziente, così unica, nel dirigere questi piccoli musicisti, lei così avveduta riesce a regalare emozioni e a far sognare ai nostri piccoli qualcosa di non troppo comune.
Al giorno d’oggi, rincorrere un sogno come la musica è una gran bella cosa…
«Mamma, da grande vorrei diventare primo violino…» Non so voi, ma a me dà qualche brivido, ecco, diciamo così!
Cristina ha iniziato a suonare il violino a sei anni, un amore tormentato dagli impegni scolastici e dal desiderio di un lavoro sicuro, stabile, ben strutturato che le permettesse di mantenersi; la musica, al giorno d’oggi, dà poche certezze! Poi l’incontro con l’amore della sua vita, Giacomo, giovane direttore d’orchestra talentuoso, con una passione per i bambini e con un progetto in mente: portare la musica anche nei quartieri di periferia. Insieme hanno fondato due orchestre giovanili. Cristina, una laurea in lingue straniere, una testa piena di ricci, un sorriso dolcissimo, una grinta da leonessa! Eh sì, perché far suonare insieme questi piccoli scalmanati che si sono avvicinati allo strumento magari da solo pochi mesi… credetemi, non è facile.
Maria Luisa lascia le ragazze al liceo e parla contemporaneamente su due telefonini, è sempre di corsa. Lavora come medico competente autorizzato: la sorveglianza sanitaria e la sicurezza sul lavoro sono fondamentali, oggi più di ieri. Si reca al lavoro tra una telefonata e l’altra, la centrale nucleare richiede un livello di attenzione altissimo. Le strutture sanitarie, la salute di medici e infermieri le stanno a cuore.
Mamma super impegnata, plurititolata, ricercatrice. Spesso di guardia presso i presidi di primo soccorso, alle prese con i problemi adolescenziali delle figlie mentre accetta di partecipare alla spedizione italiana in Antartide, e non so se mi spiego! Un mese a temperature abbondantemente sotto lo zero, dopo adeguato e duro addestramento, con tutto ciò che ne consegue; si mette in gioco verso una nuova avventura, e lo fa sicuramente non all’insegna della comodità e del massimo del comfort, ma noi donne siamo molto versatili, vero?
Anna, sulla sua carrozzina motorizzata, attraversa pericolosamente la strada e si avvia al centro di riabilitazione fisioterapica. A stento riesco a salutarla, sempre di fretta. Ci sono donne coraggiose, donne meno fortunate ma con una grande ricchezza da offrirci, la forza e la voglia di vivere. Sì, la forza, perché ne serve davvero tanta.
Meno favorita dalla sorte, Anna fa i conti tutti i giorni con una grave disabilità che l’ha colpita a pochi giorni dalla nascita del suo bambino, Luca, e da poco si è aggiunto il dolore di aver perso il suo sposo. Sorridendo sulla sua carrozzina, ogni giorno aspetta all’uscita della scuola il suo cucciolo di quattro anni, con grande fatica e dignità.
Un esempio di grande forza interiore e di lotta contro l’ingiustizia, che le ha cambiato il corpo, le prospettive, la vita. Il suo corpo trasformato, affaticato, non lo riconosce più; nella sua testa e nel suo cuore tanto amore per suo figlio.
Silvia, con la sua bicicletta carica di attrezzature, ha lasciato i bimbi a scuola e trova il tempo per darmi un pacchetto con le golosità del Sud che ha portato dopo una vacanza.
Pronta ad andare in studio a Testaccio, dove si dedicherà al montaggio e alla realizzazione del suo nuovo documentario, che parla della sua tata d’infanzia, immigrata all’estero (ecco che salta fuori ancora una storia di donna).
Realizza filmati, documentari. Spesso la vedo arrivare con il suo trolley dopo settimane di viaggio in Canada o in Cina, e racconta imprese incredibili. In Oriente si era imbattuta in una cultura completamente diversa da ciò che siamo abituati, raccontava di un certo degrado ambientale, soprattutto in alcune zone della Cina.
Aveva fatto esperienza nelle terre “calde” colpite dalla guerra, raccontava di come era rimasta per settimane bloccata in albergo, mentre fuori i bombardamenti continuavano incessantemente, e di come non era possibile neanche affacciarsi a una finestra per via degli spari.
