La stanza era illuminata da una luce bianca, ma osservandola meglio si accorse che l’ambiente non aveva muri né limiti, era tutto solo molto bianco.
Una donna si stava avvicinando ad Ambra, aveva un che di familiare e a ogni passo in avanti la ragazza veniva travolta da uno strano calore, come un’energia.
Era una donna alta e bionda con una carnagione molto chiara, non di quelle bianche cadaveriche, piuttosto un bianco che dava freschezza; i capelli lunghi le superavano di qualche centimetro la spalla, erano un misto di capelli mossi e lisci, a chiunque altro sarebbero stati male ma non a lei; un piccolo ciuffo le cadeva sul viso facendo notare ad Ambra i suoi occhi blu oceano con delle sfumature più chiare che davano un senso di immenso, risaltavano sulla carnagione chiara come due zaffiri. Aveva un piccolo naso che nell’insieme non si notava molto, ma la cosa che più risaltava sul viso era un dolcissimo sorriso che lasciava quasi senza fiato, con dei denti splendenti che facevano risaltare ancora di più il suo volto.
La ragazza non si soffermò sul corpo, era troppo presa ad ammirarle il viso. Le sembrava un angelo.
Improvvisamente un suono acuto ruppe il silenzio, come un vetro che cade e si infrange a terra, tutto intorno a lei cominciò a tremare e la donna spaventata scappò.
Ambra si ritrovò disorientata, la calma e la serenità di poco prima erano scomparse, scivolate via, cercò di correrle dietro ma più correva più la donna si allontanava.
Il suono le pervase completamente le orecchie, cercò di tapparle con le mani ma le era già entrato nel cervello, chiuse gli occhi sperando che tutto finisse e quando li riaprì si ritrovò nel suo letto con la sveglia del cellulare che le suonava accanto.
Dopo aver spento la sveglia, Ambra rimase sotto la coperta a cercare di scacciare il sonno. La luce del sole che penetrava dalla finestra illuminava parte della stanza, tra cui la valigia aperta piena di vestiti spiegati. Con gli occhi ancora socchiusi si girò a guardare il cellulare, che oltre a segnare l’ora indicava anche il giorno e il mese, 5 settembre, precisamente lunedì, il giorno che aveva aspettato inquieta per tutta l’estate, il primo giorno del suo quarto anno di scuola.
Quando il sonno le passò completamente corse in bagno e si sciacquò velocemente la faccia, dopo essersi asciugata rimase qualche minuto a osservare il proprio viso, era completamente cambiata dall’anno precedente, così come tutto il suo corpo.
Finalmente l’ingombrante apparecchio che si trascinava dietro dalla quarta elementare non c’era più, ben sette anni di torture e prese in giro. Inoltre, era riuscita a curare quella fastidiosa acne arrivata due anni prima.
Si guardava quasi incredula di essere lei, un anno prima avrebbe fatto di tutto per essere com’era adesso, non che si sentisse una modella, ma era piacevolmente soddisfatta dei suoi risultati. L’unica cosa rimasta uguale erano le fastidiose lentiggini sulle guance, ma un po’ le piacevano, la facevano sembrare più allegra e le risaltavano gli occhi nocciola; anche i capelli castani sembravano più luminosi, e si erano allungati molto, le superavano le spalle.
Era un’altra persona, pensò, una persona che non avrebbe più dovuto sopportare stupidi nomignoli come “denti di latta” o “capitan brufolo”, una persona nuova, una persona che avrebbe fatto tardi a scuola se avesse continuato a guardarsi allo specchio.
Percorse il vialetto di casa e continuò poi sul marciapiede a passo svelto. Dovette ammettere che un po’ le era mancato il suo paese, aveva passato gli ultimi due mesi nel solito campeggio estivo femminile, tra escursioni e bagni al lago, lo faceva tutti gli anni, ormai dai sei anni e nonostante le piacesse immergersi nella natura e dimenticarsi di tutto, quest’anno sentiva particolarmente nostalgia di casa. Osservava le villette a schiera bianche che si allineavano di fianco a lei, ai lati della strada, a Woodland non c’erano appartamenti ma solo case a schiera su due piani che circondavano la città, quasi tutte uguali, perlomeno in quel quartiere. I quartieri si estendevano intorno alla zona commerciale, il suo era nella media, ma nella zona nord le villette erano molto più grandi, con giardini più ampi e qualcuno poteva anche vantare una piscina!
Woodland era casa sua, e anche se era isolata dal mondo, contornata da boschi per chilometri e molto piccola, tornare lì le dava sempre un senso di quiete e tranquillità.
In fondo, molti dicevano che non esistesse città più sicura al mondo, non accadeva mai nulla a Woodland, in tutto la centrale di polizia contava solo tre poliziotti, il reato più grave accaduto in questa zona era il vandalismo.
