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Augmented Humanity Inc

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Nel 2049 la tecnologia dei chip sottocutanei è ampiamente diffusa: la maggior parte degli abitanti del pianeta è stato sottoposto a impianto. Questo comporta grandi comodità, ma anche un controllo pervasivo e la possibilità di introdurre limiti significativi alle libertà dei singoli.
L’americana Augmented Humanity Inc e la cinese Xīn Rénlèi si spartiscono il mercato mondiale dei chip e il conseguente controllo sulla popolazione. Unica voce fuori dal coro è quella del movimento No Chip che, attraverso azioni di sabotaggio, cerca di opporsi a una deriva che rischia di diventare irreversibile, con l’immissione sul mercato dei chip neurali. Impiantati direttamente nel cervello, promettono di rendere connessi gli esseri umani, tra di loro e alle macchine.
Le due aziende decidono di unire le forze per dar vita al sistema operativo globale Harmony World, una realtà mista, online e offline, con l’obiettivo di realizzare l’uomo aumentato, che è anche un uomo perfettamente controllato.

Perché ho scritto questo libro?

Nel febbraio 2017, dopo aver intervistato biohacker italiani, soggetti impiantati ed esponenti del movimento transumanista, ha iniziato a prendere forma l’idea di Augmented Humanity Inc.
Nel 2019, una frase di Brian Eno alla Decode Conference, “What is killing us is convenience”, mi offre un’altra chiave di lettura sul tema: per la “convenienza”, a quanta libertà siamo disposti a rinunciare?
Due anni dopo, riprendo in mano le bozze e finalmente la storia trova la sua strada.

ANTEPRIMA NON EDITATA

 

01.

Jason Kendler

La prima volta, è stato divertente osservare le espressioni sui volti di Jasmine e della cameriera. Ma era poco più che un gioco. Ora è tutto diverso. Non solo una sfida nel tentativo di spingersi un po’ più in là. Qui siamo al punto di non ritorno.

Ah, dimenticavo: Jasmine era la mia ragazza. Tanto tempo fa. Nel frattempo, ci siamo lasciati.

Ero passato a prenderla al termine di una lunga giornata di studio. Non ci vedevamo da una decina di giorni. Avevo inventato qualche scusa, perché non vedesse la cicatrice sulla mano. Volevo farle una sorpresa.

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L’ho aspettata davanti al portone di casa e quando è scesa ci siamo diretti verso la mia Tesla Model X, ho avvicinato la mano alla fiancata, una leggera rotazione del polso e le portiere si sono aperte. Un gesto naturale, ma lento e misurato, affinché ci fosse il tempo di notarlo. Jasmine mi ha guardato con stupore. Le ho sorriso aprendole la porta, l’ho fatta accomodare, senza darle spiegazioni.

Mi sono seduto al posto di guida, ho stretto il pugno vicino al volante e ho messo in moto.

Cosa sta succedendo? è riuscita a chiedermi Jasmine, dopo che lo stupore iniziale l’aveva lasciata senza parole.

Un piccolo chip sottocutaneo, ho detto mostrando il dorso della mia mano. Può fare cose incredibili.

La reazione della cameriera è stata ancor più soddisfacente. Finita la cena ho chiesto di pagare con la carta: Contactless, ho voluto precisare.

Quando è arrivata con il Pos, ho avvicinato il palmo della mano aperto e sul display è apparsa la scritta “Transazione eseguita correttamente”.

Ma, mi scusai, ma… la carta? Ha chiesto la cameriera un po’ confusa.

Ho mostrato anche a lei il dorso della mano: un piccolo segno appena percepibile tra indice e pollice. È qui.

Io sono Jason Kendler, CEO e socio di maggioranza della Augmented Humanity Inc e ho quarantanove anni.

Credo che partirò proprio da quella serata di quasi trent’anni fa, per aprire il mio intervento al convegno annuale della Augmented Humanity.

Una storiella divertente e al tempo stesso significativa, per introdurre i concetti che voglio condividere con voi questa sera. Trent’anni fa non ero certo il primo ad avere un chip sottocutaneo. Né il più famoso.

Il primato va a Kevin Warwick, era il 1998. Ad ottenere più attenzione sono stati però Amal Graafstra, Patrick Paumen, con il suo record di impianti, e soprattutto David Orban. Siamo tra la prima e seconda decade del Duemila, iniziano a prendere forma movimenti di “impiantati”, si parla diffusamente di transumanisti. Anche alcuni personaggi di spicco e imprenditori iniziano a investire nelle tecnologie mirate ad aumentare l’essere umano. Ma sono ancora una nicchia. E tale rimangono fino alla fine degli anni Trenta.