Stava realizzando un documentario storico, dove gli argomenti trattati in qualche modo l’avevano portata a correre dei rischi, spostandosi in varie zone dell’Est europeo, dove la censura è predominante e cercare storie, persone, eventi in “casa d’altri” non era gradito. Poi, tornata a casa, eccola di corsa che scappa per riabbracciare marito e figli e preparare la festa di compleanno della sua piccola.
Incontro Lorella, ha un appuntamento con le insegnanti per discutere un programma personalizzato per un bimbo con DSA che segue da mesi, una sfida: aiutarlo a sbloccare la sua paura di scrivere e far sì che le sue giornate a scuola non si trasformino in ore di ansia e frustrazione a causa delle sue difficoltà. Lei affronta il problema da un altro punto di vista: non esclude la scrittura a mano, è infatti una “rieducatrice della scrittura”. Un’altra grande donna: settantacinque anni e non dimostrarli affatto. Chimica, ricercatrice, insegnante, esperta di disgrafia e disortografia, grafologa, mamma, nonna, moglie di un chimico che ha prestato il suo sapere anni e anni all’estero, lontano dalla famiglia, nella Guyana francese a preparare propellente per i veicoli spaziali. Una missione: trasmettere ai ragazzi la capacità di cercare in se stessi le proprie doti e peculiarità e utilizzarle al meglio, ah… e soprattutto a non darsi mai per vinti! Mai!
Quante mamme adottive sulla mia strada, con storie incredibili, mamme con la M maiuscola, piene d’amore per un figlio desiderato come si desidera l’aria che respiriamo!
Mamme come Francesca, che ha accolto due bambini meravigliosi, adottandoli e prendendosi cura di loro, anche se con qualche piccolo problema di salute, magari non risolvibile nel paese di nascita. Lei scalpita perché aspetta la chiamata per partire per Bujumbura e correre a prendere Marie Magnifique, che aspetta tutto il suo amore. Ci sono gravidanze che durano un po’ più di nove mesi, a volte anni. Un lungo “travaglio”: come per tutti i primi figli, poi un secondo più veloce, con qualche piccolo intoppo, come spesso capita con il secondo… infine arriva l’abbinamento con un altro bambino o bambina, e sarai di nuovo incinta! Meraviglioso… e non importa se il tuo semino sta crescendo lontano dalla tua pancia, in un’altra terra, dissetato da un’altra acqua. Il vento presto lo porterà da te e con te metterà le sue radici; crescerete insieme donandovi ogni giorno l’uno per l’altra… e tu sarai di nuovo mamma! In cinque saranno una famiglia al completo, cercata, desiderata, voluta con tutte le forze.
E la maestra che insegna in ospedale? Come posso non parlare di colei che meriterebbe un capitolo intero; con amore fa fronte alle difficoltà di salute dei piccoli pazienti, dei bambini che ogni giorno combattono con le malattie più debilitanti, e che riescono a fare con naturalezza e impegno un qualcosa come la scuola, con gli occhialini per l’ossigeno al naso, nel corpo il dolore, una cannula nel braccio e una grande dose di coraggio. Pronta a soddisfare ogni desiderio dei “suoi” cuccioli… una coppa di fragole di stagione o un violino pronto per essere suonato per la piccola Aurora, ricoverata per problemi respiratori, così che possa esercitarsi durante la lunga permanenza in reparto.
Mariagiovanna, bella, intelligente, pragmatica, alla guida della direzione delle professioni sanitarie di un grande ospedale. Oltre milletrecento professionisti tra infermieri, tecnici e personale di supporto, afferiscono alla sua direzione. Sappiamo tutti che la sanità italiana è in ginocchio: mille difficoltà, carenza di personale e dinamiche politiche difficili da comprendere. Per Mariagiovanna, le difficoltà sono all’ordine del giorno, donna e dirigente, corretta e dinamica, tutti requisiti poco confacenti al resto della classe manageriale.
Due bambine, una casa, un marito, niente di più normale. La sua famiglia vive a Bolzano e così con l’aiuto di tate, colf e tantissimo buonumore, lei, con il suo sorriso sempre in volto, si prende cura di quelle persone che vivono l’ospedale ogni giorno dell’anno. E, oltre ai pazienti, c’è tutto il suo personale.
