Non riuscire a prendere la penna in mano è l’incubo peggiore di ogni scrittore: è quanto accade ad Harnosci, che del suo particolare nome ha fatto un punto di forza, ma che non riesce a liberarsi dalla necessità di vivere emozioni forti ed estreme, al limite del rischio. Priva di stimoli adrenalinici, la sua vena creativa sembra essersi prosciugata. Per questo il suo editore e amico, Thomas, lo spinge ad affrontare il Sentiero 23, un cammino tra Toscana ed Emilia Romagna, fatto di tracciati dolci e privi di adrenaliniche sorprese. L’imprevisto arriva invece sotto forma di un incontro strambo, che sembra mettere alla prova ogni credenza di Harnosci. Percorrendo il Sentiero 23, tra lupi, cipressi, labirinti di rose e cervi imponenti, Harnosci scoprirà che cosa significa davvero vivere la natura e, soprattutto, ascoltare chi si è davvero.
14. La Temperanza
Fermo bruscamente la mia corsa di fronte allo scorrere di un fiume: non è particolarmente largo ma le sue acque azzurre e spumeggianti sono impetuose e scendono a tutta velocità dalle ripide pendici. Carattere torrentizio.
Come il mio, mi viene da pensare.
Il sentiero prosegue oltre il fiume e per raggiungerlo devo guadarlo.
Prendo un tronco abbastanza lungo e lo lancio calibrato nella speranza che si appoggi sulle due sponde. Purtroppo il lancio è piuttosto maldestro e il tronco viene trasportato via in men che non si dica dalla corrente.
«Meno male che non c’è nessuno ad assistere a questa scena» mi dico. È l’unico pensiero che mi rincuora mentre seguo con gli occhi il ceppo che si allontana a tutta velocità.
Vado un po’ in su e in giù lungo la sponda come una tigre in gabbia, per vedere se in qualche punto il fiume si restringe o affievolisce il suo impeto. Niente.
Incomincio a pensare che l’unico modo per guadarlo sia camminarci attraverso, magari con l’aiuto delle due grosse rocce che vedo affiorare. Decido di non togliermi le scarpe, il letto del fiume dev’essere molto incoerente e rischierei di tagliarmi e farmi male. Mi immergo.
L’acqua gelida e furiosa mi arriva già a metà coscia; non arrivo neanche ad appoggiarmi alla prima roccia che vengo trascinato via dalla corrente, e così anche la mia speranza.
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0. Il folle
Scendere dal letto, dalla brandina, è un’impresa questa mattina.
Nessuna voglia di darmi il buongiorno con l’acqua gelida nel viso, di darlo a estranei che si lavano i denti al mio fianco, di infilarmi le scarpe e sentirmi di nuovo le vesciche pulsare. Tanto meno ne ho voglia al levar del sole. La luce che filtra dalla finestra nuda è impossibile da ignorare, figuriamoci restare nel letto quindici minuti in più; quei quindici minuti che si interpongono fra lo squillare della sveglia e l’effettivo risveglio a rotta di collo, preludio di tutti gli appuntamenti prima delle dieci.
Che mattina infame, nessuna particolare vicenda o appuntamento ad aspettarmi e dovermi comunque buttare giù dal letto senza poter decidere quando.
Raggomitolo la coperta in fondo al letto, prendo lo zaino e con le scarpe ancora slacciate mi dirigo verso l’odore familiare del caffè. Noto un me riflesso in una vetrata a tutta parete, seduto solo a un tavolino con una tazza vuota e il laptop acceso mentre guardo il ritmo della vita che scorre fuori, un ritmo lento, tedioso, piatto.
Felice di non far parte di quel ritmo, almeno non ancora, l’autocompiacimento si fa largo nella mia mente e questo mi rende un po’ pimpante. Quel tanto che serve per arrivare al tavolo della colazione e soddisfare il desiderio di quell’aroma, premendo e ripremendo il rubinetto a pressione di quel contenitore di sbroscia americana. Quel tanto necessario a ricordarmi dove mi trovo, in un rifugio senza vette, circondato da un ondulato niente.
O “dal tutto”, come obietta il gestore della finta baita nel tentativo di contrastare il mio presunto malumore.
«È circondato dalla natura selvaggia, la madre di tutto.»
«Io sono talmente selvaggio che la natura la domino» controbatto un po’ infastidito.
«Sì? E come?» controbatte a sua volta.
«Scappando appena posso dalla città e sguazzando in un elemento che non è il mio, per esempio. Facendomi scorrere a bordo pelle l’adrenalina veleggiando in aria, immergendomi nelle profondità marine, conquistando vette di fuoco. Pratico parapendio, diving, arrampicata… qualsiasi attività purché mi porti al limite delle mie capacità e mi provochi brividi che facciano vibrare corpo e mente. Avventure che sfidano la natura e che alimentano la mia anima e le storie che scrivo. Racconti che vengono letti da migliaia e migliaia di assetati di emozioni estreme» concludo tutto d’un fiato.
«Oh, e come ti chiami?» domanda il gestore senza troppo entusiasmo.
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