L’appartamento dove vivevano non era in una zona centrale della città di Filadelfia, in Pennsylvania, ed era composto di un ingresso da cui iniziava un piccolo corridoio che a destra collegava la zona giorno, davanti portava al bagno e a sinistra c’erano le due camere da letto. Entrambe le stanze da letto e la zona living possedevano inoltre di un paio di bei balconi, di cui quello della cucina era coperto da una veranda.
«Buongiorno principessa!» esclamò suo padre al suo ingresso in cucina. Jay rispose con un grugnito al saluto di suo padre, scivolando sul parquet fino a posare con poca grazia il suo fondoschiena sulla sedia del tavolo da pranzo. Se quella giornata non fosse già iniziata male, poiché era ancora troppo lontana dalle vacanze natalizie, suo padre la stava facendo andare ancora peggio dandole della principessa. No, non era affatto cosa da lei. «Mh, oggi qualcuno si è svegliato male?» le chiese lui, sarcastico. Jay scrollò le spalle, rispondendogli candidamente: «Cosa c’è di peggio di sapere che sei solo all’inizio del tuo terzo anno di liceo e che mancano ancora tre mesi a Natale?». «Magari questi ti faranno tornare il sorriso!» commentò sua madre alle sue spalle, posandole davanti una pila fumante di cinque pancake coperti da una generosa dose di burro ed a cui mancava solo lo sciroppo d’acero. Jay sgranò di colpo gli occhi ed assunse un’espressione piuttosto ebete sul viso, prima di sciogliersi in un grande sorriso e di battere le mani tre volte. Afferrata la brocchetta con lo sciroppo d’acero aprì il dosatore e ne fece colare una generosa cascata su quelli che definiva “un dolce miracolo carboidratico”, che per lei identificava una sorta di adorazione per quel piatto da prima colazione. Suo padre rise divertito: «Ah, se solo bastassero anche a me due pancake per iniziare meglio la giornata» prima di bere un altro sorso dalla sua tazza di caffè. Jay, mentre stava già tagliando i pancake, rispose: «Infatti sono cinque. Non due. Come pensi che qualcuno possa veramente sopravvivere con solo due pancake nello stomaco?» sottolineando la parola “veramente” con un tono più acuto della voce. Suo padre, finito il caffè, sogghignò e rispose: «Hai ragione, stellina. Bene, ora vado a lavorare: che la Forza sia con voi!» e prima di uscire diede un bacio sulla testa della figlia e un bacio sulle labbra della moglie. Uscendo di casa fece attenzione che Oreste non rimanesse chiuso fuori, ma il piccolo felino era già bello e sdraiato sulla sua cuccetta nel balcone verandato. Jay e sua madre fecero colazione scambiandosi poche parole, non perché non andassero d’accordo ma per il semplice fatto che lei sapeva bene che alla figlia era inutile rivolgere parola prima delle undici del mattino.
Terminata la colazione, Jay tornò in camera sua, si infilò le scarpe, prese lo zaino già pronto dalla sera prima ed uscendo di casa salutò sua madre con un bacio veloce prima di raggiungere la porta di casa. La routine mattutina prevedeva che lei andasse a prendere le sue due migliori amiche: la più vicina – casa sua distava un paio di isolati da quella dell’amica – era Sam, che lei aveva conosciuto già dall’asilo ed erano diventate subito migliori amiche. Un equilibrio perfetto che aveva subito un’incursione, qualche anno più tardi, da parte della seconda migliore amica di Jay, cioè Lucy. Sam era solare, estroversa, aveva lunghe gambe magre ed un sorriso raggiante; Lucy, invece, era più introversa, ma gentile ed era quasi sempre con il naso infilato nei libri tanto che spesso la si vedeva girare per i corridoi della scuola con la copertina di un libro che le copriva il volto per intero e spuntavano, ai lati, solo i suoi lunghi capelli rossi e ricci. Alcune malelingue avevano preso il brutto vizio di chiamarla “Facebook”, cosa che Jay avrebbe volentieri ripagato con un bel colpo di boken su entrambi i polsi. Per quanto riguardava se stessa, Jay si vedeva davvero molto diversa dalle sue amiche: aveva i capelli lisci, neri e li portava sempre corti e con la frangetta, più per abitudine che per comodità; la sua pelle era bianchissima e sembrava fatta di porcellana cosa che in realtà detestava perché le dava l’aspetto di qualcuno troppo dolce per poter essere preso sul serio; le sue labbra erano rosse e non molto pronunciate, ma il loro colore non dipendeva tanto da un lucidalabbra quanto dal vizio