Lei, sempre “sul pezzo”, anche quando qualcosa non va come vorrebbe, anche nei momenti più bui. Una task-force di donne al suo fianco, piene di energia, e non perché non abbiano problemi, ma perché l’entusiasmo, la voglia del cambiamento e di fare bene il proprio lavoro, è ciò che le accomuna.
Pronta a indossare i guanti sterili, prepararsi a strumentare per un altro intervento, iniziare una nuova giornata di lavoro e poi correre per tuffarsi in un altro impegno. Bibi si impegna in prima persona nell’organizzazione sindacale a tutela dei lavoratori, salvaguardare diritti e doveri, nel rispetto delle regole aziendali; sempre pronta a ogni evenienza, sempre pronta a ogni domanda che le viene rivolta. Con fermezza, grinta e tantissima voglia di fare è attenta a ogni richiesta, ogni problematica che richiede il suo intervento. Forte come una roccia, e tenera con i suoi riccioli ribelli, eccola pronta per ottenere un altro traguardo, un passetto in più per i lavoratori. Un impegno difficile, lei ci mette l’entusiasmo, la grinta, la rabbia, le lacrime e tanto altro. Ancora c’è tanta strada da fare. Manifestazioni, riunioni, tavoli di trattative, casa, compagno e un matrimonio da organizzare.
No, non è un film, sono proprio loro le donne della vita reale! Loro ce la fanno a fare tutto? Non esattamente, ma ci provano e lasciano spazio a ciò che è importante, selezionano, stabiliscono le priorità. Insomma, a qualcosa devono per forza rinunciare, hanno trovato un equilibrio, ecco tutto!
Ogni giorno, uscendo da casa mi rendo conto di quante siano le donne che incontro sulla mia strada e di quante vite eccezionali girano nel mondo che ruota intorno a noi: e non è un gioco di parole, ma una realtà che vivo ormai da tempo.
Mi confronto sempre più con contesti in cui le amiche – mamme, “donne della porta accanto” – dimostrano la loro eccezionalità nel fare grandi cose nella vita quotidiana, e spesso non ce ne rendiamo conto. Non serve andare lontano per conoscere personalità di grande valore e spessore culturale.
Come tanti mattoncini, danno forza e vigore alla grande macchina della vita, della quotidianità. Anche in un quartiere popolare, colorato, variegato, difficile per certi versi, oggetto periodicamente di articoli di cronaca. Sono trascorsi pochi giorni dall’ultimo omicidio davanti all’uscita di un asilo nido. Una zona che di sicuro non rappresenta per eccellenza quella residenziale dei VIP, loro, le donne che incontro sulla mia strada, sono una grande risorsa per tutti.
Ognuna di loro che ruota in questo mondo ha qualcosa di unico, di speciale: come te, donna! Le loro storie si muovono in un mondo vero, che ci appartiene, che non è quello della TV, quello che viene imposto dagli spot o dal gossip, ma che semplicemente s’impone a noi come il motore delle nostre giornate, come la freschezza della semplicità, la straordinarietà dell’essere femmina e anche mamma, in barba al presidente Macron!
Ecco fatto, avevo passato la notte sveglia a terminare il mio piccolo “articoletto”, come lo chiamavo io. Cercavo di realizzare il mio sogno, vedere una mia creatura pubblicata sulla carta stampata. Quando credi ardentemente in qualcosa vorresti comunicare a tutti il tuo pensiero, e io avevo nella testa e nel cuore tante idee da realizzare, e così poco tempo a disposizione. La mia passione per la scrittura risale a tanto, tanto tempo fa, più o meno a quando ho imparato a tenere la penna in mano. Per questo motivo avevo ripreso seriamente a scrivere, a studiare e documentarmi e il mio progetto era quello di mettere su carta una serie di storie di donne “comuni” e raccontare il loro punto di vista, il loro modo di vedere la società, capire e scrivere i sogni di ognuna di loro e confrontare il tutto con la realtà attuale, che sempre più spesso impone e non lascia spazio alle scelte, ai propri desideri.