Nella migliore delle ipotesi, venivano tacciati di essere stravaganti. È stato così anche per me. Quando uno con i soldi fa cose strane, viene definito stravagante. Gli altri, i più erano semplicemente considerati dei pazzi.

Faccio una pausa, per lasciare che la risata che si leva dalla folla non copra le mie parole.

Ma torniamo alla fine degli anni Trenta. Quelli che erano movimenti isolati, iniziative imprenditoriali di singoli visionari iniziano a trovare un denominatore comune: la Augmented Humanity Inc.

All’inizio del nuovo Millennio, si stimava che per assistere al prossimo step evolutivo della specie umana, l’integrazione con le macchine, si sarebbe dovuta aspettare la metà del XXI secolo. Ebbene, abbiamo rispettato i tempi: siamo nel 2049 e grazie all’Augmented Humanity il postumanesimo si avvicina.

Mormorii di approvazione.

Lasciate che vi mostri qualche dato. Le rilevazioni sono quasi in tempo reale, risalgono a ieri, 15 settembre. Negli Stati Uniti gli “impiantati” sono l’89 per cento della popolazione. Da quando a inizio anni Quaranta la A.H. ha preso le redini del mercato abbiamo segnato una crescita del 70 per cento.

Altra pausa studiata per gli applausi e qualche urlo di entusiasmo.

Solo la Cina ha fatto meglio di noi, con il 99,5 per cento della popolazione dotata di microchip. Ma loro possono permettersi di usare altri metodi.

La mia considerazione viene accompagnata da un mormorio di disapprovazione.

Negli Sati Uniti, la grande differenza l’ha fatta, tre anni fa, l’introduzione della possibilità di impiantare il chip nei neonati, assieme ai primi vaccini. Da noi una possibilità, in Cina un obbligo.

Per chiudere questa carrellata di dati, vi ricordo che la media mondiale è del 67,5 per cento. C’è ancora tanta strada da fare. Soprattutto in Africa. E in Europa, dove sono fermi al 66 per cento. Due mercati molto interessanti per l’Augmented Humanity.

Faccio una breve pausa. Osservo di sfuggita il monitor del mio tablet. Poi riprendo: Dando uno sguardo ai dati dei vostri chip l’attenzione inizia a calare.

Sulle poltrone della sala conferenza, abbiamo degli scanner in grado di leggere i dati biometrici dei chip sottocutanei. Emergono indicazioni interessanti sul livello di attenzione delle persone.

In realtà a questo giro sto mentendo, non ho collegato il tablet al cruscotto della sala.

Dalla platea si leva un brusio, chi raddrizza la schiena, chi si guarda attorno. Poi gli occhi sono tutti su di me.

Quindi, mi accingo a concludere. Voglio lasciarvi con due considerazioni.

Innanzitutto, voglio farvi i complimenti per i risultati che abbiamo raggiunto sul mercato americano. Ottimo lavoro! Fatevi un applauso.

Esaltazione. Ecco quello che vedo nei loro sguardi, mentre battono le mani convinti, con gli occhi luccicanti. Sembra una scena di quei vecchi film su Wall Street, con tutti quei broker euforici, strafatti di coca, che esultano come invasati per l’ennesimo milione di dollari guadagnato.

Con un gesto della mano invito la platea a ricomporsi.

Il messaggio con cui voglio salutarvi, è in realtà un compito che vi affido: trovate le giuste strategie per arrivare in Africa e in Europa. Soprattutto, dobbiamo arrivarci prima dei cinesi. Perché ricordate il nostro motto: One Man, One Chip. E meglio se quel chip è dell’Augmented Humanity.

La platea si alza in piedi ad applaudire, qualcuno azzarda qualche fischio di approvazione.

[…]

02.

La frase conclusiva di Jason Kendler aveva aperto il notiziario su Channel 1 ed era stata trasmessa su tutti gli smart glasses del mondo occidentale. Su quasi tutti: gli smart glasses di chi non aveva impiantato i chip sottocutanei stavano iniziando ad avere qualche problema di sintonizzazione.

Il servizio proseguiva con un’intervista a Mr. Kendler, in cui spiegava che erano pronti a dialogare con le autorità europee per introdurre tutte le modifiche necessarie a rendere i chip della A.H. conformi al Regolamento sulla protezione dei dati e che la questione della sovranità dei dati gli stava molto a cuore.

Sempre le solite stronzate, borbotta Brandon, mentre osserva il faccione di Kendler su uno degli schermi di Times Square a Manhattan. Come ogni giorno in pausa pranzo, consuma il suo hot dog seduto sui gradoni tra la settima e Broadway. Non potrebbe fare altrimenti, Brandon non è “impiantato” e i locali di Manhattan si aprono solo per chi ha il chip sottocutaneo.

