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Basta una notte

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Consegna prevista Aprile 2025
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Immagini mai che la tua vita possa cambiare in una notte? Nemmeno la giovane Anita. Pochi giorni all’inizio della scuola. Anita si trova con le amiche al solito bar per poi andare a ballare. Ad Anita piaceva ballare, specialmente durante quelle spensierate notti estive. Ma quella notte le avrebbe rubato qualsiasi forma di spensieratezza e la sua vita sarebbe cambiata per sempre. Anita non ricorda esattamente cosa le sia successo, ma strani sogni ed incubi, che sanno tanto di realtà, le continueranno a far visita la notte. La mente inizia a farle brutti scherzi. Anita non tornerà più quella di prima. Inizia una lunga odissea tra sedute terapeutiche, ospedali e comunità. Anita sogna la normalità. Anita sogna di tornare quella che era prima o almeno somigliarci un po’. Ma le malattie mentali sono come piante infestanti che danneggiano tutto quello che incontrano nel loro cammino. Gli psicofarmaci possono tenerle a bada ma non le eliminano. Bisogna imparare a conviverci ed andare avanti.

Perché ho scritto questo libro?

La scrittura è sempre stata per me qualcosa di intimo e terapeutico. Scrivere questo romanzo è stato in primis un modo per elaborare e riordinare emozioni, ricordi, racconti che erano in me da tantissimo tempo, da quanto ero bambina. Questa mia prima opera è ispirata alla vita di una persona a me molto cara e vuole trasmettere un messaggio; la cosa che meno va data per scontata nella vita è la vita stessa. Perché basta una notte e tutto cambia, la vita cambia, noi cambiamo.

ANTEPRIMA NON EDITATA

1

Correva nel buio facendosi guidare dall’istinto e dalla memoria. Le lacrime correvano sulle sue guance disegnando piccoli corsi d’acqua che raggiungevano le labbra aride. Le vibravano le ossa, i muscoli, ogni parte del corpo. Sentiva la sua presenza dietro di lei. Era in agguato o forse era solo nella sua testa. Non poteva essere reale. Non voleva che lo fosse. Tutto taceva attorno a lei. Il cielo sembrava quasi velluto, un pezzo di stoffa che si muoveva lento col soffiare del vento. Il suo cuore era l’unico rumore percepibile in quella foresta nera e fitta. Ad un tratto un buco bianco e luminoso si aprì difronte a lei, l’ingresso del paradiso. Il terreno sotto ai suoi piedi si fece improvvisamente di cemento, le stelle erano state spodestate da artificiali lampioni. Il rumore di qualche macchina in lontananza la fece tornare nel mondo dei vivi. L’odore del bosco era ormai lontano, come anche quello della notte e della paura. L’aria familiare di quella strada e di quelle prime case le stavano dando conforto e coraggio.
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L’umidità della notte aveva intriso i suoi abiti e strisciava lungo la sua pelle. Aveva voglia di calore. I piedi scalzi sull’asfalto nero inchiostro scrivevano una storia che di lì a poco si sarebbe dimenticata. Le scarpe bianche in mano venivano sventolate come una bandiera di pace e tregua. Quella corsa che pareva infinita trovò finalmente il suo traguardo. Le mani si tuffarono nella borsetta cercando disperatamente le chiavi per aprire la porta. Era quella di casa sua. Doveva fare piano ma la mano tremante trasformava quelle chiavi in campanelle assordanti. Un concerto che nella testa di Anita pareva quasi diabolico. Con lo sguardo rivolto a quel cielo che pian piano si faceva sempre più chiaro, respirò profondamente. Tentò nuovamente di aprire la porta, ma con maggior tranquillità. Il tintinnio metallico cessò. Salì le scale in punta di piedi. Scale che le parevano i tasti di un pianoforte talmente era forte il rumore della paura nella sua testa. Era finalmente a letto.

