Di gente ne ho vista tanta.
Vengono tutti da me- che sono la più brava dicono. C’è anche Marisa sa santa che la fa, ma come la faccio io la medicina dell’occhio, nessun’altra la fa, o per lo meno, così dicono.
Ma io non è che ne sia tanto convinta.
Il paese non crede più come un tempo a questa cosa, anche se, a mio modesto parere, in fondo in fondo ci crede eccome, è che si vergogna di chiederla, che a crederci fa molto gente ignorante, fa molto medioevo.
Ora resto anche dei giorni senza praticarla, o a dir meglio, senza praticarla in presenza del mal preso, perché di richieste di farla a distanza ne ho fin troppe. Persino da altri paesi me la chiedono, su messenger e su whatsapp, perché la mia fama si è diffusa per passaparola, un po’ dappertutto in Campidano. Ma io a distanza non la faccio quasi mai.
Luxi non è il mio vero cognome e si pronuncia Lusci, non Lucsi. E’ che questo cognome mi piace più del mio e diciamo che l’ho… come dire… preso in prestito all’anziana donna che mi ha insegnato a riconoscere le erbe spontanee e che ha avuto la sciagurata idea di trasmettermi il saper praticare sa mexina de s’ogu liau o pigau- cioè la medicina che toglie il malocchio, quella dell’occhio preso per intenderci. Io non è che ci tenessi tanto, che a saperla fare è una condanna bella e buona.
La donna che me l’ha insegnata si chiamava Anna come me, e faceva Luxi di cognome, come ho già detto. Lei era nata il 27 settembre del 1932. Io sono nata il 27 settembre del 1982. Il 27 settembre come la Deledda e come Maria Lai.
Per arrivare a casa mia si passa per la via Nazionale e si gira poco prima del murale che raffigura un bellissimo cervo sardo, altero e guardingo, quasi un custode, nato da poche pennellate furtive e veloci di vernice nera. Ma basta che chiediate di quella che fa sa mexina e vi ci portano subito a casa mia, non potete sbagliarvi.
La casa in cui vivo era dei miei nonni materni e ci ho vissuto con i miei genitori sino a qualche anno fa, quando questi, finito di lavorare, hanno deciso di mollarmi da sola e di andarsene a trascorrere la pensione in Portogallo, a Lisbona per la precisione. Disgraziati.
Ma forse sono più disgraziata io che me ne sono rimasta da sola in questa villa Art Decò un pò fatiscente e che fa molto casa dei fantasmi. E’ che mi sono convinta che il mio posto è qui perché io da qui mi sento di potere andare ovunque. Io e le mie innumerevoli personalità viaggiamo anche restando ferme. E poi se sono nata qui in questa bidda un motivo c’è ed io sono una che il destino lo prende sul serio.
Quando mio nonno Adriano, proprietario terriero di grande cultura, soprannominato s’ingegneri, perché costruiva da solo tanti macchinari utili per il lavoro nei campi, s’innamorò di Vittoria, donna bellissima e fine, che faceva la bracciante nei suoi oliveti, fece costruire questa villa secondo i progetti di architettura moderna che vedeva a Cagliari. In quegli anni l’architetto Badas portò linearità e praticità ma anche il cemento e quello che ne venne fuori, fu questo villino a due piani con le mura grosse di pietra e ladiri, ovvero di fango come le vecchie case a corte campidanesi, ma dallo stile lineare, moderno, modellato dall’intonaco in cemento e dalle finestre non più a scurini ma chiuse dalle persiane. E fu così che in questo piccolo paese tra il monte Linas e la piana del campidano, arrivò la prima casa moderna. La villa è al centro di un immenso giardino: sul davanti c’è un ingresso con cancello in ferro battuto ed un muro di recinzione a balaustre di cemento, decorate con gigli geometrici, fatte con gli stampi. Le finestre e le persiane sono verniciate di verde acqua e la veranda all’ingresso è chiusa da vetri piombati stampati floreali, intervallati da rombi blu. In parte li hanno dovuti sostituire dopo la seconda guerra mondiale, poiché la facciata della casa fu rovinata dai bombardamenti, tanto che nei cancelli e nel muro di recinzione ci sono ancora i fori delle schegge delle mine. Maledetta guerra.