Era arrivata nell’area commerciale, i negozi iniziavano ad aprire piano piano di fronte a lei, ripensò ai suoi compagni, all’estate passata forse troppo in fretta e soprattutto a Giulia, la sua migliore amica che si era trasferita durante l’estate. Si erano promesse di stare sempre insieme, fin da quando erano piccole, non avevano mai litigato, o quasi, e oggi Ambra avrebbe iniziato il quarto anno senza di lei, questo la distruggeva. Se il padre non avesse accettato quel lavoro a Greenfire, lei sarebbe stata ancora lì, invece adesso iniziava una nuova vita in città, era contenta che potesse frequentare finalmente l’accademia d’arte, ma in fondo non riusciva a pensarla con nuove amiche.
Greenfire era una città a venti chilometri da Woodland, raggiungibile con il treno o la superstrada, e in effetti la maggior parte degli abitanti del paese lavorava lì, d’altronde Woodland era talmente piccola che le richieste di impiego non erano molte, la maggior parte degli abitanti era autoctona, quindi le poche attività le avevano aperte le famiglie che vivevano lì molto prima della sua nascita, e tutti i nuovi abitanti avevano lavori già ben piazzati a Greenfire.
Era quasi a scuola, la Woodland High School, riusciva a vederla, era un imponente edificio diviso in tre parti, proprio nel cuore della città: elementari nella parte est, dove andavano tutti i bambini dai sei agli undici anni, le medie dove i dodicenni crescevano diventando adolescenti e poi c’era il liceo, quest’ultimo occupava l’intera parte sud, ricordava bene il suo primo giorno, quando appena quindicenne aveva varcato quella soglia. In fondo era sempre lo stesso muro di mattoni arancioni sbiaditi, le stesse finestre in fila ordinata, le stesse scale all’entrata, di marmo bianco; era tutto uguale agli altri anni, ma le sembrava diverso, più serio, più maturo, e ora, all’alba dei suoi diciassette anni, stava per iniziare il suo penultimo anno.
Abbassò lo sguardo verso il cortile, si vedevano le ragazze che si salutavano scambiandosi abbracci, i ragazzi che ancora dormivano e quelli che parlavano dei loro successi amorosi durante l’estate, era proprio come se l’aspettava: Beverly sempre oca e le sue amichette piene di trucco che si scambiavano bacetti per aria e parlavano di scarpe, i soliti secchioni di cui Hanna era la regina, sempre con i suoi occhiali enormi e la sua aria di onnipotenza. Erano tutti lì, Ambra si guardò velocemente intorno, mancava qualcuno.
“Magari hanno cambiato scuola” pensò, un sorriso le si aprì sul volto, “sicuramente hanno cambiato scuola” si disse continuando a camminare verso l’ingresso. Improvvisamente sentì il piede scivolare e l’equilibrio abbandonarla, cercò di riprendersi ma era troppo tardi, la sua faccia era immersa nel prato umido appena innaffiato.
Il chiacchiericcio dei ragazzi si fermò trasformandosi in una risata, Ambra si girò vedendo uno stupido zaino rosso sotto i suoi piedi.
«Sempre la solita sfigata, in tre mesi non hai imparato niente?» La voce proveniva da dietro di lei, quella voce, la voce che avrebbe voluto non sentire per tutto l’anno. «Ehi sfigata, parlo con te!»
La ragazza si girò ancora, un ragazzo biondo la fissava con i suoi occhi verdi smeraldo e sghignazzava, mettendo in mostra i suoi denti perfetti.
«Ancora con questi giochetti infantili, Rubio?» urlò alzando il viso dal terreno umido.
«Finché ci caschi…» rispose lui infilandosi le mani in tasca, indifferente all’offesa della ragazza.
Ambra cercò di rimettersi in piedi, gli altri compagni si erano già voltati tornando alle loro noiose conversazioni, Rubio invece la fissava continuando a ridere, dietro di lui c’era tutta la banda: Steve detto Ombra, perché qualsiasi cosa succedesse lui la sapeva e la riferiva a Rubio; Ronnie detto Flash, perché era il più veloce e il primo a scappare; e soprattutto PJ, il migliore amico di Rubio, il vice della banda, l’unico lì in mezzo che non sembrasse un’idiota totale, forse si sarebbe anche potuto salvare, se non fosse stato il migliore amico di Rubio ovviamente.
«Wow, capitan brufolo ha perso la sua flotta per fare spazio alle lentiggini» continuò il ragazzo notando il suo nuovo aspetto.
Ambra, facendo finta di niente, si alzò e si diresse verso l’entrata, ma Rubio la bloccò piazzandosi davanti a lei.
«Mi fai passare?» chiese nervosa.
«No» rispose lui alzando le spalle divertito.
«Sei proprio infantile» continuò lei cercando di oltrepassarlo, nonostante lui glielo impedisse.
«Dov’è la tua amichetta?» chiese poi il ragazzo biondo incuriosito dal non vederla lì a fianco a lei.
«Se n’è andata perché non poteva più sopportare la tua brutta faccia.»
Il ragazzo avanzò verso la scuola, dandole un leggera spallata e lei si ritrovò a terra..
«Allora quest’anno ci divertiremo» concluse girandosi verso gli altri.
La campanella suonò e tutti entrarono. Ambra rimase per qualche secondo a terra a levarsi i fili d’erba dalla maglietta che ormai era inevitabilmente rovinata dalle chiazze verdi.
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