Hans Studer, medico e ricercatore in una prestigiosa clinica romana, si risveglia su una scogliera ferito e privo di memoria.
Catturato dalla polizia siciliana che lo sospetta di aver ucciso la fidanzata, recupera i ricordi fino ai 12-13 anni: la morte dei genitori, l’infanzia con gli zii in un elegante sobborgo di Berna, l’infatuazione per la bella Lynn.
Inaspettatamente gli fa visita Beppe, il vecchio puparo conosciuto da bambino. Dopo un breve ma inquietante spettacolo teatrale, Hans sviene e, al risveglio, si ritrova in tasca un portafoglio firmato in caratteri cirillici e avvolto nell’abito di uno dei pupi.
Non sa perché e da chi, non ricorda nemmeno il volto di lei da adulta, ma questa ossessione lo porterà a scontrarsi con l’indifferenza dell’ambiente medico, i sospetti della polizia e le mire di criminali senza scrupoli, spingendolo al limite delle sue facoltà.
Perché ho scritto questo libro?
Alcuni anni fa, durante un periodo di crisi personale, mi capitò tra le mani un noto giallo di Agatha Christie, di cui non svelo il titolo. La rabbia e l’inquietudine mi spinsero a scrivere “Amnesia” che prima di essere un thriller è un drammatico viaggio alla scoperta di un’identità nascosta.
Perché tutti – prima o poi – ce lo chiediamo: io chi sono?
ANTEPRIMA NON EDITATA
11 gennaio 2017
Roma
L’odore di amuchina permeava la stanza.
Il medico si avvicinò al letto, scostò le lenzuola immacolate e slacciò il pigiama del bambino.
Gli faceva tenerezza perché sembrava dormire.
Trattenendo il respiro, posizionò lo stetoscopio sul piccolo petto e non avvertì alcun battito.
Dal corridoio un pianto soffocato lo fece sussultare e si ricordò della madre. Si voltò verso lo schermo dell’elettroencefalogramma: il tracciato era una lunga linea continua senza onde.
Posò gli occhi per qualche istante sul crocefisso appeso alla parete e pianse. Si tolse gli occhiali, li pulì con la pezzetta e uscì dalla stanza dove una donna lo guardò tremando.
Il medico scosse il capo.
La madre si gettò a terra scoppiando in un pianto disperato e picchiandosi il petto. Un infermiere accorse per calmarla e il medico si piegò verso di lei, abbracciandola con affetto paterno. Non amava il contatto fisico e mai avrebbe pensato di accantonare la sua abituale ritrosia. Si alzò di scatto e, mentre alcune assistenti accompagnarono la giovane nella stanza del figlio, ne approfittò per dileguarsi lungo le scale.
Nel parcheggio dell’ospedale si fermò un istante per respirare. L’aria gelida gli schiaffeggiò il viso e lo distrasse dai suoi pensieri. Si passò una mano sulle guance ispide, aprì la portiera dell’auto e fece partire la chiamata. Le dita intorpidite erano avvinghiate allo smartphone e subito non udì la voce rauca che lo chiamò per nome.
– Allora? – chiese l’interlocutore.
– È morto.
Un gemito soffocato uscì dal display. Il medico tremò e si sforzò di continuare: – I referti riportano valori anomali. C’è un’alterazione della sideremia e…
Un tonfo secco seguito da un tintinnare di schegge lo costrinse ad allontanare il cellulare dall’orecchio.
– Qua sotto non piove. Sai cosa intendo! – ammonì la voce rauca e interruppe la chiamata.
L’uomo rabbrividì, accese il motore della berlina e imboccò la strada.
30 giugno 2017
Sull’isola
Mi risveglio con la faccia schiacciata contro una roccia.
A fatica riesco a sollevare il busto appoggiandomi sugli avambracci. Mi passo il dorso della mano sulle labbra e subito un sapore metallico si mescola a quello salato dell’acqua. Mi viene da vomitare.
Tocco la fronte all’attaccatura dei capelli e sento un edema ancora caldo. Non faccio in tempo a capire se sono ferito quando un’onda impetuosa mi sospinge in avanti. Mi aggrappo con le ginocchia al masso che mi ha fatto da giaciglio per non essere trascinato via dalla corrente. L’acqua mi entra nel naso e per un attimo temo di soffocare.
Tossisco e spalanco la bocca per inspirare quanta più aria possibile. I battiti del cuore rallentano. Mi sto riprendendo, ma ho ancora la vista annebbiata e un dolore martellante all’orecchio destro non mi dà tregua. Inspira, trattieni, espira.
Mi volto verso la linea dell’orizzonte strofinandomi gli occhi ma non la vedo: il mare e il cielo formano un’unica pennellata di azzurro sfocato. I raggi mattutini si riflettono sulla schiuma delle onde, sprizzando scintille verde oro. Do un’occhiata alle caviglie dove avverto uno strano solletico: alcuni avannotti trasparenti asportano la pelle morta e si nascondono tra le alghe.
