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Boderick e il cavaliere

BODERICK
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Consegna prevista Novembre 2023

Bode è un ragazzo semplice e vive con un padre burbero e taciturno nella fucina del paese. A parte questo sarebbe una vita perfetta se non soffrisse di attacchi di panico per un nonnulla. Come se non bastasse, il padre scompare e Bode dovrà affrontare incredibili storie dal passato, nuovi pericoli e un misterioso cavaliere che compare nei momenti più inaspettati. Come può un ragazzo colmo di paure andare incontro al pericolo?

Perché ho scritto questo libro?

Bode nasce dalla mia necessità di dar forma e sfogo alla creatività dentro di me. Leggo e invento continuamente storie e queste si mescolano e crescono in me ogni giorno. In questo libro ho messo la voglia di emozionare, il desiderio di evasione e la passione per le grandi imprese condotte da piccoli eroi.

ANTEPRIMA NON EDITATA

Capitolo 1

Il sole iniziava a calare sulla baia e tutto era immerso in una luce aranciata. Dall’alto la città di Tull occupava una larga lingua di terra che penetrava nel mare per poi richiudersi verso la costa. In cima a questo ricciolo, sul più alto del promontorio, era dislocato il quartiere più importante e istituzionale del paese: i grandi palazzi dei mercanti più ricchi, dei cambiavalute, le austere abitazioni dei generali in pensione e in cima la Fortezza. Il cuore del potere delle terre di Ames risiedeva nelle sassose mura su questa lingua di terra.

La Fortezza: un gigante di pietra coricato in riva al mare, torri alte vigilavano sia sul mare che sull’entroterra.

Se nlle strade di Tull era tutto un brulicare di gente invece nella sala principale della Fortezza non c’era nessuno, solo gli stendardi rosso e oro che pendevano dal soffitto e le lunghe vetrate rivolte verso la baia, le quali inondavano di luce il salone principale.

Il silenzio era rotto dalle urla che provenivano da un corridoio a lato. Lungo lo stretto passaggio porte e quadri si alternavano da entrambi i lati e, ogni tanto, un lungo candelabro illuminava il pavimento e le pareti. Alla fine del lungo camminamento una porta di legno era aperta su una stanza senza finestre se non per un piccolo lucernario posto in alto vicino al soffitto a volta. Tutt’attorno vi erano mensole, ripiani e oggetti più disparati che sostavano tra polvere e ragnatele. Dal centro della volta calava un grande cerchio di tessuto blu sopra cui erano ricamate in fili d’oro le maggiori costellazioni celesti e i più importanti pianeti.

Nel centro della stanza c’era un tavolo di legno e accanto ad esso due figure si fronteggiavano. Uno era piccolo, calvo, rotondo e ben vestito. La barba fluente e curata scendeva su un panciotto di stoffa pregiata con bottoni dorati corredato da pantaloni damascati e stivali in pelle di vitello. L’altro era alto, asciutto e furioso. Il volto deformato dalla rabbia e dalle urla, gli occhi neri e sbarrati, i capelli grigi, il naso adunco. Una cicatrice gli attraversava il viso dall’orecchio sinistro fino al mento. In quel momento dalla gola prorompeva una voce forte, secca e micidiale. -Non è possibile! non lo permetterò ancora! – L’ometto provò a rispondere ma non gliene fù dato il tempo – Oh taci! Da mesi ti pago profumatamente per trovarlo e tu te ne sei stato a zonzo a bere e a mangiare – Si avvicinò al piccoletto sollevandolo per il bavero da terra con la sola mano sinistra. I piedi del poveretto scalciavano a oltre mezzo metro da terra. – Dammi un motivo per non toglierti di mezzo; DAMMI UN MOTIVOOOO – Debolmente il piccolo uomo pelato rispose- S-Signore, ho una traccia; da verificare, certo, ma ho una traccia- La mano si aprì e l’uomo cadde per terra – Dimmi, ORA!

L’uomo alzò il viso e, dal pavimento su cui era steso, guardò negli occhi il suo interlocutore – Gorst .