Sul tetto poi c’è una bellissima terrazza con le stesse balaustre della recinzione e la copertura in legno e canne è ancora intatta ed è uno dei motivi per cui giuro e stragiuro che non lascerò mai questa casa, neppure da morta. Perché da lì si vedono i monti ma si respira anche il profumo salato e umido del mare di Arbus, che sta lì, appena dietro ed il tramonto , mai del tutto svelato dalle montagne, esplode ogni sera in raggi duri di luce,quasi lance. Per me non c’è nessun panorama che possa valere più di questo. E poi nelle canne della copertura è pieno di nidi di vespe, fatti di fango con dentro ragni carnosi e immobilizzati, ma vivi. Potrei mai abbandonare una simile fortuna? Dovrei essere proprio pazza per farlo.
E comunque ho deciso così, che nel bene e nel male, resto. Resto mentre tutti vanno via, emigrano, scappano. Io resto – che il diritto di restare è un principio di libertà così come quello di andar via. Continuate pure a dire che Anna Luxi esti una bruxia macca, a me non mi offendete di certo, anzi. Mi sento importante quando mi dite che sono matta, una strega matta, tanto poi da me venite, di nascosto, ma già ci venite.
Autunno
E’ un altrove molesto settembre
Scoperchia le botti
E fermenta la voglia d’ inverno
Dolce dolce
L’ uva
Dietro il muro
Conserva l’estate
Capitolo 17.
Dio è un’invenzione degli amanti.
Franco Arminio
-Ecco brava, adesso rovescia tutto lo zucchero dentro la ciotola dove c’è il burro. Bravissima la mia Stella, ora metti le manine dentro e impasta tutto come quando giochi con il pongo-
-Anna ma perché questo zucchero è così brutto?
-Ma non è brutto, è solo scuro. E’ scuro perché non è stato raffinato.
-E cosa vuol dire raffinato?
-Vuol dire che è come l’ha fatto la natura. Per questo fa bene al pancino. Assaggialo!Non è più buono di quello bianco?
Maria Stella lo assaggia e mi sorride, si lecca lo zucchero dalle dita e mi guarda come a chiedermi: posso prenderne ancora?
– Solo un altro po’, ok?
E’ così bello vederla serena. Da quando ha ripreso ad andare alla scuola materna , le sue visioni sono aumentate. La nonna mi ha chiamato anche oggi per dirmi che l’avevano appena avvisata da scuola che era in lacrime perché vedeva il padre fuori in cortile e lei non poteva uscire dall’aula per seguirlo. Tende sempre di più ad isolarsi e ad inscenare dialoghi con Lello, mai con Gianna. Questa è una cosa che proprio non riesco a capire. Perché nella sua immaginazione ci sta solo il padre? Era legata in egual misura ad entrambi. Ma poi, è davvero solo frutto della sua immaginazione?A breve inizierà un percorso psicoterapeutico e ciò mi preoccupa parecchio.
-Senti Maria ora l’impasto lo continuo io, tu vieni qui a lavarti le mani che devi fare una cosa mooolto importante.
-Cosa devo fare Anna?-si preoccupa mischinedda, sgrana gli occhi e la bocca diventa una mezza luna rovesciata.
-Hai il grande privilegio di scegliere le formine per le ciambelle. Apri questa scatola e scegli.
Avrei voluto fotografarla mentre si riempiva gli occhi di meraviglia. Ha iniziato a toglierle piano piano e a guardarci attraverso, nel mentre ha scartato solo quelle geometriche.
-Bene, l’impasto è pronto, hai scelto?
-Siii!
Non avevo dubbi: gatto, delfino, cuore, stella cometa, pupazzo, civetta.
Adesso facciamo riposare un pò la pasta frolla che si deve impregnare del limone e della cannella e ti porto in giardino a sentire il profumo più buono del mondo, sei pronta?
Mi si è stretta al collo come un panda. Il ramo è alto e ho dovuto prenderla in braccio.
Grato con l’unghia la buccia di un minuscolo mandarino ancora verde scuro e lo avvicino affinché possa respirarne il profumo estasiante dell’olio essenziale.
Maria Stella inspira intensamente e fa uno starnuto, poi un altro. Ridiamo insieme.