di Jay di staccarsi le pellicine con i denti fino a farle, spesso, irritare o ancora peggio sanguinare. Per non tornare a parlare della sua ossessione per le fiabe: qualsiasi storia la portasse in un regno molto molto lontano dalla Pennsylvania le era congeniale nonostante lei detestasse la figura della principessa dolce, remissiva ed incapace di badare a sé stessa. Arrivata di fronte a casa di Sam, la trovò già sulla strada ad attenderla con i suoi lunghi capelli biondi sciolti ed un vestitino così carino che la faceva sembrare più alta e più bella. Jay però non ne era gelosa, anzi ammirava la costanza dell’amica nel truccarsi con cura ogni giorno. «Buoooondì» la salutò scherzosamente, mentre Sam le veniva incontro per abbracciarla. Iniziarono subito a parlare del più e del meno intanto che andavano verso casa di Lucy, che era più distante da loro due ma molto più vicina alla scuola. Nonostante questo, Lucy non era mai pronta per tempo al loro arrivo e dovevano aspettarla sotto casa per un tempo che poteva variare dai dieci minuti al tempo necessario per correre verso la scuola onde evitare di entrare in ritardo. Anche quella mattina, infatti, Lucy era scesa in ritardo ma non tanto da dover correre in classe. «Ben svegliata!» l’aveva presa in giro Sam, ma Lucy si era subito giustificata: «Non riuscivo a capire da che lato dovessi mettere questa nuova maglia!». «Molto carina, dove l’hai presa?» chiese Jay. «Me l’ha presa mia madre, online. Dall’etichetta pare che la collezione si chiami “Fata Madrina”». Al sentire le parole di Lucy le altre due scoppiarono a ridere a crepapelle, chiudendo l’argomento per affrettarsi ed arrivare a scuola.
La routine delle tre e la loro vita simbiotica dentro l’edificio scolastico venivano meno, non solo perché i professori incoraggiavano il loro stare separate almeno per la durata di una lezione, ma soprattutto perché entravano in gioco altre persone: sia Jay che Sam godevano dell’amicizia di due ragazzi, Rupert e Keith. Rupert era un ragazzo basso, pallido e con i capelli lunghi e di un castano rossiccio ma ciò che più lo rendeva particolare era che facesse battute talmente tanto imbarazzanti da togliere la pazienza anche alla stessa Lucy – che secondo Jay era una Maestra Jedi, per quanto riguarda questa qualità. Keith era il suo esatto opposto: alto, biondo, occhi verdi come quelli di Sam ed un portamento atletico e sicuro di sé, per quanto fosse addirittura sull’orlo della superbia e spendesse il doppio per il pranzo per nutrire anche il proprio ego. Lucy non aveva invece molte amicizie al di fuori delle due ragazze, ma con il tempo si era affezionata molto al bibliotecario della scuola, il signor Augustus Merlin. Era un uomo sulla sessantina, con dei lunghi capelli brizzolati e una barba tenuta con cura, occhiali piccoli ed ovali davanti alle iridi scure e un’altezza non proprio regolamentare per un uomo della sua età, tanto che Jay lo aveva soprannominato “L’ottavo nano”. Una cosa non molto cortese da dire, ma una delle caratteristiche di Jay era che non era proprio la cortesia fatta persona e non aveva un buon rapporto con il bon-ton. In compenso Lucy, creando questo rapporto con Merlin, aveva iniziato a fermarsi tutti i pomeriggi in biblioteca per studiare e lui amichevolmente le dava una mano. Con il passare del tempo anche Sam e Jay erano state invitate, così Merlin aveva iniziato ad aiutare anche loro. Nonostante tra lui e Jay non corresse assolutamente buon sangue, Merlin sembrava nutrire particolare fiducia in lei.
Quindi, esattamente come ogni giorno, alla fine delle lezioni il loro terzetto si era riunito per andare insieme in biblioteca. La biblioteca era parecchio grande, non ai livelli di quella della Bestia vista nel famoso cartone animato Disney, ma nei suoi confini avrebbero potuto starci comodamente almeno tre aule. Le pareti erano tutte decorate con pannelli di legno scuro, le librerie che contenevano i testi della scuola erano di un legno leggermente più chiaro e ogni volume era posato con cura sopra una targhetta di metallo verde su cui era inciso il codice di catalogazione. Subito a destra dopo l’entrata e percorrendo tutto il corridoio, si arrivava al piccolo bagno singolo, dove ci si doveva chiudere dentro per evitare di farsi vedere in mutande davanti a tutti i presenti in biblioteca –nonostante fosse comunque defilato.