***

Sui monti Azzurri la notte rischiarava e le nuvole lasciavano il posto a un bel cielo terso. Le cime delle montagne venivano illuminate dal sole che sorgeva e, benché il giorno fosse appena nato, nel villaggio a valle la vita di tutti i giorni era già iniziata. Le case, raccolte nella conca tra le pendici dei monti e il fiume, si riassumevano in una manciata di costruzioni di legno con tetti di ardesia con comignoli dai cui saliva un fumo profumato di resina. Carretti e garzoni iniziavano a popolare le strade e, in qualche cortile, i galli lanciavano i primi canti. In un angolo, al limite sud del paese. una casa giaceva isolata.

Aveva un cortile ampio, recintato da una serie di paletti di legno rabberciati in qualche maniera. Intorno, giacevano pezzi di ruote di carro, pezzi di legno, ferri arrugginiti, un’armatura per cavalli ammaccata e arrugginita. Il tutto era condito da una abbondante selva di erbacce. La costruzione era composta da una rimessa alta con un grande comignolo centrale e una parte come abitazione; piccola e semplice. Sopra la rimessa, un grosso ferro di cavallo,adatto ad un cavallo gigante, dondolava stanco.

Un rumore continuo e metallico proveniva da dentro e un fumo denso, nero, usciva dal camino. Nella fucina il fabbro batteva una sbarra di ferro rovente con un grande martello. Era alto, muscoloso e possente, i capelli corvini erano scostati dalla fronte con un laccio di tela rossa tutta sporca annodato attorno alle tempie. Indossava una casacca logora che un tempo era stata color nocciola, braghe verdognole e un lungo grembiale di cuoio. Gli occhi era piccoli, infossati dietro le folte sopracciglia. Erano scuri, riflettevano il bagliore del ferro che veniva colpito sull’incudine. Non perdevano un movimento, un accenno, un riflesso da ciò che stava forgiando. Sotto i colpi del grande martello il ferro si piegava, si allungava e veniva come addomesticato del fabbro. Grazie al lavoro sull’incudine da una sbarra scaturivano attizzatoi, vanghe, accette, ferri per cavalli.

Quando il ferro poi si raffreddava veniva posto nella fornace a carbone . Questa era un grande cerchio di pietre con in centro un braciere pieno di carboni e, al di sopra, una specie di imbuto ne raccoglieva i fumi per mandarli al camino.

-Bode forza con quel mantice!- urlò il fabbro-

Il mantice era un grosso sacco di pelli di pecora collegate a due leve di legno. Un ragazzo, aprendo e chiudendo le leve del mantice, faceva da soffione e spingeva l’aria tra i carboni rendendo la fornace incandescente come le fiamme di un drago. In questo caso il giovane non era uno scricciolo ma era ben piantato. Serio serio azionava il mantice finché il fabbro non ritirava la sbarra, poi, restava a studiarne i movimenti, a volte passava gli strumenti, le pinze, i martelli di varie forme, per poi tornare al mantice appena ce ne fosse di bisogno.

-Bisogna finire queste zappe entro il mezzogiorno, dacci dentro!- disse l’uomo – Và bene papà!- rispose il ragazzo impegnandosi a forzare l’aria con il mantice. Le gocce di sudore gli colavano dal viso mentre con le robuste braccia spingeva sul mantice.

Era quasi mezzogiorno quando dal cortile si sentì il rumore di zoccoli. Nell’officina entrò un uomo, un lungo mantello marrone scuro gli copriva le spalle fino ai piedi, calzava lunghi stivale neri e infangati.- Buongiorno Bastian, sono pronte le zappe? – chiese – Ho quasi finito l’ultima, dammi un pò di tempo, siedi lì e aspetta. Il cavaliere si sedette su un panchetto vicino al portone , appena dentro. Il fabbro prese la zappa dalla fucina, era rossa rovente, luminosa. Tenendola ferma con la pinza sull’incudine iniziò a martellarla con dei colpi decisi e calibrati dando la giusta curvatura al pezzo.

