La Noah sfrecciava nello spazio interstellare, nel silenzio del vuoto cosmico.
Ciò che restava della razza umana faceva rotta verso una nuova casa, una nuova speranza.
Dopo lunghi mesi di viaggio, il buio dello spazio veniva squarciato dalla luminosità del pianeta Ararat. I suoi mari azzurri si alternavano ai banchi di nuvole bianche, ormai quasi del tutto scomparse sulla vecchia e stanca madre Terra: colossi apparentemente immobili a nord, un enorme ciclone a sudest; sotto i nembi, continenti e isole e arcipelaghi.
Su quel pianeta, così ricco di vita, l’umanità avrebbe potuto prosperare di nuovo.
L’Arca stava penetrando nell’atmosfera del pianeta. La sala comando cominciava a riscaldarsi. Tutto veniva sconquassato, a causa dell’attrito dell’atmosfera sullo scafo.
Argo osservava da lontano. Il freddo occhio della telecamera di Dove-One riprendeva un evento storico senza precedenti: la prima nave spaziale umana su un esopianeta.
La missione aveva avuto successo.
Ross Adams aprì gli occhi per l’ennesima volta e guardò la sveglia: erano le cinque e trenta del mattino. Il cielo era ancora un manto nero trapuntato di vividi diamanti e la luce della luna filtrava attraverso la tenda semiaperta.
Un pallido chiarore illuminava il letto e le mensole della camera: vecchi cd e libri di informatica si alternavano sugli scaffali a fianco del giaciglio di Ross. Quella per lui era stata una notte agitata, passata a rigirarsi nel letto più e più volte: era inquieto, aveva paura, una paura indescrivibile, anche se voleva negarlo.
Da lì a quattro ore, la nuova versione di Argo sarebbe stata presentata al mondo.
Otto anni di lavoro, ricerca, studio, notti insonni per arrivare a creare un tale colosso: Argo, un gigante onnisciente posto a difesa del pianeta. Un’intelligenza con la volontà di fare la cosa matematicamente più giusta, senza interferenze di natura religiosa, politica o razziale. Un ipse dixit assoluto, ma soprattutto un capro espiatorio perfetto, quando sarebbe arrivato il momento delle decisioni più dure: l’ora di decidere chi doveva vivere e chi doveva morire in nome di un bene superiore.
“Otto anni non possono essere stati vani, andrà tutto bene!” continuava a ripetersi Ross mentre si alzava dal letto. Sentire il pavimento freddo sotto i piedi era una sensazione che amava particolarmente. Aprì la finestra: un’arietta fresca gli accarezzò il viso affilato e il ciuffo nero. Il sole sarebbe sorto in capo a un’ora e mezza, doveva sbrigarsi: lo scienziato si tolse il pigiama bianco a righe e infilò pantaloni, felpa e scarpe. Aprì la porta cercando di fare meno rumore possibile, la sua coinquilina Helena Cooper dormiva nella stanza accanto, non voleva svegliarla. Sul pianerottolo il buio era totale. Ross scese le scale lentamente, facendosi luce col cellulare, e uscì di casa.
Ross usciva per andare a correre ogni volta che aveva bisogno di liberare la mente, di non pensare, di concentrarsi solo sul proprio respiro, sui propri passi, e mettere un piede davanti all’altro. I polmoni si gonfiavano e si caricavano dell’aria gelata del mattino: a quell’ora c’era soltanto lui, tutti i problemi del mondo erano lontani, impercettibili.
La sua sagoma alta e snella avanzava per la stradina di campagna, a poche centinaia di metri dalla casa dove viveva insieme a Helena. Percorse il sentiero tra i pini che si alzavano maestosi davanti a lui, i pochi rimasti in quella regione, fino ad arrivare ad una leggera salita, lunga qualche centinaio di metri, che portava in cima a una collina dalla quale si poteva ammirare l’intera cittadina dall’alto.
Il sole faceva capolino tra gli alberi a est. La luce illuminava New Town, piccola città statunitense, situata a ovest di Columbus, perfettamente uguale a tanti altri centri nati negli ultimi anni: un parco di fronte al municipio, dal quale si diramavano tutte le vie principali a mo’ di ragnatela; a est le serre idroponiche, che rifornivano i supermercati, e dietro di esse le enormi vasche di raccolta dell’acqua piovana. A nord, sorgevano due piccole fattorie dove si allevavano animali allo stato brado, per lo più pollame e caprini, per accontentare gli ultimi irriducibili che non volevano arrendersi alla carne sintetica. Nel centro abitato, molti palazzi avevano una struttura ibrida, nella quale convivevano acciaio e piante. Tutto nelle nuove città era studiato per limitare al minimo lo spreco di risorse.
In quel momento, i pannelli solari posti a nordest vennero colpiti dalla fievole luce del mattino. Attivate dal sole, le scatole A.H. Box liberarono nugoli di piccoli robot impollinatori, di vitale importanza dopo la scomparsa delle api.