Dopo esattamente trenta secondi dal loro ingresso le aspettative di Jay si avverarono e le ragazze sentirono una voce maschile profonda annunciare: «Benvenute». Jay, sapendo chi fosse l’autore di quel benvenuto, fingendo una voce maschile e profonda rispose: «Grazie!» con il solo intento di fargli dispetto. La cosa la fece ridere, ma non divertì Sam e Lucy.
Ma il karma ripaga sempre ed alle sue spalle Jay sentì dire: «Non è affatto divertente, signorina». Un brivido freddo di paura le percorse la schiena e d’istinto fece uno scatto in avanti e poi un giro sui sé stessa con aria colpevole. Le altre due, invece, sospirarono voltandosi semplicemente, Sam con un grande sorriso rispose: «Grazie signor Merlin!». Il signor Merlin, dal canto suo, aveva le mani sui fianchi e un’espressione di finta rabbia sul volto. Jay, arrossendo, chiese: «Come diavolo hai fatto?». Il fatto che al bibliotecario venisse dato del “tu” era una cosa che lui stesso aveva pregato le ragazze di fare, data la loro confidenza in quei tre anni. Però lui alle ragazze aveva sempre dato del “lei” e nessuna di loro aveva mai voluto indagare su quella faccenda.
«Cosa?» chiese lui, guardando la ragazza con aria interrogativa ed un po’ birbante. Jay di rimando alzò le spalle e sgranò gli occhi, come a dire “secondo te a cosa mi riferisco?”
«Arrivare alle mie spalle, la tua voce veniva chiaramente dal bancone centrale» rispose Jay piccata. Lucy si intromise, facendole notare: «Forse ha usato un microfono ed un amplificatore». Merlin ridacchiò divertito a quella considerazione, quindi superò le ragazze e tornò indietro verso il bancone centrale. Sam lo seguì, dietro di lei Lucy. Jay, ancora visibilmente imbarazzata, le seguì di malavoglia tornando a pensare che quella giornataccia non era ancora nemmeno alla fine.
Quando, arrivate al bancone centrale, le ragazze fecero per cercarsi un posto dove sedersi e mettersi a studiare – la biblioteca non era molto frequentata in quell’orario – il signor Merlin le fece fermare con una frase detta in tono piuttosto serio, quasi solenne: «Temo che sia arrivato il momento di dirvi tutta la verità». Le ragazze, bloccate da quella frase, si voltarono tutte a guardarlo con un’espressione stranita in volto e solo Jay ebbe l’ardire di chiedere: «Di che cosa stai parlando?» con tono anche molto poco gentile.
Merlin fece loro cenno di venire avanti, indicando di accomodarsi su tre sgabelli alti posti di fronte al bancone, una sorta di scrivania di legno scuro circolare, vuota al centro per poter ospitare uno stretto e alto scaffale con dei libri. Merlin poteva accedere all’interno di essa tramite uno sportellino sul lato, nascosto dalla libreria centrale, chiuso con una chiave che portava sempre con sé. Una volta che il gruppo prese posto lui iniziò a scaldare l’acqua nel bollitore fissato al bancone, che non poteva essere usato da nessuno senza il suo esplicito permesso. Sam si piazzò al centro del trio di sgabelli, Jay si accomodò alla destra di Sam mentre Lucy alla sua sinistra.
«Ehm…» cominciò Sam con tono poco convinto. «Io non ho capito molto bene di quale verità tu stia parlando…»
Lucy si lanciò in una supposizione: «Vuoi rivelarci il tuo segreto su come fai a sapere sempre quando entrano gli studenti in biblioteca? Sono forse installate delle telecamere?» e alzò il volto al soffitto, cercando qualcosa che possa ricordare un circuito chiuso per la videosorveglianza. Merlin accennò una risata e rispose: «Forse, sì. Lo rivelerò».
Con estrema cautela estrasse da sotto il bancone in legno tre tazze bianche, che porse alle ragazze per poi voltarsi a prendere una tazza vuota appoggiata sopra un vecchissimo tomo posto a non troppa distanza rispetto al gruppo. Jay decise di sporgersi, tenendo le mani salde sul bancone, per leggere il titolo del capitolo che stava leggendo e scoprì che in realtà sulle due pagine che Merlin satava consultando era disegnato un grande albero genealogico…
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