Intanto il ragazzo non staccava gli occhi dal padre – Ehi ragazzo! come ti chiami? – fece il cavaliere- Boderick ma tutti mi chiamano Bode – rispose – Sei il figlio di Bastian vero? è in gamba il tuo papà sai? – Lo so! – disse il ragazzo – Giusto, ben detto. Fà gli stessi oggetti degli altri ma le sue cose, chissà perché, durano di più. Ti volevo chiedere… – La zappa è pronta Maggott, prendi le tue cose e lascia i soldi sulla panca – lo interruppe torvo il fabbro. – Che allegria! stavo parlando con il ragazzo – Bode non ha tempo per le chiacchiere, deve riordinare qui intorno, forza Bode non farmelo ripetere.-

Bode si distolse dal parlare con il cavaliere e iniziò a raccogliere tutti gli attrezzi posati intorno all’incudine.

Maggott fece un gesto e, senza dirsi niente, i due uscirono dalla fucina e si misero a parlare vicino ad una siepe di rovi, nell’angolo della rimessa. Bode continuava con il suo lavoro ma con la coda dell’occhio cercava di osservare la scena. Il cavaliere gli dava le spalle e non poteva intuire cosa stesse dicendo, il padre era molto serio, ascoltava e non parlava. Tuttavia l’espressione era sempre più cupa. Poi vide il fabbro ricevere un piccolo sacchetto di pelle di quelli per il denaro. Maggott invece prese il cavallo, fissò le zappe a lato della sella è partì.

***

La piccola cucina di Bastian era illuminata da due piccole finestre a lato della porta principale che nessuno usava perché tutti entravano e uscivano dal portone della fucina. Nel centro della stanza c’era la tavola di legno, apparecchiata con un paio di piatti di terracotta e due boccali di legno. La signora Brigg arrivò in cucina passando anche lei dalla fucina – Il pranzo è a scaldare sui carboni di là- disse- tra poco sarà abbastanza caldo per mangiarlo. Oggi: stufato di patata e broccoli. –

Grazie Virginia- gli rispose Bastian – come stai oggi? ti vedo bene – Non c’è male; era per caso Maggott quello che stava venendo via da qui a cavallo poco fà? – Sì – rispose Bastian – è passato per delle zappe e per qualcos’altro – La signora Brigg non disse niente ma doveva aver letto qualcosa nello sguardo di Bastian. Le mani secche e rugose afferrarono il grembiule stringendolo quasi a volerne spezzare la stoffa. Con i suoi occhi intensi guardava Bastian in silenzio.

-Và tutto bene Virginia, risolverò – rispose il fabbro – Come l’altra volta? – le disse seria la vecchietta.

-BUM!-Bastian sbatté pugni sul tavolo, piatti e bicchieri saltellarono sulla tavola. La signora Brigg lanciò uno sguardo torvo a Bastian, girò le spalle e uscì dalla cucina in tutta fretta. Il suono delle sue ciabatte si affievolì man mano che lasciava la casa.

***

Bastian preferì terminare il pranzo in silenzio. Mangiarono la zuppa e tornarono in officina a preparare delle roncole per la prossima stagione del grano.

La sera arrivò come previsto e i due si ritrovarono a tavola per finire lo stufato. Restarono in silenzio, come la maggior parte delle sere. Terminato di rigovernare la tavola Boderick domandò – Volevo chiederti del signor Maggott; lo conosci da tanto? – Perché? -rispose Bastian – Niente, è solo una sensazione, da come vi parlate sembrate amici da tanto tempo?

L’uomo rimase in silenzio qualche minuto – Ti sbagli, lo conosco appena. Ora vai a prendere dell’acqua al pozzo; poi potrai andare a letto.

Boderick non se lo fece ripetere, sapeva che quando il padre chiedeva con quel tono era inutile discutere. A volte gli sembrava di essere più un servo che un figlio.