Dopo essere stati visti come una sorta di status symbol, verso la metà degli anni Trenta, quando tutto aveva iniziato a cambiare, i chip sono diventati quasi alla portata di tutti e offrivano servizi più rapidi, più comodi, non più esclusivi. Brandon non capiva perché ci fosse questa isteria collettiva: tutti volevano un chip dentro il proprio corpo. Lui non ne vedeva la ragione. Anche se aveva solo quarant’anni, si ripeteva: Forse sono troppo vecchio per queste cose.

Lavorava come tecnico delle luci nei teatri di Broadway. Viveva nel New Jersey, si svegliava tutti i giorni alle sei e faceva più di due ore di viaggio in treno per andare a lavorare. Usare un chip al posto dell’abbonamento annuale ai trasporti non gli sembrava una valida ragione per farsi iniettare un pezzo di plastica nella mano.

Poi, negli anni Quaranta, le cose hanno iniziato a cambiare. Il chip non si limitava solo a rendere più semplice fare alcune cose, era condizione indispensabile per accedere a un numero di servizi via via più ampio.

In breve tempo, Brandon si è ritrovato ai margini della società. Prima gli è stato interdetto l’accesso ai locali, poi niente trasporto pubblico. Infine, per entrare a teatro, anche nel backstage, è diventato obbligatorio il chip sottocutaneo. In meno di due mesi, Brandon è rimasto senza lavoro. E senza casa: Te l’avevo detto che dovevi fartelo quando era il momento, gli aveva urlato dietro la moglie, mentre accatastava le sue cose in strada e faceva installare una nuova serratura, che si poteva aprire solo con il chip sottocutaneo.

Prima di ritrovarsi con il culo a terra, Brandon aveva provato a far domanda per farsi iniettare il chip, ma era stato inserito in una lista d’attesa lunghissima. Non prima di otto, dieci mesi, si era sentito rispondere. Il suo era un profilo poco appetibile, non avrebbe generato dati interessanti. Si spostava da casa a Broadway, facendo sempre lo stesso percorso. Pranzava velocemente in qualche fast food economico, lavorava rinchiuso nel backstage di un teatro e tornava a casa sulla stessa linea della mattina.

Grazie alle amicizie che si era costruito in anni da serio professionista, alcuni gestori hanno iniziato a chiamarlo per quei lavori che non richiedevano il chip. Non poteva accedere al teatro, ma nei laboratori sotterranei, dove c’erano le falegnamerie e si producevano le scenografie, l’accesso era libero. E così aveva iniziato a fare tanti piccoli lavoretti, muovendosi ai margini di quel mondo di cui faceva parte fino a pochi mesi prima.

Si era trasferito in un dormitorio dalle parti di Harlem e aveva acquistato una bicicletta per arrivare a Broadway. Tutte le mattine attraversava Central Park e raggiungeva la zona dei teatri, si metteva in attesa davanti agli ingressi secondari e aspettava di essere chiamato e assegnato a qualche reparto. Acquistava il cibo dai chioschetti o in piccole drogherie gestite per lo più da asiatici, gli unici spacci di alimentari accessibili senza chip.

Sono in tanti nella situazione di Brandon. L’11 per cento della popolazione americana corrisponde a circa 40 milioni di persone. Più di cinque solo a Manhattan. Dei “paria”, costretti a vivere ai margini della società.

Qualcuno per scelta ideologica e politica, certo. Il movimento No Chip aveva aderenti in ogni continente. Si muovevano negli spazi – reali e virtuali – lasciati liberi dall’Augmented Humanity e dal sistema operativo Destiny.

Per lo più, vivevano fuori dai grandi centri abitati, in aree dismesse, coltivavano la terra per garantirsi gli approvvigionamenti. E soprattutto si tenevano fuori dal web. Almeno da quello ufficiale e diffuso tra l’89 per cento della popolazione. Il grande sistema operativo Destiny abbracciava con le sue reti l’universo digitale quasi per intero, rinchiudendolo in una sorta di gabbia. Non c’era messaggio, mail, post, immagini, spostamenti e forse anche pensiero che potesse sfuggire a Destiny. Ecco perché i No Chip comunicavano solo attraverso il Dark Web, facendo attenzione ai controlli sempre più frequenti che venivano effettuati anche all’interno di quello spazio di libertà.

Oltre agli aderenti al movimento No Chip però, c’era un’ampia fetta di esclusi, emarginati, i moderni “paria” per l’appunto. Avrebbero anche voluto impiantarsi il chip, ma non erano interessanti per i sistemi di analisi dei dati. A loro toccavano tutti i lavori più faticosi e spesso da svolgere all’aperto o quanto meno in quei pochi luoghi rimasti, in cui l’accesso era consentito anche ai non “impiantati”. Muratori, saldatori, meccanici, lavavetri.

