Susan si incamminò tra muretti di ciottoli e marciapiedi umidi di pioggia, poi salì sull’autobus che tutti i giorni la portava al lavoro in città.
L’area residenziale di Fetchbury aveva il volto di un tipico villaggio di campagna inglese, dove le piante colonizzavano le facciate delle casette impreziosendole a loro piacimento e i pub erano più frequenti delle fermate del bus. Il centro poi, non grande ma sufficientemente attrezzato per accogliere turisti di passaggio e connazionali in gita fuori porta, ospitava locali dal sapore etnico e internazionale affiancati da piccoli supermercati e negozi di abbigliamento usato.
Arrivata al Chicken’s Paradise, Susan trovò Claire, la sua collega di lavoro, ad aspettarla sotto la veranda col suo solito sorriso incoraggiante. Dal momento in cui era diventata spettatrice inerme dell’incidente mortale di Tom, quella che fino ad allora era stata soltanto un’amica poco più che conoscente, l’aveva quasi adottata come una sorella. Claire sentiva che la sua missione era quella di farla sorridere, di farle ancora vedere che la vita è bella e cose del genere. L’aveva sorretta quando le lacrime le impedivano di parlare e continuamente spronata quando l’unico desiderio sembrava quello di restare in una stanza buia per il resto della sua vita. Dopo i primi giorni, Susan iniziò ad ammettere che senza di lei non ce l’avrebbe mai fatta.
«Non si lavora, oggi, tesoro… chiudi gli occhi!» Le afferrò la mano senza che avesse il tempo di entrare, trascinandola nel retro del fast food con foga mentre sogghignava sotto gli zigomi rossicci e paffutelli, il suo viso incorniciato da lunghi capelli neri ondulati. Claire non era mai stata magra, ma le sue forme erano armoniose in fondo e le conferivano quel ché di sincero e incoraggiante che spesso gli uomini cercano nelle donne e le donne cercano nelle amiche vere.
Inciampò due volte in quelle che, dal suono tintinnante, sembravano essere casse di birra e imprecò, pensando alla faccia del principale, ferito nel suo spasmodico desiderio di puntualità, quando non avrebbe visto né lei né Susan al bancone. «Apri gli occhi!» disse improvvisamente Claire bloccandosi di colpo. La voce era eccitata e Susan iniziava a essere veramente curiosa.
E così, fiduciosa, obbedì.
La serranda era alzata e dentro, sagoma lucida in contrasto con gli scatoloni polverosi sparsi tutti intorno, c’era la Rolling Lady.
Nel vecchio garage del signor Morton, quello che confinava col retrobottega, dove l’anno prima Tom l’aveva baciata inginocchiandosi e offrendole un tappo scintillante di birra scura le aveva promesso che si sarebbe trasformato in un anello d’oro e dove il loro principale non voleva entrasse nessuno a “fare porcherie, che se vi becco solo a sfiorarvi potete scordarvi il posto di lavoro finché campate”, tra l’odore di polvere e olio secco, Susan si era come immobilizzata improvvisamente, gli occhi fissi sull’elegante telaio che caratterizzava il profilo della Rolling Lady. Claire la guardava con gli occhi lucidi, impaziente di ricevere un segno di assenso, un gesto di approvazione, o qualsiasi cosa le permettesse di entrare in punta di piedi nella mente della sua amica.
Dopo un lungo silenzio, Susan mosse un passo titubante verso la carrozzeria della Royal Enfield modello Bullet 500 che se ne stava ferma lì, tra chiavi inglesi e pezzi di ricambio. Non era una copia o un rifacimento, era il modello originale del 1932, tenuta maniacalmente e perfettamente funzionante. Susan sapeva tutto di quella motocicletta, perché un giorno Tom aveva fatto più o meno la stessa cosa, ma Claire non poteva saperlo. L’aveva trascinata con gli occhi chiusi nel garage di suo padre e gliela aveva mostrata, non troppo grande ma con stile, lucida, con una personalità scattante ma robusta, “fatta come un cannone”, come recitava lo slogan dell’azienda. Le Enfield non erano moto fatte per correre, in sella a una di quelle potevi goderti il viaggio. E l’originale, poi, era tutto un altro paio di maniche. C’era soltanto una persona in grado di tenerla in quel modo in città, ed era il padre di Tom.
Quel giorno il suo ragazzo l’aveva invitata a salire in sella verso quello che sarebbe restato nella sua mente come il viaggio dell’avventura, la fuga verso la libertà, la corsa con il vento tra i capelli, verso quelle che pur essendo strade conosciute di periferia, si trasformavano nella mente di Susan in rotte affascinanti mai percorse.
Commenti
Ancora non ci sono recensioni.