La riavvicino al mandarino e stavolta lo annusa piano, chiude gli occhi , poi inaspettatamente li riapre ed ha altri occhi, corruga la fronte e si fa vecchia, singhiozza, mi guarda e stringe le labbra come a inghiottire il pianto ma non ce la fa. La metto in terra e lascio che pianga.
-Anche papà sta piangendo- mi dice, raggelandomi.
-Papà? Ma è qui?
-Si, era qui.
-Ed ora?
-Ora non lo vedo più.
Si guarda intorno, anche io mi giro a destra e a sinistra ma non vedo nulla. Ma d’un tratto sento una mano sulla testa, fredda, sento i capelli come sollevarsi, come se fossero elettrizzati, un pò come quando ci si toglie un maglione acrilico. Mi passo la mano sulla testa, di riflesso e mi vengono i brividi sino al fondo della schiena. Lello, lo chiamo dentro di me: Lello,sei tu? Non ho nessuna risposta ma dall’albero si stacca il mandarino che ho poco prima inciso con l’unghia.
Sarà il vento?
E’ tardo pomeriggio quando riaccompagno Maria Stella a casa sua. Andiamo a piedi, in paese non uso mai l’auto. La tengo in braccio perché è molto stanca ed infatti mi si addormenta tra le braccia. I suoi capelli sanno di pasta frolla appena sfornata.
Devo ammetterlo, mi costa molto riportarla a casa sua, vorrei tenerla con me. Vorrei che fosse mia figlia- ecco ora l’ho detto.
E’ l’ultimo venerdì di settembre e come ogni venerdì pomeriggio l’aria sa già di pane caldo perché i panifici lavorano da presto per fare il pane anche per la domenica. In paese ci sono i preparativi per la festa in onore della Madonna di Lourdes che sta sul colle. Ma come nella maggior parte dei nostri paesi, settembre è il profumo di uva che fermenta, di famiglie riunite a lavare le botti, a filtrare il mosto nei cortili. Rigoli di rosso violaceo scivolano da sotto i portoni per finire nelle strade, colorando le cunette che diventano vene gonfie, pulsanti di fermento e di drosophile impazzite.
Prima di rincasare allungo sino alla scalinata del colle, come mio solito. Devo stancarmi, dimenticare.
Ogni volta che salgo li conto: 190, 191… Un dolore forte all’ovaio destro mi blocca. Mi giro verso est e vedo la luna bella piena, anche se c’è ancora un po ‘ di luce. Ogni mese la fertilità è un groviglio che mi si aggrappa al ventre e fa radici, sino alla coscia.
Arrivo sfinita su, mi fermo davanti alla statua della Madonna.
-Tu mi devi spiegare questa cosa che sono nata così. Cioè non potevo nascere privilegiata come te e avere un figlio dallo spirito santo? Cioè per forza con un uomo devo farlo? Perché mi hai fatto così storta?Ho un utero che non mi serve a niente- mi rendo conto che sto parlando a voce sempre più alta, ma tanto sono sola- mi viene da ridere, e piangere, e ridere. Facciamo che nella prossima vita o mi fai etero o mi fai lumaca o fiore, insomma mi devi fare autonoma, ermafrodita mi voglio.
Mi appoggio all’inferriata del belvedere. Si è fatto buio, ho una gran voglia di urlare. MI giro nuovamente verso la Madonna.
-dimmi, dov’è Dio? Dimmelooo- urlo contro la statua. Chi ha figli muore, io che ne vorrei non ne posso avere perché anziché piacermi il cazzo mi piacciono le tette.. Dimmi, dov’è è Dio in questa vita di merda, dimmelo almeno tu che sei così santa!
Le campane delle venti rintoccano.
Resto ferma a guardare ancora un po’ la statua, non so tra me e lei, chi è più immobile, chi è più fredda.
Sento dei passi leggeri provenire dalle scale eppure non ho paura, è come se il mio corpo avesse già capito chi è. Un profumo intenso di cera d’api e le sue mani nella mia vita minuscola. Ci poggio le mie sopra, si, sono proprio le sue mani. Mi bacia i capelli e sento che me li respira senza buttare fuori l’aria. Il giglio di mare tatuato nella sua mano fiorisce un pò quando lo sfioro.
E’ Clio, la mia Clio.
Ecco dov’è Dio.
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