Col tempo, forse, l’Augmented Humanity sarebbe arrivata anche a loro. In fondo “One Man, One Chip” è da sempre il suo slogan. Ma senza fretta. Anche negare il chip è un modo per esercitare potere sulle persone. Le escludi da tutta una serie di circuiti e non hai bisogno di controllare in altro modo.

Il sistema dei chip si rivela invece molto più utile con i ceti un po’ più elevati, quella che un tempo sarebbe stata definita la borghesia, così attaccata ai suoi piccoli privilegi. Nei chip è estremamente facile implementare nuovi servizi o inibirne altri.

È sufficiente vincolare l’accesso a determinati servizi alla condotta delle persone per avere un controllo quasi totale sulla popolazione. Ed essere i detentori delle informazioni e i giudici dei comportamenti, attribuisce un grande potere, anche nei confronti di Stati e Governi, da sempre sensibili a quel genere di controllo.

Ecco perché rappresentanti dell’Augmented Humanity non mancano mai una riunione in Campidoglio e sono sempre presenti alle assemblee delle Nazioni Unite o ad altri meeting tra capi di Stato. E non certo come semplici uditori.

Il sistema operativo Destiny è il terreno di gioco in cui sono immersi cittadini e istituzioni, quando navigano in rete e quando si muovono nel mondo fisico lasciando briciole del loro passaggio attraverso i chip sottocutanei. E tutte quelle informazioni confluiscono nella pancia dell’A.H.

Tutti inesorabilmente legati da un comune Destino. Un Destino controllato dall’Augmented Humanity.

Se davvero volessero mettere un chip in ogni uomo io avrei avuto il mio e non sarei finito in mezzo a una strada. Mettono i chip dove interessa a loro, altro che impegno per un destino migliore per tutti. Brandon sta finendo il suo hot dog, rivolge un ultimo sguardo disgustato verso i grandi schermi appesi sulle facciate dei grattacieli e per un attimo rimane sorpreso da quello che gli sembra di vedere. Mentre il faccione di Kendler sorrideva rassicurante alla popolazione mondiale è apparsa una rapida scritta in sovrimpressione: Riprendiamo in mano la nostra vita, hackeriamo il Destino.

[…]

Dalla centrale operativa di Destiny nel Queens viene registrata un’accelerazione collettiva nei battiti cardiaci di gran parte della popolazione di Manhattan. Principalmente sono concentrati nelle zone di Times Square, Ground Zero e Sheep Meadow, dove sono installati maxischermi sempre connessi su canali di News h24. Un rapido controllo, riavvolgendo i video trasmessi e alle 12:49 appare, per la durata di due secondi e 21 centesimi, la scritta: Riprendiamo in mano la nostra vita, hackeriamo il Destino.

Il responsabile della stazione di controllo del Queens, Liam Smith compila immediatamente il rapporto da inoltrare alla sezione Superior Security.

[…]

Dopo un breve confronto interno e una riunione virtuale con i vertici della A. H., la posizione dominante è quella di avviare una massiccia campagna di impianti. Tutti coloro che sono stati esclusi dai benefici concessi dai chip potranno finalmente uscire dalla loro condizione di “paria” e saranno accolti a braccia aperte all’interno di Destiny. In questo modo, anche le attività più umili potranno essere sottoposte al controllo dei chip e non ci saranno più zone grigie in cui il movimento può infiltrare suoi elementi.

2023-05-27

Aggiornamento

Oltre alla sinossi e all'anteprima, a questo link trovate l'audio trailer. Buon ascolto https://soundcloud.com/lucaindemini/augmented-humanity-inc
2023-04-13

Radio GRP

La chiacchierata in diretta con Francesca Bacinotti può essere riascoltata a questo link: https://www.spreaker.com/user/15806060/luca-indemini

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Luca Indemini
Nato a Torino nel 1975, ho iniziato a immaginare storie prima ancora di aver imparato a scrivere, dettandole ai miei genitori.
Alle elementari, il tema libero rappresentava uno dei momenti per cui valeva la pena andare a scuola. All’ultimo anno, la svolta: con due compagni diamo vita al Giornalone di Provolone, il giornalino di classe, e sboccia l’amore per il giornalismo.
Al primo anno di università, approdo prima a radio Flash, poi alle pagine di cronaca locale della Stampa. Un percorso non sempre lineare mi porta a lavorare anche come ufficio stampa e grazie alla collaborazione con il Consorzio Top-ix mi occupo di tecnologia e innovazione. Temi che inizio ad affrontare anche come giornalista, per diverse testate.
Sposato con Simona, ho una figlia di 14 anni, Rebecca, con cui, quando era più piccola, ci divertivamo a inventare storie.
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