Fuori era ormai buio, tutto era silenzioso e solo si sentivano gli alberi frusciare dal vento. L’aria era fredda e umida; Boderick alzò la testa e annusò forte l’odore di un temporale in arrivo.

Si avviò. Il pozzo era poco lontano da casa e la strada sapeva percorrerla anche al buio. Poco prima di arrivare sentì dei rumori provenire dall’officina. Una luce, debole ma chiaramente visibile, si poteva vedere tra le fessure del portone chiuso. Qualcuno stava rovistando nella fucina.

Mentre il secchio volava nel pozzo Boderick restò a pensare a due cose che lo preoccupavano: cosa facesse il padre nell’officina a quell’ora e se il temporale avrebbe deviato sulle montagne Verdi oppure no. Odiava i temporali. O meglio, aveva paura dei temporali.

Travasò l’acqua nel catino e tornò a casa. Nella fucina era già tutto buio e Bastian era in cucina seduto davanti a un bicchiere di vino. Lo sguardo serio, le mascelle tese. Si era tolto il nastro che gli legava i lunghi capelli alla fronte e che ora pendevano ai lati del viso. Alla luce delle candele gli occhi erano due punti piccolissimi ma luminosi, brillanti. – ‘notte papà- disse Bode posando il catino sul tavolo – ‘notte Bode – rispose lui.

Sul letto, disteso a pancia in sù, la mano di Boderick andò automaticamente alla nicchia nel muro. Lì c’erano i suoi tesori,: due piccoli lavori in ferro che il padre gli aveva lasciato fare, un coltello e un cigno. Il coltello era a lama fissa, l’aveva ricavato da uno scarto di materiale di Bastian. La lama era lunga meno di una decina di centimetri e l’impugnatura fatta con un preciso intreccio di stringhe di cuoio ricavate da una vecchia bisaccia rotta. Era orgoglioso del risultato; quell’oggetto gli era caro perché fu il primo lavoro fatto interamente da Boderick con Bastian in una giornata in cui il fabbro era particolarmente disponibile. Il cigno era invece una cosa quasi segreta, Boderick lo aveva realizzato durante l’assenza del padre. Era un piccolo animaletto di riccioli di ferro, molto elaborato se consideriamo che era il lavoro di un apprendista, tuttavia il piccolo cigno era molto carino.

Poi c’era il portafortuna, gliela aveva dato la signora Brigg. Era una zampetta marrone di lepre e secondo lei lo avrebbe protetto dai pericoli; tuttavia aveva i suoi dubbi sull’efficacia di quel talismano.

La mano andò poi a cercare la medaglietta di rame. Era infilata in una corda sottile, un intreccio di erbe profumate e cuoio. Era di rame rossastro, circolare, sottile e misurava forse tre, quattro centimetri di diametro. A sbalzo era inciso un giglio. Quello era il tesoro più grande di Boderick, era ciò a cui teneva idi più al mondo, più di suo padre. Era sua madre. O almeno ciò che gli rimaneva di lei.

Inspiegabilmente Boderick si ritrovò a pensare alla signora Brigg. Nella sua vita era la cosa più vicina a una parvenza di madre. Era lei a curarlo quando si ammalava, era stata sempre lei a raccontargli storie da piccolo ed era sempre lei, con l’aiuto di Bastian, che gli aveva insegnato a leggere e a scrivere. Boderick le era incredibilmente affezionato.

Improvvisamente un lampo di luce balenò dalla finestra vicino alla porta e poco dopo un forte tuono scosse la casa. Boderick si irrigidì immediatamente, le mani strinsero le coperte fino a far impallidire le nocche. Gli occhi si chiusero e il respiro gli si blocco nel petto. Un altro tuono – BUM – Il forte rullare del cuore gli riempì le orecchie. Anche al buio gli pareva che la stanza iniziasse a tremare e a girare su sè stessa.

Era sempre così;la paura lo assaliva come un dolore, come una mano mostruosa che lo schiacciava a terra. Anche solo le piccole paure erano per lui una sorte di enorme barriera.