Avevo voglia di finire un romanzo che ormai da tempo giaceva nel cassetto e che per vari motivi avevo preso e poi lasciato più volte. Insomma era rimasto incompleto.
Il mio umore era altalenante. Passavo da momenti come questi, durante i quali, incoraggiata dalla forza di chi mi circondava, cercavo di prendere esempio e convincermi che nonostante tutto ce la potevo fare, ad altri in cui invece ero un po’ sottotono, meno “frizzante”, diciamo così! Ma l’importante era contrastare il peso dei problemi e, facendo a gomitate, riuscire a emergere.
Ancora un altro inverno era trascorso e guardavo alle giornate a venire, lasciandomi scaldare dall’aria tiepida primaverile, da quel profumo di fiori appena sbocciati e da quell’energia che mi dava la carica per affrontare giornate faticose. Mi lasciavo alle spalle un inverno duro e rigido, e non per il clima, ma per tutto quello che avevo attraversato sulla mia pelle: un altro intervento chirurgico, numerose terapie, esami diagnostici. Giornate scandite da visite mediche, farmaci, ricoveri ripetuti, lontana dai miei figli e da mio marito. Ormai era una consuetudine, ormai erano anni che alternavo periodi di discreta salute ad altri marcati da eventi traumatici, eventi che mi segnavano in maniera indelebile.
Tante piccole tacche sul mio corpo.
Il mio fisico, nuovamente provato, nuovamente suturato, nuovamente privato di qualcosa. Questa volta qualcosa di molto prezioso, che non avrei mai dimenticato, neanche per un istante. Mi sentivo svuotata, quasi come se mi avessero strappato il cuore e lasciato un fiore, solo quello e nient’altro. Una buca enorme in un frutteto fitto di alberi rigogliosi e dai frutti maturi, una nave lasciata in acqua senza mai salpare.
Ecco, mi sentivo così, priva di un senso, a guardare intorno, con distacco e senza più riuscire a respirare la vita davanti a me.
Riuscivo anche a scherzarci su, a volte, undici interventi erano quasi un record: come dire, cercavo di prenderla con filosofia! Ero arrivata alla conclusione che dovevo davvero prendermi cura di me stessa, che dovevo darmi una scossa ed evitare quanto più possibile di incorrere nelle urgenze ospedaliere. Ero arrivata a realizzare che l’unico modo per continuare a sopravvivere era raggiungere una qualità di vita accettabile e su misura per me. Così, per quanto possibile, cercavo di stancarmi poco, di ottenere la collaborazione dei miei piccoli e di Lorenzo per alleggerire il carico portato da famiglia, casa, scuola.
Tutte le volte, dopo un evento doloroso, ricominciavo, azzeravo tutto e ripartivo. Mi guardavo intorno, scoprivo una grande forza di volontà nelle donne che mi circondavano e così cercavo di emulare la loro tenacia e impegnarmi sempre. Nel giorno del mio quarantesimo compleanno avevo fatto a me stessa una promessa, quella di impegnarmi a trascorrere il nuovo decennio in maniera meravigliosa, cercando di regalarmi un tripudio di serenità, di piccole concessioni, e perché no, anche di gioie futili e di viaggi. Di cose belle, ecco! Una sorta di dono a me stessa, come riscatto a tutto ciò che negli anni non avevo mai avuto, o meglio, che mi era stato tolto.
Invece no.
Di anni ne sono poi trascorsi tre, e non erano certo stati gratificanti, sereni, e neppure pieni di viaggi. Poche coccole, pochi doni per me stessa.
Ma la vita mi ha insegnato che è bene curarsi di ciò che abbiamo nel presente, di chi ci circonda, viverlo a pieno e prendersi cura di chi ci ama, di chi vive per noi e che di noi non può fare a meno, di approfittare di ogni singolo istante senza pensare a quello successivo. La gioia di vederli crescere, cambiare, i loro abbracci, il loro odore, i sorrisi, le lacrime, i loro sogni, mi incoraggiavano a non mollare mai, per non deluderli, per non lasciarli soli, come lo ero stata io.
Sola.
Volevo essere per loro un bel ricordo.