Era il 12 ottobre 2048: l’umanità era sull’orlo dell’estinzione. La temperatura del pianeta era cresciuta di due gradi centigradi, e questo aveva portato allo scioglimento di oltre il novanta per cento dei ghiacciai. Le Hawaii, le Fiji, e molti altri arcipelaghi del pacifico erano solo un ricordo; il Sudest asiatico era del tutto scomparso. In Africa, il Sahara si era esteso fino alle regioni centrali del continente; del Nilo era rimasto solo un profondo solco, che correva per centinaia di chilometri. L’Australia e buona parte del Centro America si erano tramutati in enormi deserti: a stento si poteva credere che fino a pochi anni prima fossero stati territori abitati.
Il sud dell’Europa era totalmente cambiato: a causa dell’alternarsi della stagione secca e di quella piovosa, i vigneti toscani avevano lasciato il posto alla savana, gli uliveti pugliesi erano stati sostituiti da piantagioni di baobab, impiantati per combattere la siccità.
In questo scenario, molte nazioni erano andate in pezzi: le migrazioni di massa si erano moltiplicate, e con loro i conflitti. Guerre per i campi ancora coltivabili, guerre per l’acqua, guerre per il mare: la carenza idrica aveva portato le nazioni a moltiplicare l’utilizzo dei dissalatori, ma il massiccio consumo di acqua marina era stato seguito da grandi epidemie, avvelenamenti e da un aumento senza precedenti di tumori e altre malattie dovute alle microplastiche e ai veleni scaricati in mare da quasi un secolo.
Il mondo era nel caos: fu per questo che, all’inizio del 2035, l’ONU venne riformato per assumere il comando diretto di tutte le nazioni che ne facevano ancora parte, cercando di portare ordine nel mondo. Furono chiamati molti esponenti della comunità scientifica a ricoprire ruoli nel nuovo governo e la prima azione del nuovo esecutivo fu di preservare ciò che restava dell’Amazzonia, e di abbattere inquinamento ed emissioni di gas serra: questo portò alla chiusura di molte aziende e all’inizio di una nuova crisi economica globale.
Il nuovo governo capì presto che le nuove misure adottate sarebbero state insufficienti per la salvezza dell’umanità, così corse ai ripari.
Il primo progetto avanzato dall’ ONU fu il progetto Noah: tutte le maggiori agenzie spaziali del mondo e gli istituti di ricerca di fisica nucleare si fusero in un unico ente, con lo scopo di trovare un nuovo pianeta abitabile e di sviluppare tecnologie per riuscire a intraprendere un viaggio interstellare. Passati cinque anni, il Noah non aveva portato ancora nessun risultato, le emissioni e l’inquinamento diminuivano meno del previsto, mentre le condizioni del pianeta peggioravano rapidamente. Nel 2040, sul finire del periodo passato alla storia come quello delle “guerre per l’ambiente”, nacque un nuovo progetto: l’idea era quella di creare un metodo di controllo efficace, rapido e diretto per contrastare inquinamento e surriscaldamento globale, pur mantenendo un’economia stabile che permettesse ai popoli di sopravvivere, e soprattutto che permettesse di far guadagnare tempo al pianeta, in attesa che il Noah desse dei risultati.
Questo compito fu affidato all’intelligenza artificiale Argo.
Appena arrivato a casa, Ross trovò in cucina la sua coinquilina, Helena Cooper: dal viso seminascosto dalla criniera bruna si intravedeva uno sguardo perso nel vuoto, tipico di chi è sveglio da cinque minuti.
«Buongiorno, Helena! Faccio la doccia, oggi è il mio turno» disse Ross.
La ragazza produsse un mugolio di approvazione, intenta a mescolare col cucchiaio una sorta di zuppa grigia e gelatinosa: un concentrato di zuccheri, proteine e sali minerali che costituiva la sua colazione.
Terminata la doccia, Ross rientrò in cucina: ora un’abbondante e calda luce filtrava dalle enormi pareti a finestra, addolcendo l’ambiente.
«Sei carico? Oggi è il gran giorno» chiese Helena.
«Sì!» rispose deciso Ross. «Finalmente possiamo fare questo upgrade e cominciare a usare una vera intelligenza artificiale!»
«Ci sarà anche il dottor Richard Spencer, il mio capo» disse Helena.
La coinquilina di Ross faceva parte del progetto Noah: il suo compito era monitorare il lavoro dei telescopi oltre oceano e riferire alla sede centrale di Ginevra.
«Perché non hanno mandato Eleanor Weaver? È ancora lei la direttrice del progetto Noah, giusto?» chiese Ross incuriosito.
«Sì, il capo è lei, ma Richard è il vero cervello, il motore del progetto» replicò Helena.
«Se è lui il cervello, perché non è stato scelto come direttore?»
«Bè, Eleanor Weaver è una politica e una mediatrice molto più brava di Richard, soprattutto quando si tratta di trovare finanziamenti» spiegò la ragazza.
Intanto, Ross ragionava sull’arrivo di Richard Spencer, e su quale fosse il motivo di quella visita: forse le cose erano peggiori del previsto?