2

Le sembrava di avere ancora le mani intrappolate in un groviglio di rami e i piedi bloccati da spesse radici, ma quando si svegliò era in un letto. Una coperta calda e dal profumo di lavanda la avvolgeva. Il cuscino sotto la sua testa era morbido e aveva lo stesso profumo. Una luce fievole faticava ad entrare nella stanza dalla finestra semi aperta. Anita si mise seduta sul letto. La testa le girava e non c’era parte del corpo che non le doleva. Guardò la sveglia sul comodino. Erano le undici. I muri attorno a lei parlavano. Avevano la voce di una donna, poi di un uomo, di due ragazzini. Si sentì l’abbaiare di un cane e dei passi che andavano velocemente da una parte all’altra. Cercò di recuperare le poche forze che aveva per mettersi in piedi. Il pavimento era freddo. Anita fece un sussulto. Si addentrò nel buio della stanza. Solo un cenno di luce proveniva dalla serratura. Raggiunse la porta a piccoli passi, con cautela. Afferrò la maniglia e la girò lentamente. Con altrettanta lentezza spinse la porta. Davanti a lei si aprì una casa inondata di luce, risate e aroma di caffè. Anita spalancò la bocca ed espirò profondamente, come per far entrare tutto quello dentro di sé. Ritrovò un po’ di energia e accennò un sorriso. Si fece guidare dalla scia di profumo e dal rumore che la condussero verso le scale in marmo. Scese in punta di piedi. Arrivata all’ultimo scalino, alzò lo sguardò che si incrociò con quello di una donna.

  • Finalmente ti sei svegliata! –. Le disse.

Nella stanza, oltre quella donna, erano presenti altre tre persone. Erano tutti attorno al tavolo della cucina. Chi beveva il caffè, chi leggeva il giornale, chi si spalmava della marmellata su una fetta biscottata. Ad Anita parevano muoversi a rallentatore. I lori gesti, i loro movimenti erano quasi ipnotici, avvolti da un silenzio così rumoroso. Il volto di Anita si rabbuiò e il respiro le divenne affannoso.  La donna le corse incontro.

  • Cosa ti succede Anita? – Le domandò.

Tutti smisero di fare quello che stavano facendo e si voltarono verso di lei con sguardi pieni di preoccupazione. Il cuore di Anita iniziò a battere sempre più in fretta e la colpì improvvisamente un senso di nausea. Le si offuscò la vista, le labbra e le mani le iniziarono a formicolarsi. Il tunnel difronte a lei si faceva sempre più stretto. Prima di cadere a terra, riuscì a formulare una domanda con il poco fiato che le era rimasto.

  • Chi siete voi? –

3

  • È successo ieri mattina. È tornata tardi la sera prima. Si è svegliata e ci ha raggiunti in cucina. Ad un certo punto ha iniziato a sudare e tremare. Ci ha guardati e ci ha chiesto chi eravamo. Poi è svenuta a terra. Le è salita la febbre verso sera. –

Anita riconobbe la voce di sua madre. Stava parlando al telefono. Non riusciva a distinguere bene le parole. Sentiva la testa pesante.  Girò lo sguardo verso la sveglia. Erano le otto e mezza di mattina. Un forte dolore alla testa le fece fare una smorfia. Le sembrava di essere sospesa in un modo irreale, dove nulla era tangibile. Le voci e i rumori erano ovattati e lontani. Non riusciva a muoversi. Il suo corpo era pesante come pietra. Gocce di sudore le scendevano lungo la fronte.

  • Può venire a darle un’occhiata Dottor Romano? –

Anita riuscì a capire solo quell’ultima frase. Intuì quindi che fosse per lei quella chiamata. Poi sentì sua madre metter giù il telefono.

Il dolore alla testa era persistente. Non riusciva a capire quale potesse essere l’origine di quel male. Le sembrava di non avere il controllo sul proprio corpo. Aveva la bocca asciutta. Aveva bisogno di un bicchiere di acqua. Non fece nemmeno in tempo a pensarlo, che sua madre entrò in camera per portagliene uno. A stento riuscì a mettersi seduta e berlo tutto d’un fiato. Le faceva male anche a deglutire. Sua madre la guardava senza dire nulla. Aveva l’aria di essere davvero preoccupata. Se ne andò lasciando la porta socchiusa. Anita voleva capire, ma più si sforzava e più le sue domande rimanevano senza risposta. Cosa le era successo? Perché sua madre sembrava così preoccupata? Niente, la sua mente era troppo stanca e non le dava alcun esito. Si rimise sdraiata sul letto. Chiuse gli occhi e cadde in un sonno profondo. Eccolo lì, davanti a lei. Quella volta era reale o un incubo? Si risvegliò. Era tutto già svanito, scomparso, risucchiato in quel groviglio di rami che era quel bosco, che era la sua mente.

