Il secondo cane rispose al primo in una maniera fortunatamente incomprensibile all’orecchio dell’uomo sovrappeso, poggiato al davanzale della finestra, a rimirare questa serie di eventi che incuriosivano il suo cervello poco allenato. Era in piedi, sveglio, per colpa di sua moglie; la donna russava ogni notte ma stanotte non era proprio riuscito a prendere il ritmo del suo brontolio regolare. Guardava fuori dalla finestra con uno sguardo ebete che potete facilmente immaginare ma che, per fortuna, non avete visto dal vivo. Il suo cervello-bradipo ebbe una contrazione, repentina come la scarica di un defibrillatore, il suo viso prese un’espressione tenace ed anche un minimo di fascino. Si rizzò in piedi, stava posato con gli avambracci al davanzale, la canottiera cedette, slabbrata, alla sua pancia molle, si volse verso sua moglie e la osservò.
Vide il suo culone mezzo scoperto dal pigiama arrotolato e dalle lenzuola che lui stesso aveva scostato, vide le sue cosce grosse che a fatica mantenevano la bella forma che aveva tanto amato anni prima. La donna russava imperterrita e persino la stanza si era saturata di quell’insopportabile rumore. L’uomo alzò il braccio destro, con un inevitabile sballottamento di carni flosce proprio là dove avrebbe dovuto esserci il sembiante di un bicipite e la sua ascella umida luccicò nella penombra della notte. In due passi sgraziati fu di nuovo accanto a sua moglie.
Le vibrò la più bella sculacciata della storia.
Daniela, la moglie, si svegliò di soprassalto con il respiro mozzato ed uno spavento prossimo all’infarto. Suo marito la guardava fisso, in piedi accanto al suo lato del letto. Lei sembrava non riprendersi, fissava Mario come se non lo conoscesse ed istintivamente aveva ragione. Suo marito la osservava dal suo solito volto ebete al quale, però, si aggiungeva un sorrisetto sardonico a metà strada tra Jesse James e Harry Houdini. Non faceva nient’altro che fissarla. Daniela iniziò anche a tossire ma tutto questo avveniva mentre le controindicazioni della sculacciata divenivano ormai fioche.
– Ma cosa fai???
Incipit del racconto: “L’ospite”
L’odore della fòrmica lo aggredì non appena varcata la soglia dell’albergo. Il mobilio era ricercato e scelto con attenzione ma la qualità latitava. Ad una prima occhiata ogni cosa sembrava finta e di una tinta troppo scura, cosa inusuale per un albergo in riva al mare. Dalla reception fino alle porte, passando per corrimani, divani e boiseries (rigorosamente in finto legno), nell’ingresso e nell’ampia sala alla sua destra, tutto sembrava immerso in una tinta marrone scura un po’ farlocca.
L’uomo si pulì le scarpe con ferocia trattando lo zerbino chiaro, sul quale campeggiava il nome dell’albergo, come una spazzola per fauci enormi e fetide. Le sue polacchine erano un tutt’uno con il fango e la pioggia.
La donna alla reception lo squadrò dalla testa ai piedi, forse aveva notato la lieve smorfia di commento al suo ingresso. La sua mano sinistra era rimasta a mezz’aria, a pochi centimetri dalla tastiera del computer, ruotò solo i bulbi oculari dall’alto verso il basso.
L’uomo portava con sé una borsa non molto grande ma stracolma ed era avviluppato in un impermeabile verdastro, sotto il quale si scorgeva un completo marrone, un due pezzi frusto, quasi sicuramente gualcito quanto la camicia azzurra che spuntava, esausta, dal bavero dell’impermeabile.
I due si scambiarono un lungo sguardo senza sapere il perché per poi salutarsi con una freddezza rimarcabile: – Per quante notti intende soggiornare?
– Almeno tre.
– Mi serve un suo documento e una carta di credito valida.