«Che tipo è Richard?» chiese alla coinquilina.
«Un genio assoluto» rispose lei. «Nel suo campo è assolutamente il migliore. Però è facilmente irascibile, e credo abbia un problema con l’alcol… ma se lo sai prendere è adorabile.»
«Come sarebbe a dire “se lo sai prendere”?» Chiese Ross.
Helena raccontò a Ross un fatto successo qualche mese prima. Uno dei nuovi stagisti aveva rovesciato per errore una tazza di caffè sulla scrivania di Richard, rovinando in maniera irreparabile il suo PC. Lo scienziato diede di matto, inveendo sul malcapitato e cacciandolo dal suo ufficio.
«Quella era la sua prima tazza di caffè in sei mesi, per non parlare del computer» Disse Helena ridendo. «Il giorno dopo il poverino non si presentò a lavoro, mentre Richard arrivò in ufficio a metà mattinata, indossando un paio di spessi occhiali da sole e gli stessi vestiti del giorno prima, tutti sgualciti. Tutti noi pensammo che Richard avesse licenziato il malcapitato in tronco… Solo qualche mese dopo scoprimmo la verità.»
«Si erano picchiati?» Azzardò Ross
«No!» Fece svelta Helena. «Eleanor costrinse Richard a scusarsi, così quella stessa sera, i due finirono per ubriacarsi in un bar. Il ragazzo ci confidò che l’ultima cosa che ricordasse prima di svenire per i fumi dell’alcool era Richard che cantava a squarciagola Dani California dei Red Hot Chili Peppers al karaoke.»
I due risero insieme e Ross sentì la tensione allentarsi un po’.
«Comunque è un bene che Richard sia qui» continuò lei. «Così potrò fargli vedere di persona l’ultimo rapporto che mi ha mandato il National Optical Astronomy Observatory e analizzarlo con lui.»
«Qualcosa di nuovo?» chiese Ross.
«Di nuovo, certo; di utile, non lo so. Comunque ho l’autobus tra venti minuti, devo correre a vestirmi. A più tardi, in bocca al lupo!» concluse Helena, correndo di sopra.
Ross finì con calma la colazione, mentre Helena sfrecciava come un razzo verso il portone. Poi lo scienziato salì in camera. Aprì il suo armadio e osservò la sua unica cravatta e le tre camicie che possedeva, accanto al magro assortimento di maglie, felpe, jeans e tute. Si studiò allo specchio, mentre si faceva passare la cravatta intorno al collo.
“Otto anni…”pensò. “Ma funzionerà… deve funzionare!”
La fermata del bus distava appena quaranta metri da casa sua, ma già a quell’ora (erano appena le otto e mezza del mattino) c’era un caldo torrido e Ross arrivò alla fermata completamente sudato: non vedeva l’ora di essere al centro di ricerca, dove c’era un regime di clima controllato.
Per salire su un autobus a guida autonoma bisognava prima prenotare la fermata con una app e poi, poco prima di salire, bisognava passare il proprio smartphone su una telecamerina posta a fianco alle porte. Una volta salito il silenzioso motore elettrico riprendeva la sua marcia, e il passeggero poteva comodamente sedersi nel posto assegnato dalla app di prenotazione.
Appena sceso dall’autobus elettrico, Ross inforcò un paio di occhiali da sole, con la speranza di non venire riconosciuto dai giornalisti che avrebbero sicuramente assediato l’entrata della Cupola – così era chiamato il centro di ricerca, e così appariva: una gigantesca cupola in vetro e acciaio, immersa nel verde del parco circostante. Ross avanzò a testa bassa, cercando in ogni modo di non farsi riconoscere, ma, arrivato in prossimità del cancello principale, lo scienziato venne comunque assalito da una mandria di giornalisti e fotografi.
«Con il nuovo aggiornamento dell’intelligenza artificiale, ci sarà ancora bisogno di personale in questa struttura?»
«Dalle ultime dichiarazioni, Argo avrebbe rinviato il punto di non ritorno del pianeta di quasi dieci anni: dopo l’upgrade di oggi, fin dove pensate di arrivare?»
«A quattro anni dalla tragedia nel canale della manica il governo inglese accusa ancora voi di esserne stati i responsabili, come risponde alle accuse?»
«Dottor Adams!»
«Dottore!»
«Ross! Signor Adams!»
Ross svincolò senza rispondere: le guardie all’ingresso bloccarono l’orda e lui continuò per la sua strada. Percorse in fretta il viale che portava all’ingresso del centro, un viale lastricato in pietra e circondato dal verde. Ross continuò la sua marcia fino ad arrivare alle porte automatiche che si aprirono davanti a lui.
“Ah… aria fresca!” sospirò sollevato.
Il microclima all’interno del centro, mantenuto sempre al di sotto dei venticinque gradi centigradi, rinvigorì Ross, che salutò le guardie all’ingresso e poi si diresse verso l’ascensore: il suo ufficio e il gigantesco computer Argo si trovavano due piani sottoterra.
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