-BUM! _ un altro tuono ; Boderick strattono le coperte fin sopra la testa e rimase così finché non si addormentò.

2023-03-29

Aggiornamento

Buongiorno a tutti, vi regalo il nuovissimo prologo di Boderick! Buona lettura. Fiamme nella notte La giornata era stata pesante e quando Ekuanot, il capitano della città, varcò la soglia di casa l'unica cosa che voleva era sedersi a tavola e stendere le gambe. La serva, Hadelyn, gli aveva lasciato sul tavolo del pesce azzurro agli agrumi, un pezzo di pane e una brocca di vino bianco. All'uomo scappò di bocca un muggito di piacere: il pesce di mare era la sua passione. Nell’entroterra se ne trovava così poco e, quando la serva riusciva a racimolargliene un poco, per lui era una festa. Mise in bocca la prima sardina, assaporandone lentamente il sapore; chiuse gli occhi pensando alla sua gente rimasta alla città natia, i suoi ragazzi alla caserma, al giorno in cui lasciò l'incarico al suo giovanissimo secondo, Feanod. Avrebbe passato la serata nella struggente compagnia dei ricordi se un boato enorme non lo fece cadere dallo sgabello a gambe all'aria. La casa tremò dalle fondamenta, la porta si spalancò e si staccò dai cardini fracassandosi contro il muro della stanza; ci mancò niente che il capitano ne fosse investito. Appena poté si rimise in piedi; sentiva nella testa un forte ronzio e in casa ogni lume era stato spento dallo spostamento d'aria. Dall'esterno una luce illuminava la strada. Uscì. Sopra i tetti delle case, lingue di fuoco aggredivano la notte stellata mentre dal cielo cadeva, come neve nera, una sostanza impalpabile che scendeva a fiocchi lenta e leggera. Ekuanot distese le mani e capì che quella strana sostanza fluttuante era una miriade di briciole di carta incenerita. Oltretutto, piccoli frammenti di calcinacci colpivano i tetti costringendo i passanti a raccogliersi addosso ai muri protetti dai cornicioni. Bestemmiando Ekuanot prese la spada, il cappello dell'uniforme e si avviò verso le alte fiamme che rischiaravano la città. Costeggiando le case, il capitano arrivò davanti alla Cittadella dell’Accademia, o meglio, a ciò che ne restava. La piazza antistante l’enorme complesso era ricoperta da detriti di ogni sorta: porte divelte, vetri, travi di legno, pezzi di mura lunghi come alberi, frammenti di pergamene e di libri in carta. Dal cielo la pioggia di calcinacci era terminata e ora la gente si addossava fuori dal perimetro delle case verso il centro della piazza. Il lato destro della Fortezza era in fiamme, sbocciato come un fiore di fuoco; le mura esterne erano squarciate e non vi era traccia del tetto che, probabilmente, era stato sbriciolato dall’esplosione e sparso a pioggia sopra la città. Improvvisamente, tra la gente emersero gli uomini della guardia cittadina che gli si fecero intorno in attesa di ordini. Il Capitano iniziò a distribuire gli ordini con tono secco e deciso – Atarel, vai a ispezionare i giardini sul retro e torna a riferire – un uomo se ne partì di corsa. – Augyl, tu e Gracchius andate casa per casa lungo la piazza, fate uscire le persone e controllate che nessun tetto prenda fuoco a causa di qualche rottame – Anzius, vola di corsa dai Maestri dell’Accademia nel dormitorio e falli venire qui immediatamente – Prandicus , Frincu, Boyd andate dentro quel che è rimasto in piedi della Cittadella e portate fuori chi è rimasto. Non fate sconti, se quei mangialibri non vogliono ascoltarvi usate la forza ma portateli fuori ad ogni costo. Andate. Passarono pochi minuti quando Anzius arrivò seguito da una decina di uomini anziani. Avevano lunghe barbe bianche e portavano delle grandi vesti colorate. Erano visibilmente stupefatti e guardavano con i loro occhi