Mi chiamo Arianna, ho diciassette anni, vivo a Milano e sono al quarto anno delle superiori. Con la mia famiglia abitiamo in centro città, nella bella e rumorosa piazza Cavour. Per una questione di vicinanza – e per un certo retaggio di famiglia – dopo le medie sono finita al Parini, quel liceo che, milioni di anni fa, fu oggetto di scandalo per via del giornalino degli studenti, la Zanzara, che osava toccare argomenti per allora scabrosi, come l’educazione sessuale e i rapporti prematrimoniali. Preistoria. Come sono fatta? Be’, fisicamente lasciamo stare. Di carattere, posso dirlo, sono nervosa e irrequieta. Quando studio alla scrivania, mi ballano le ginocchia, i miei piedi battono e ticchettano finché non mi alzo. Poi di sedermi di nuovo non se ne parla, pure quando proprio dovrei. È l’agitazione che, in pomeriggi come questo, mi porta fuori a camminare per le vie, senza meta, senza scopo, solo per scaricare energia.
Oggi, però, non mi perdo per strade traverse, ma procedo dritta verso l’obiettivo. Ho in testa uccellacci virtuali e asteroidi, che, pum, pum, sparano e colpiscono bersagli a distanze stellari. È inseguendo loro che approdo al baretto vicino a scuola, dove, insieme all’odore di vecchio, al mobilio vintage, al bancone di formica, la tecnologia avanza prepotente e prende la forma di quattro imponenti videogiochi cabinati.E tu mi arrivi da dietro. Mentre ho gli occhi incollati al monitor, le mani al joystick. Mentre non sono Arianna, ma il triangolino al centro dello schermo, navicella spaziale minacciata da una tempesta di asteroidi. Alle spalle, mi parli, la bocca vicina al mio orecchio, troppo vicina. «Te la stai proprio spassando» dici. Voce arrochita, parole arrotolate una sull’altra, strafottente e petulante insieme. Un tossico. Uno dei tanti. Mi giro a mezzo, e mi incastro nei tuoi occhi (col corpo mi sei quasi addosso, rubi spazio mentre guardi vacuo altrove). Verdi occhi assurdi. Specchi incassati nelle orbite. Laghi chiari all’alba passata da poco, di un verde crudo. «Bevi un caffè, piuttosto che perderti l’anima al gioco?» Bere un caffè, invece, è mistica pura, ironizzo tra me, ma taccio e t’ignoro, e mi rigiro verso lo schermo, e ostentatamente infilo nel mostro un’altra monetina. Tengo gli occhi nascosti dietro i capelli – massa scura che sembra ancora più voluminosa sulla mia faccia minuta –, ma tu, se anche non mi vedi in faccia, non ti sposti.
Taci, e respiri sui miei capelli, il tuo fiato invadente che mi scalda la guancia e la base del collo. Poco prima che io debba andare, sei ancora nel bar, appoggiato al bancone. E io accetto il caffè – è solo un caffè. Quasi gradasso, al mio gesto verso la borsa – i tossici non hanno soldi che per la Roba – mi fermi. «Offro io.» «Allora, grazie.» Voglio tagliare corto. Cortissimo. Li conosco i tossici. Torre, per esempio, fidanzato di Nora, la sorella di Agostino, il mio ragazzo. Di nome in realtà fa Ludovico, ma tutti lo chiamano Torre, dal cognome, Torriani. Ogni volta che lo guardo, mi vengono in mente gli schizzi del Piccolo Principe. Lineamenti soavi, eleganza dei gesti, del portamento, eppure quando si fa è cattivo. Ruba e picchia. Ruba in casa dei suoi genitori e in casa d’altri. Anche agli amici, ci giurerei. E picchia Nora. È ridotto uno straccio, ma abbastanza forte per picchiare lei. Io non lo sopporterei. Se solo Agostino osasse… Il pensiero di lui mi rende subito nervosa. Agostino, che è forte e impositivo, ma mai apertamente. Che mi estorce sesso facendo leva sui sensi di colpa, perché il nostro desiderio è impari, e di non desiderare io m’incolpo. Scambia per timidezza la mia inerzia, la mia ritrosia per moralismo. «Gatta, non ti vergognare» mi dice, se mi contraggo e il viso arrossisce ai suoi pizzichi sul sedere o su un capezzolo. E quando piango, mentre facciamo l’amore, per il male e per la rabbia, fa come non se ne accorgesse, e va avanti finché gli serve. «Mi posso presentare?» interrompi il mio brusio interno. «Flaviano. Andavo anch’io al Parini.»
Ti dico chi sono: sono tornata Arianna.
Alessandra Fuccillo (proprietario verificato)
Il tempo di un libro, il tempo per scrivere un libro è una dimensione a sé stante: inizia quando vivi l’esperienza, passa per gli attimi a fissare il vuoto trasformando le emozioni in parole e poi frasi, passa per un taccuino, si perde nei traslochi, negli anni, nella sfiducia, nella dittatura dei giorni. A volte però da quella dimensione parallela esce e prende forma, si manifesta nella dimensione che tutti riconosciamo e, finalmente, esiste. Ecco ‘Sommersi’, di Elizabeth Cappa
Dall’Apnea all’apnoia, fino al respiro trattenuto. Spiace solo sapere che il tempo che ci vorrà a rileggerlo sarà troppo poco. In libreria, da ora troverete questo gioiello ambientato nella Milano più cupa degli anni 80, vista dagli occhi di una ragazza profondissima e sperduta. Imperdibile.
Elizabeth Cappa
Grazie Giuliano ❤️🙏
Giuliano Mannini (proprietario verificato)
Quando ho cominciato a leggere questo libro, l’ho fatto con occhio critico, come si conviene con un lavoro ancora in bozza. Ma il mio distacco è durato lo spazio di poche pagine.
– Un diario segreto
Si stenta un po’ all’inizio, com’è normale, a entrare nel mondo della Zingara. Anche se la porta è spalancata, c’è quell’imbarazzo che ti ferma sulla soglia, un piede dentro, uno fuori. Quel disagio nell’entrare nell’intimità più profonda di una donna, nonostante l’invito. Nonostante quel diario volutamente lasciato aperto sul suo letto, senza il piccolo lucchetto dorato a proteggerlo dallo sguardo del mondo.
– La Roba
Scopre che gli uomini sono innamorati solo dopo il coito. Dopo. Prima c’è lo “sbattimento” e la ricerca della gratificazione, dolente, ossessiva. Ma a volte è tutta lì la tensione e l’appagamento lascia posto ad una deludente intimità, fino al ritorno della “scimmia”.
Ecco, se estraiamo la vicenda apparentemente centrale della “Roba”, Apnea resta un racconto di straordinaria intensità. Un viaggio appassionato, solo apparentemente lucido, nella mente di una adolescente ossessionata dalla ricerca dell’eterno innamoramento.
– Sono fiera di me perché non mi sono innamorata all’istante.
Un’adolescente come tante, dicevamo. E all’inizio sei combattuto tra un moto di irritazione per quella stupida crocerossina (Come stai?) infatuata di un tossico, e uno di sincero affetto per la ragazzina che poco ancora sa della vita.
Perché questa è la storia di un amore tutto rivolto all’interno e proiettato – come gioventù impone – su un uomo qualunque, un uomo-specchio senza alcun merito particolare. Un uomo che, come sempre accade, diventa nel tempo opaco e non più riflettente. E nulla riesce ad aggiungere di sé quando lei smette di splendere.