Non era facile “non mollare”, a volte mi sembrava di non vedere luce. Mi sentivo il peso di un masso sulla testa che mi schiacciava. Sognavo spesso di avere una lunga corda collegata a un sasso e legata al mio piede, nel sogno mi trovavo sott’acqua, scendevo lentamente, una sensazione angosciante.
Ad aggravare il tutto c’erano i miei dolori, le mie difficoltà di salute, non avevo un cancro, no, ma le malattie degenerative e le patologie rare – proprio perché tali – sono difficili da diagnosticare, da tenere sotto controllo, da gestire. A volte sottovalutate, poco conosciute, dalla sintomatologia atipica e spesso così “diversa”, imbarazzante, complicata, tanto da farci diventare riluttanti nel raccontarle. O forse è meglio dire propensi a “occultare”.
Forse per vergogna, forse per paura di non essere creduti. Forse perché quando sei relativamente giovane e apparentemente non hai una disabilità visibile, manifesta, per tutti sei “una che sta bene”. Difficilmente qualcuno capiva il mio malessere; era raro che stessi lì a spiegare le mie difficoltà, i miei problemi.
Così, chiusa dentro la mia capsula, nel mio mondo, con la mia bambina che mi guardava piangere quando uscivo dal bagno o dopo essermi alzata con molta fatica dal letto, o quando dopo una giornata di lavoro tornavo a casa senza neanche più la forza di arrivare all’ascensore, vedevo nei suoi occhi la comprensione che solo una figlia, una bambina sensibile come lei, può possedere. E quando, presa dallo sconforto e dalla mancanza di forze per svolgere anche le attività più banali, pensavo a quanto avevo già affrontato, e con quanta fatica, allora mettevo su un po’ di musica, mi concedevo un po’ di riposo e ricominciavo.
2 – Valzer in la minore n. 19, Op. post, Fryderyk Chopin
Il CD suonava Chopin.
E mentre uscivo dalla doccia, l’occhio cadde sullo specchio, sembrava incorniciarmi tutta. Erano mesi che evitavo lo sguardo sul mio corpo, su quelle forme segnate dagli interventi. C’erano diverse cicatrici, su quella che era stata la pancia, e ora non c’era più.
Ecco, ora vedevo un’immagine diversa.
Alzai la testa, lasciai scivolare lentamente, piano piano, l’accappatoio lungo la schiena, quasi a scoprire un quadro, un oggetto tenuto nascosto, come si fa per svelare un segreto custodito sotto un telo. Mi fermai a osservare l’immagine riflessa e imprigionata dentro quella cornice dorata.
Ero cambiata, ero diversa, vedevo il mio fisico asciutto e tonico, e la pancia era appena un accenno. Quella pancia, o meglio quei resti di un duro conflitto, una battaglia fra me, le malattie e le gravidanze, ora è appena percettibile.
Guardai, sì, mi guardai come non lo facevo da tempo, tirai in dentro il fiato per appiattire l’addome, mi misi in posa e come sempre, intransigente con me stessa, pensai a tutte quelle mamme, blogger, fighe, sui social, con il ventre ultra piatto e il vitino da vespa… e ragionai tra me e me. Io non sarei mai diventata una così; o meglio, non avevo nessuna intenzione di fare la fame, di sottopormi a una dieta rigidissima, né avrei potuto stressare il mio fisico tanto fragile con un’attività sportiva intensa!
Prima accennai un sorriso, poi, con la mano destra sfiorai l’addome e di colpo sentii gli occhi riempirsi di lacrime, ne cadde una sul pavimento, e un nodo alla gola mi assalì.
Però, quel giorno, riuscii a tenere lo sguardo su me stessa, a fermarmi sulla linea delle mie forme, sui chili persi e sul fatto che, tutto sommato, nonostante i quarantatré anni e le cinque gravidanze – di cui tre portate a termine –, be’, non andava poi così male. Mi rincuorai.
La era pelle liscia, e il seno né troppo grande né troppo piccolo, giusto e tornito, era rimasto come prima e mi faceva una linea morbida e leggera nell’abitino che avevo indossato. Fasciato, con disegni arabescati sui toni del bianco e blu, un piccolo drappeggio all’altezza della vita e una bella scollatura a V.