Un vero paradiso terrestre se non avessi escoriazioni in tutto il corpo, il polso sinistro dolorante e feroci fitte alla testa.
Inspira, trattieni, espira. Non sembra necessario farlo ora, eppure una voce interna non fa altro che ripetere quelle tre parole.
Inspira, trattieni, espira. Un grido acuto e penetrante mi costringe ad alzare la testa dalla parte opposta. Non me ne ero accorto prima: un enorme faraglione nero dai fianchi ripidi sembra venirmi addosso. Poso gli occhi su ciascuno degli spuntoni di roccia simili agli artigli di un tirannosauro arrivando fino in cima. Il cuore mi batte forte. Inspira, trattieni, espira.
Le berte volano vicino al faraglione senza mai toccarlo e schiamazzano facendomi tremare di freddo e di paura. Alzo gli occhi al cielo e chino subito il capo in preda ai conati.
Adesso so dove sono. Inspira, trattieni, espira.
Un ultimo sguardo alla cima del faraglione, ai voli acrobatici delle berte, alle increspature delle onde. Inspira, trattieni, espira.
Mi trovo in una conca semicircolare di massi scuri a ridosso di una scogliera a strapiombo.
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***
Devo andarmene da qui.
Percorro carponi gli scogli fino a raggiungere l’estremità della conca. Sto attento a usare la mano sinistra. Il polso è gonfio e ogni volta che mi appoggio alle rocce un dolore intermittente mi sale fino al gomito.
Ho ancora un tratto di mare da affrontare. Mi lascio andare nell’acqua e le onde fanno il resto: non posso dire che ho nuotato. Raggiunta la battigia, al culmine dello sforzo, mi stendo supino sui ciottoli neri e inspiro a fondo cercando di rilassare il diaframma. Inspira, trattieni, espira. Non serve che mi agiti e che mi faccia domande. Sono riuscito a toccare terra e di sicuro risalirò il promontorio.
Dopo alcuni minuti mi alzo in piedi e mi volto verso il costone. C’è un sentiero appena segnato. Finalmente un modo per uscire vivo da quest’inferno. Inspira, trattieni, espira.
Imbocco la stradina e arrivo a stento al ciglio di uno spiazzo erboso. Non so quanto tempo ho impiegato a salire. So solo che ho camminato come una scimmia inciampando più volte e in una di queste ho rischiato di cadere di sotto.
Una berta mi vola sopra la testa, grida minacciosa e poi si allontana. D’istinto mi abbasso proteggendo il viso con la mano destra. Nei paraggi ci deve essere il nido.
Mi siedo sul prato e guardo giù nel precipizio. Intravedo la scogliera dov’ero prima e mi sembra passato un secolo. L’erba secca mi punge le mani, ho la bocca riarsa e lo stomaco in fiamme, ma non importa. Ce l’ho fatta, sono fuori pericolo.
O forse no.
All’improvviso una specie di scossa elettrica mi scuote tutto il corpo. Sussulto come se ci fosse il terremoto, respiro con affanno e sento il cuore in gola. Prendo le tempie tra le mani appoggiando i gomiti alle ginocchia per frenare i conati.
Inspira, trattieni, esp…
Mentre mi bagno di sudore gelido, calde lacrime mi velano gli occhi. Tra poco mi accascerò.
Ma è adesso che le vedo. Proprio adesso che sto perdendo conoscenza.
Alte onde nere mi travolgono da ogni parte, oscurandomi la vista. Le vedo schiantarsi contro di me, ma io non posso scappare. Sono inchiodato al mio posto.
Rimango esterrefatto perché non è un sogno. Sono debilitato, certo, ma non sto dormendo. Il mare è sotto di me, l’ho lasciato pochi minuti fa, ora sono disteso vicino a un cespuglio di euforbia. Non può essere vero.
Le onde mi vengono ancora addosso, trattengo il respiro per non soffocare, ma non succede niente. Il vortice che si è formato a poca distanza non mi trascina via. Niente. Sono solo spettatore di un incubo.
La visione a poco a poco svanisce. I cavalloni sono fagocitati da una macchia giallastra che si dissolve in mille luci incandescenti quando mi stropiccio gli occhi: gli scotomi.
Non è una parola comune, ma io la conosco.
Inspira, tratt…
Preso da una strana frenesia scatto in piedi e mi metto a correre sull’orlo del promontorio. Seguo le berte ammirando le piume lucenti e il becco uncinato. Grido anch’io all’unisono. Vorrei spiccare il volo per andare con loro.
Ma non vado da nessuna parte. Inspira.
Pago senza pietà lo sforzo appena compiuto: di nuovo la scossa elettrica, la testa che gira e i conati.