4

Anita aveva diciotto anni, aveva appena iniziato l’ultimo anno di liceo. Erano da poco terminate le vacanze estive quando quel tunnel aveva iniziato a ingoiarsela piano piano. Il Dottor Romano l’aveva visita quel giorno e aveva rassicurato sua madre che si trattava solo di febbre alta e che probabilmente aveva porta Anita ad avere piccole allucinazioni. Le aveva prescritto dell’antibiotico e riposo. Nessuno si rendeva ancora conto di ciò che stava accadendo nel frattempo nella testa di Anita.

Entrò in camera Margherita, la sorella minore di Anita. Aveva sedici anni e frequentava il terzo anno del liceo scientifico. Nonostante la sua età, era molto matura e seria. Non capitava di rado che i genitori di Anita le dicessero di portarsela dietro il sabato sera. Sapevano che Margherita era quella responsabile. Si sedette ai piedi del letto.

  • Tita come stai? – Le chiese quasi sussurrando.

Solo allora Anita si accorse che il senso di preoccupazione aleggiava su tutta la famiglia, non solo sulla madre. Intuì che quella banale febbre, di cui aveva parlato il dottore, probabilmente per la sua famiglia non era poi così banale. Lo intravedeva nei loro occhi. Era successo sicuramente dell’altro.

  • Ti ho sentita sabato rientrare in stanza dopo il coprifuoco. Dov’eri? –

Anita venne immediatamente catapultata indietro nel passato. Si trovava in quel bar in piazza, il Montebianco, il solito punto di ritrovo con gli amici. Rideva, aveva in mano una lattina di birra e sedeva al bancone con due amiche. Vedeva le loro bocche muoversi, ma non sentiva le parole. Stavano parlando di scuola probabilmente. D’improvviso, le immagini iniziarono a girare come su una giostra. La sua mente la catapultò di nuovo nella sua stanza, sul suo letto, davanti a sua sorella.

  • Non lo so Margherita. Non me lo ricordo. Non mi ricordo nulla di quella notte. I miei ricordi si fermano al Montebianco. Poi il nulla. È tutto nero. –

5

Nella mente di Anita era iniziata una caccia confusa e disperata ai ricordi di quella sera. Non potevano essere spariti. Doveva esserne rimasto almeno un brandello impigliato da qualche parte. Era uscita di casa, aveva chiuso la porta e si era incamminata verso la piazza. Era arrivata al bar e si era ordinata una birra. L’avevano poi raggiunta le altre. Avevano chiacchierato per un po’, poi erano andate in bagno a darsi una sistemata. Prima di uscire, avevano pagato il conto a Paolo, il proprietario del bar. All’uscita del locale c’era una persona ad aspettarle, o più persone. Quel ricordo era sbiadito. Non riusciva a metterlo a fuoco. Vedeva solo delle ombre e non riusciva a distinguere alcuna forma. Provò a sforzarsi. Lo fece davvero. Non voleva credere a quello che le stava succedendo. La sua memoria non l’aveva mai tradita e non si era mai spinta oltre con l’alcool per perderla totalmente. Non era da lei. Le piaceva divertirsi, ma conosceva i suoi limiti e sapeva che doveva rispettare il coprifuoco. Vagava nel nulla. Di quel sabato sera non vi era traccia nella sua mente. Forse era caduta, aveva preso una botte in testa e qualche ricordo si era smarrito per quel motivo. Cercò tra i capelli qualche protuberanza che potesse dar ragione a quella sua teoria. Ma tra la sua folta chioma di capelli ricci e neri, non vi era nulla.