Sexy ma non troppo, al punto giusto, non troppo provocante, io non volevo provocare, volevo solo sentirmi a mio agio; camminare sicura tra la gente, senza farmi notare.
Così, tirai un sospiro lungo, molto lungo, mi asciugai gli occhi con un fazzoletto e guardai di nuovo, dritta e decisa verso lo specchio.
Così, con aria compiaciuta e soddisfatta, seduta sul bordo della vasca, mi infilai i sandali dalle sfumature che andavano dal blu al verde, i sandali che adoravo, mentre pensavo all’immagine di quella donna riflessa. Erano trascorsi nove anni da quando li avevo acquistati in occasione del battesimo di Lisa; erano come nuovi e non volevo buttarli via, al diavolo la moda e la tendenza. Ero così convinta delle mie idee, del mio modo di essere controcorrente, orgogliosa di ragionare con la mia testa.
Una spruzzata della mia acqua profumata di Dior, ed eccomi pronta per il colloquio. Eau svelte, acqua sottile, leggera, come mi sentivo io in quel momento.
Non mi vedevo bella, eppure riscuotevo sempre molti consensi, ma comunque facevo molta fatica a crederlo. Mio marito me lo ripeteva sempre, lo ripeteva ogni giorno. Mi diceva che ero stupenda, che mi trovava sexy e affascinante. Ma io niente, non ne ero affatto convinta, anzi. Ero sempre intransigente con me stessa e soprattutto insoddisfatta, raramente clemente come in quella giornata. Ci eravamo conosciuti in una fresca sera di marzo; amici comuni ci avevano trascinato in un locale, dove suonavano musica dal vivo, quell’atmosfera, quelle luci calde che si fermavano all’altezza dei miei occhi l’avevano conquistato, ed era subito scoccata la scintilla. Sei mesi dopo annunciammo nello stesso locale il nostro imminente matrimonio.
amarras (proprietario verificato)
Complimenti è un libro che trascina ed emoziona. Quando ti capita di leggere un libro che ti appassiona, ti coinvolge a tal punto di sognarlo. Sono entrata talmente nella storia, da aver sognato anch’io, di perdere le mie scarpe rosse sulla spiaggia mentre venivo trascinata via. Aspetto il tuo prossimo libro .
S.Fabrizi (proprietario verificato)
Nonostante che le emozioni fanno da padrone, lo consiglio a tutti anche ai meno sentimentali. Una storia immaginaria ma che richiama esperienze di vita reali fuori dal comune.
Giuliano Gattoni
E’ un libro da leggere tutto in una volta.
g.turturici05 (proprietario verificato)
Il libro ha una trama accattivante con molti colpi di scena. Nella storia che narra di donne coraggiose, forti che non si arrendono, vengono affrontate numerose tematiche profonde. Inaspettatamente il tutto è accompagnato da musica e colori. Dal testo si può evincere che l’autrice ha una grande sensibilità, e ha sicuramente effettuato numerose ricerche per potere descrivere le usanze di un altro popolo.
Carmen Cappitella
è un libro che ti lascia senza fiato, coinvolgente, ti tuffi nella storia e ti sembra di vivere in prima persona le emozioni della protagonista. Da non perdere
Chiara Lemmi (proprietario verificato)
Il libro si legge tutto d’un fiato. I protagonisti dopo poche pagine ti sembra di conoscerli da sempre. La storia ti coinvolge e ti sorprende, l’idea della “colonna sonora” è geniale.Vengono affrontate problematiche che toccano nel profondo e rivelano la tenacia e il coraggio, il dare la vita per l’altro che fa parte del dna dell’essere donna. Spero sia il primo di una lunga serie.
dagatimariarosaria (proprietario verificato)
Un libro che ha una proprietà di linguaggio che permette al lettore di entrare direttamente nella storia.Gli argomenti trattati differenti e difficili vengono resi piu’ leggeri dai luoghi e dai personaggi descritti con eleganza e delicatezza.Le difficolta’ che la vita ha riservato alla protagonista prima e durante questo viaggio ci fa capire quanto le donne siano forti in situazione estreme possano fare fronte comune aiutandosi e prendendosi cura a vicenda nel rispetto della dignita’ umana. Un libro che lascia innumerevoli emozioni.