L’uomo iniziò a cercare lentamente in tutte le tasche: prima la sua mano sinistra si diresse senza esitazione verso la tasca interna della giacca, poi quella destra esaminò la posteriore dei pantaloni. Solo allora tutti i suoi movimenti ebbero una decisa accelerazione: lasciò cadere la borsa, quasi senza piegare il busto, e cercò con le due mani in ogni pertugio del vestito e del soprabito. La donna lo fissò mentre eseguiva quella buffa danza poi si dedicò ad altro, dandogli le spalle mentre risistemava alcune carte nel casellario destinate ai pochi ospiti presenti nella struttura.
– Non trova il portafoglio? – chiese, ancora voltata.
– L’ho lasciato in macchina.
– Non lasci qui la sua valigia.
L’uomo uscì svelto da dove era entrato, il rumore battente della pioggia coprì quello dei suoi passi veloci. Si arrestò un momento, un’auto era lanciata sul lungomare, si schermò con l’impermeabile. Le gocce evidenziavano i contorni della sua figura nella luce bianca del pomeriggio, si nascondevano tra i suoi capelli neri per scintillare come piccole esplosioni, all’urto con il tessuto impermeabile del soprabito.
– Ecco, tenga.
– Può prendere la 309. Terzo piano a sinistra uscendo dall’ascensore. Mi dia un paio di minuti e le restituisco il documento.
Estratto da “Due stronzi in un altro stato”.
[…] Aldo si voltò e con qualche passo repentino si andò a nascondere dietro a due masai, dai quali ricevette un sorriso di cortesia, come se avessero inteso la sua situazione, poi ricominciarono a conversare nella loro lingua fitta di consonanti tra le quali si faceva spazio qualche termine anglosassone. Il treno ripartì e per le successive due fermate i passeggeri si bilanciarono tra salite e discese. Aldo spiava l’altro italiano per preparare le strategie necessarie. Lo vide con il telefono in mano, probabilmente alla ricerca d’informazioni utili, il suo pollice non scarrellava nevrotico la schermata nell’atto di passare il tempo.
Alla terza fermata scesero tutti, tranne tre persone: Aldo, una bella ragazza e il giovane familiare. Il regista della scena era Sergio Leone: Aldo percepì l’horror vacui del vagone, alzò uno sguardo terrorizzato sul suo inseguitore e lo vide sorridergli e muovere una mano in segno di saluto come solo un assassino seriale psicopatico saprebbe fare. Inoltre Aldo doveva scendere. Quella era la sua fermata e voleva tornare a casa. Adesso. Aldo gettò uno sguardo alla bella ragazza, come diversivo, poi guardò il giovane familiare. L’italiano abboccò al tranello. Scrutò con attenzione la ragazza e le si avvicinò con fare dinoccolato, un ingenuo che crede di aver vinto al termine del primo round.
– Hellò biutiful gherl, au ar iu?
La ragazza non si mosse. Indossava gli auricolari e teneva gli occhi fissi sullo schermo, probabilmente era l’ennesima drogata di Netflix. Il giovane familiare restò in piedi vicino a lei, inarcando un po’ il bacino, in una posa da Pantalone. Dopo alcuni interminabili secondi la ragazza fu obbligata a percepire la sua fastidiosa presenza, scollò lo sguardo dallo schermo e lo incenerì. Lui lo prese per uno sguardo d’intesa e sfoderò uno dei migliori sorrisi che aveva imparato a fare esercitandosi allo specchio. La ragazza avvertì il tanfo di fritto ed il suo viso ben proporzionato assunse una smorfia disgustata per alcuni secondi. Il suo retroterra inglese le fece pensare che l’individuo di fronte a lei fosse domiciliato presso le fogne di Calcutta. Gli porse una monetina, si alzò, si voltò verso l’uscita, gli pestò un piede e scese, ancheggiando armoniosamente. […]
Commenti
Ancora non ci sono recensioni.