cespugliosi la rovina della loro scuola. Ekuanot non lasciò loro il tempo di prendere la parola. - Maestri, vi ho fatto chiamare perché vi sono delle cose cui dobbiamo porre rimedio al più presto. So che alcuni di voi sono specializzati in Evocazione e Controllo dell’Acqua. Voglio che ne gettiate sui tetti delle case vicine alla Cittadella per evitare che prendano fuoco. Potete farlo? - Un vegliardo con la veste turchese e un lungo bastone fece un passo avanti – Lasci fare a me – e si avviò ad un lato della piazza. Ekuanot non gli badò e tornò a parlare agli studiosi. – Bene, ora devo sapere se c’è dell’esplosivo nella Cittadella e se possano avvenire altre esplosioni. Devo sapere se vi sono dei depositi sotterranei o qualcosa del genere che possa generare altri scoppi. Parlate! Uno degli studiosi, che se ne era stato più discosto, avanzò e prese parola – Sono Myrovin e parlo a nome di tutti. Nella cittadella non c’erano quantità importanti di esplosivi o materiali atti a produrli; vi erano sì delle sostanze capaci di esplodere ma poca cosa, solo a scopo didattico. Anche volendo raccoglierle tutte non avrebbe mai fatto un danno simile. Mentre il vegliardo finì di parlare uno degli uomini della guardia tornò a conferire dal capitano che si allontanò un paio di passi dagli studiosi – Dimmi Atarel, presto! – Nel giardino botanico ci sono un sacco di macerie, Capitano, e abbiamo trovato un uomo svenuto. Forse è stato scaraventato via dall’esplosione ed è atterrato su un cespuglio. – Fiamme? – No, nessuna - Bene, torna là e tienimi aggiornato in caso di novità. Ekuanot tornò dai Maestri. Li trovò intatti ad annusare l’aria e a borbottare strane litanie con parole che non riusciva a capire. – Maestri, se non vi erano esplosivi nella fortezza, come potete spiegarmi un disastro simile? Il Maestro Myrovin rispose ancora. – Capitano non sente uno strano odore nell’aria? Lo riesce a percepire dietro il puzzo di fumo e polvere? – Sì, sento un odore familiare ma non riesco a descriverlo. – La aiuto, dovrebbe ricordarle l’odore che si sente dopo che un fulmine è caduto dal cielo, concorda? – Sì, è vero! – rispose il capitano. – Ed è anche l’odore della magia; questa disgrazia non è frutto di una esplosione accidentale ma è un disastro di origine magica. I miei colleghi concordano e anche gli incantesimi di ricerca che abbiamo appena evocato lo confermano. Aveva appena ascoltato le parole del Maestro quando Atarel tornò una seconda volta e venne tra loro -Che c’è? – chiese il Capitano. -L’uomo nel giardino si stà risvegliando. Degli studenti della scuola lo hanno riconosciuto. Si tratta del Maestro di Litomanzia. Ekuanot si voltò verso i Maestri trovandoli come di pietra. Improvvisamente Maestro Myrovin si portò una mano al petto, emise un gemito e si accasciò. Sorretto dai colleghi venne adagiato sul pavimento della piazza. Il Capitano osservò gli studiosi attorniarsi sopra il vecchio quando dal gruppo una voce eruppe – Fiamme di Gildor, che cosa ha fatto! Che cosa ha fatto… - detto questo perse conoscenza.

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Antonio Tabarelli
Mi è sempre piaciuto leggere, fin da piccolo, dai fumetti ai primi libretti, ma credo di aver cominciato dall’età dei 11 anni a farlo in modo critico diventando un lettore vorace. Ho divorato e amato tutti i classici per ragazzi, poi ho spaziato dal fantasy (grande amore) alla letteratura pulp e indie. Fino ad ora non ho mai preso in considerazione l’idea di scrivere un romanzo, anche breve. Tuttavia, grazie agli Scout, (sono capo branco Lupetti) ho iniziato a scrivere per le loro attività. Non mi sono ancora fermato.
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