Mi accascio a terra e la luce del sole penetra la cornea regalandomi una sensazione di intenso bruciore. Gli spasmi irrigidiscono la muscolatura per qualche minuto e il cielo rotea su di me come volesse risucchiarmi. Mi giro per vomitare gli acidi gastrici e il rigurgito mi ustiona la gola.
Insp…
L’ultima cosa che ricordo sono le berte che portano da mangiare ai loro piccoli. Ciascuna riconosce il proprio nido tra mille anfratti. Ogni pulcino sa chi è il genitore.
Io chi sono?
30 giugno 2017
In un Commissariato siciliano
I riflessi dell’alba si confondevano con il rosa antico del palazzo barocco, illuminando le due agavi all’ingresso.
Il vice ispettore Alessandro Cominotti attraversò l’atrio del Commissariato salutando di sfuggita gli agenti. Se sull’isola c’aveva visto giusto sarebbe partita un’indagine coi fiocchi. Doveva solo aspettare e non tradirsi.
Entrò nell’ufficio del commissario Di Giacomo trascinando i piedi.
– Cominotti, cosa mi sa dire del cadavere trovato stamane sull’isola?
– Donna, caucasica, età tra i 25 e i 30 anni, bionda. Dovrebbe essere Charlotte Tédier.
– La Tédier?
Il commissario spalancò gli occhi e si portò il bicchierino di plastica alle labbra, sorseggiando con avidità.
Il vice ispettore fissò il superiore: – Si, l’ex canoista, oro olimpico 2012.
– Lo so, lo so. So chi è la Tédier. Com’è morta?
– Stando ai primi accertamenti sarebbe annegata, probabile che la morte risalga a ieri sera. La Scientifica sta esaminando il corpo.
Di Giacomo si ripulì con un kleenex i baffi scuri dalla schiuma del cappuccino e a Cominotti scappò un sorriso di scherno.
– Qualcuno ne ha denunciato la scomparsa?
– Nessuna denuncia, commissario, ma un’amica che cenava con lei, una certa Irina Petrova, non vedendola tornare, si è rivolta ai colleghi dell’isola. Non l’hanno presa sul serio: ha precedenti per ubriachezza molesta e stalking.
– La vittima ha parenti?
– No, la madre è morta cinque anni fa e il padre non lo ha mai conosciuto. Era figlia unica.
– Quindi, nessuno che reclami il corpo – Il commissario aprì il vassoio di paste – Hai altro?
– A tre miglia dalla costa sono stati ritrovati il catamarano e il tender del fidanzato. Un pescatore li ha riportati alla Guardia Costiera.
Di Giacomo si concesse una breve pausa e addentò una pasta all’albicocca: – Chi è il fidanzato della donna?
– Il dottor Hans Studer, 35 anni, ricercatore universitario, nato a Berna e residente a Roma.
– Ma perché vanno tutti sull’isola? Francesi, tedeschi, americani e ora pure gli svizzeri!
– Commissario… è la perla nera del Mediterraneo.
– Macché perla e perla! Vanno sull’isola per fare festini, tirar tardi e spogliarsi tutti nudi sulla spiaggia! E poi i cocci sono nostri!
Di Giacomo diede un’occhiata al calendario da tavolo dove segnava i giorni che mancavano alla pensione: – E adesso che facciamo, Cominotti? Dobbiamo cercare il medico! Come se non avessimo altro da fare! Non è stato ancora trovato il grande dottore universitario?
– Le ricerche sono in corso. La Guardia Costiera e i pescatori d’altura non hanno avvistato cadaveri. Ho dato ordine agli agenti di perlustrare l’isola.
– E meno male! – sbraitò il superiore, tradendo un forte accento napoletano – Qualcuno ha parlato con il pescatore?
– Gli ho parlato io, ma non ha detto molto. È un tipo strano, parlava con voce impastata e si esprimeva a gesti. Un brav’uomo, secondo i colleghi dell’isola.
– Non me ne fotte un accidente!
– Ha detto però di conoscere il medico. Ogni tanto gli pulisce il ponte e gli porta a bordo le provviste.
– Medici! – grugnì Di Giacomo, ingoiando la pasta – Hanno l’auto sportiva, la barca con lo schiavo, la bella figliuola e quando stai per crepare nemmeno chiamano il prete!
– Ben detto, commissario.
– Se ne vada, Cominotti! Mi porti il dottore, vivo o morto!
Il viceispettore deglutì e uscì dall’ufficio.
Chissà se era solo una storiaccia di alcol e droga, come lasciava intendere il capo. Aveva preso parte ai primi rilievi della Scientifica e aveva notato sul collo della donna dei lividi bluastri.
Con un po’ di fortuna si trattava di un omicidio. Un omicidio a ridosso delle elezioni regionali.
Per ottenere la promozione e andarsene dalla Sicilia doveva trovare vivo quel bastardo e incastrarlo.
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