Recuperò un po’di energie e si alzò in piedi, abbandonando quel letto ormai fradicio di sudore. Aprì la porta della camera e si avvio verso il bagno. In silenzio davanti allo specchio, iniziò a scrutarsi attentamente. Forse qualche segno sul suo corpo l’avrebbe aiutata a ricordarsi. Si spostò i capelli con le mani e ne trovò alcuni sul collo. Erano due strisce rosse lunghe e strette come dita. Si guardò le braccia e ne trovò anche lì. Si tirò giù i pantaloni del pigiama e vide alcuni lividi sparsi e una sbucciatura sul ginocchio. Chissà se qualcuno della sua famiglia aveva notato quei segni. Non ricordava di aver indossato il pigiama per andare a letto. Quindi probabilmente qualcuno l’aveva spogliata e glielo aveva messo. Aveva finito di analizzare ogni singola parte del suo corpo. Si spogliò completamente e si infilò in doccia per togliersi di dosso la pesantezza di quei giorni, il sudore e i pensieri.

  • Sei tu Anita? –

La interruppe sua madre bussando alla porta.

  • Si! Finisco la doccia ed esco. –

Era davvero bella la sensazione dell’acqua tiepida sulla pelle. Sentiva i muscoli rilassarsi e liberarla da quella morsa fastidiosa e dolorosa. Quel momento le stava donando quiete, sia nel corpo che nella mente.

6

Anita non sapeva ancora cos’era successo quella domenica mattina. Era ormai giovedì. Nessuno aveva provato a dirle nulla. La febbre era scesa. Si diresse verso la cucina dove si stava facendo colazione. C’era ancora caldo per essere settembre. Suo padre e suo fratello erano in canottiera con la loro tazza di caffè latte davanti. La madre era in vestaglia davanti al frigo, mentre la sorella si stava preparando i libri nello zaino per scuola. Quando la sentirono entrare, si girarono tutti verso di lei. Si fecero immobili e silenziosi. Anita fece fatica a muovere il primo passo verso quel silenzio improvviso. La stanza sembrava essersi riempita in ogni angolo di sguardi e preoccupazioni che come frecce correvano veloci verso di lei.

  • Buongiorno! –

Anita trovò il coraggio finalmente di entrare in cucina e interrompere quel silenzio amaro.

  • Cosa vuoi per colazione? –

Le chiese il padre alzandosi dalla sedia. Anita si guardò in giro. Non voleva accettare che quegli sguardi preoccupati fossero per lei. Forse non lo vedeva, ma nella stanza c’era qualcos’altro oltre a lei che poteva destare apprensione.

  • Un caffè latte anche per me e delle fette biscottate, grazie. – Rispose Anita fingendo calma.

Suo padre le versò nella tazza il latte ancora fumante e prese la moca per aggiungere un po’ di caffè. Gliela mise davanti assieme a tre fette biscottate con marmellata.

  • Ho già avvisato la scuola che starai a casa questa settimana. Il dottor Romano ha consigliato di vedere come passi il weekend. Se tutto va bene torni lunedì. –

Le disse sua madre, mentre Anita guardava il fumo che saliva dalla tazza. Si perse in quei disegni all’aroma di caffè che per un momento la fecero cullare e sentire leggera. La liberarono dagli sguardi pesanti che si sentiva addosso. Non ne aveva mai sentiti di così pungenti. Era intrappolata in un rovo di sguardi e silenzi. Quando finalmente Anita decise di alzare gli occhi dalla tazza, davanti a lei si palesarono dei corpi senza volto. Sua madre, suo padre, i suoi fratelli, erano privi di occhi, naso e bocca. Delle creature mostruose mai viste prima.

La stanza venne improvvisamente trafitta da un urlo fortissimo. Anita cadde svenuta dalla sedia.

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Francesca Tomba
Nata nel 1993 in una delle zone collinari più suggestive di Verona; la Valpolicella.
Nel 2015 ho conseguito la laurea in Scienze della mediazione linguistica per Interpreti e Traduttori per inseguire uno dei miei sogni; diventare traduttrice per una casa editrice. La vita, però, mi ha portata verso altre strade. Ho lavorato nel settore delle fiere per cinque anni dove ho avuto la possibilità di incontrare persone da tutto il mondo e questo ha instillato in me una forte passione per i viaggi. Ma la mia profonda propensione verso i bambini mi ha spinta nel 2021 ad un cambio di rotta. Ho conseguito una laura in Scienze dell'Educazione e della Formazione ed ora sono una felice educatrice per la prima infanzia.
Per me la scrittura è un'esigenza da sempre. Scrivere mi rilassa e mi libera allo stesso tempo, così come la lettura, passione che cerco di trasmettere ogni giorno ai bambini.
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