Per la Banda in questione il calendario che scandisce il tempo non è quello giuliano né quello gregoriano, ma quello del campionato di calcio. In particolare della quarta serie nazionale nella quale gioca l’Artemide, squadra di una cittadina di provincia dove, tra un week-end di pallone e l’altro, tira a campare questo gruppo di amici di quartiere e d’infanzia che all’inizio degli anni Duemila sono più o meno trentenni. Nell’interminabile passaggio dall’adolescenza all’età adulta quasi tutti restano in casa pur di coltivare comodamente i propri vizi, nonostante una famiglia che invece li vorrebbe sistemati o almeno più responsabili. Giuseppe, voce narrante della Banda, fa costantemente i conti con insoddisfazioni generiche, fallimenti sentimentali e varie asperità della vita. Dietro ogni angolo ritrova un’università lasciata a metà e le frustrazioni della fabbrica dove lavora. Nel millennio appena iniziato la crisi appare lontana, ma ci si scontra con le degenerazioni del lavoro interinale e i rapporti tesi con capiturno, colletti bianchi e metalmezzadri, ovvero quegli operai per metà metalmeccanici e per metà ancora agricoltori in un zona industriale tra le più grandi del Centrosud. Questa sorta di nuova lotta di classe, con classi tuttavia non ben definite, si accavalla con i campanilismi storici tra paese e paese, città e campagna, centro e contrade. Ma nella ricerca del proprio lieto fine ci si rende conto che le discriminazioni, che siano razziali o territoriali, hanno sempre le gambe corte.
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