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Cinque minuti all’infinito

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Come si fa a respirare quando il cervello non immette aria nel corpo? Come si affrontano ansia e depressione? La terapia di certo aiuta, ma per molte persone non è tutto.
Non lo è per Annachiara, giovane artista che da qualche anno convive con la sensazione di essere sempre sott’acqua e che un giorno decide di rompere la bolla in cui (si) è rinchiusa: con uno zaino di dodici chili in spalla – e con altrettanti chili di paura in testa – Annachiara prende un aereo per Barcellona insieme agli amici Luca e Davide. È il 17 ottobre 2018 e per due mesi i tre ragazzi attraversano la Comunità Valenciana, la regione di Murcia e l’Andalusia, percorrendo strade sterrate e camminando sul ciglio delle autostrade, accampandosi in spiagge e sotto i cavalcavia e, soprattutto, vivendo giorno per giorno, alba dopo alba e tramonto dopo tramonto.

Tempo 0

Sola nel mio letto, aprivo gli occhi e mi mancava l’aria.

Avete presente quando siete sott’acqua e non riuscite più a trattenere il respiro? Io, ogni mattina, mi svegliavo così.

Facevo appena in tempo a realizzare di essermi svegliata, che subito quel forte malessere s’impossessava di me. Prendevo respiri intensi e profondi, ma non passava. Avevo un forte dolore al petto e nulla per poterlo curare. L’ansia era così forte che nemmeno a prenderla a bastonate si sarebbe azzittita. Il cervello partiva come un martello pneumatico, senza fermarsi. I pensieri ossessivi avevano la meglio su di me e io non ero altro che un vegetale con un cervello fuori controllo. Dominarlo era impossibile, non ne ero in grado. Quello era il pensiero ossessivo-compulsivo che aveva come fratelli l’ansia e la depressione. Quella ero io, non più capace di stare al mondo.

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Le pastiglie mi aiutavano, ma, allo stesso tempo, addormentavano una parte fondamentale del mio sentire. Sì, mi aiutavano a vivere una vita pressoché normale, ma era davvero vivere? Probabilmente andavo avanti per inerzia, sperando che tutto sarebbe passato e, una mattina, svanito. Ma non era così.

Non avevo quasi mai la mente del tutto lucida. Ero calma, ma non me stessa.

Quando ci sei dentro, nemmeno ti accorgi di quanto in realtà questa malattia ti stia distruggendo. Non sei in grado di captare i segnali del malessere che ti ha pervaso il cervello. Le persone vicino a te si vedono inutili, incapaci. Non riescono a capacitarsi di come una persona possa arrivare al punto di rompere quel filo invisibile che la collega al resto del mondo. Solo qualcuno riesce a farlo. Nel mio caso, mia madre e mio padre, soprattutto, perché c’erano già passati. Sapevano perfettamente quello che accadeva all’interno del mio mondo, non c’era bisogno di dire neanche una parola. Tutto il resto del mondo, invece, era un resto estraneo, non era in grado.

Ma, d’altronde, come spiegare un malessere che neanche tu comprendi?

La depressione è un mondo quasi impenetrabile, instabile, privo di regole proprie se non di quelle che ognuno di noi decide di creare all’interno del suo gioco bizzarro quando lei si impossessa di noi. Il cervello è subdolo. Per quanto riguarda me, inizialmente avevo solo pensieri negativi leggeri. Poi, pian piano ma in modo sempre più compulsivo, si sono arrampicati su ogni mio neurone, come un’edera quando si impossessa di una vecchia casa abbandonata. Il mio cervello infestato ha smesso di ragionare, dando spessore solamente ai forti pensieri negativi che giravano all’infinito come un disco rotto.

Non pensi più, è già tutto programmato. Non mangi più, non dormi più. Non vivi più.

La terapia mi è servita moltissimo. Non subito, ovviamente. C’è voluto qualche anno. Sì, perché non è come guarire un braccio rotto. È molto di più. Ancora adesso, qualche volta, ho paura che lei ritorni, ma ci convivo. Sono più consapevole, più lucida. Non si guarisce mai da tutto questo, lo si affronta ogni giorno, cercando di minimizzare le paranoie e quei pensieri così oscuri.

Ogni volta che sento qualcosa che non va, mi guardo attorno e mi focalizzo su ciò che ho e per cui sono grata. In realtà non sempre ci riesco, anzi, ma non smetto di provarci. So perfettamente che da fuori sembro la classica persona vivace, allegra, con quel sorriso che mette sempre di buonumore. Sono la classica anima che senti quando c’è. Quella persona che fa tanto casino, ma perché il casino ce l’ha dentro. E questo casino lo vivo benissimo o malissimo. Alle volte dentro di me sento un’assurda energia positiva a dir poco esplosiva. Il problema è il momento in cui quest’energia diventa negativa, perché è potente allo stesso modo e mi spacca dentro.

Le persone come me non le vedrete mai per come sono davvero. Perché per sopravvivere e, chissà, magari un giorno riuscire a vivere, dobbiamo nascondere la nostra parte più difficile ed enigmatica.

La nostra mente è subdola. Si prende gioco di noi e, sghignazzando, manda tante piccole biglie di vetro a spasso per la nostra testa, mentre noi soffriamo come anime dannate. Se dentro di te senti lo stesso, sappi che ti capisco perfettamente, ma voglio dirti una cosa: se non fosse stato per questa sofferenza, non mi sarei mai decisa a partire. Non in questo modo. La malattia mi ha dato il coraggio di cui avevo bisogno.

La terapia contribuiva, ma non in modo definitivo. Dovevo fare qualcosa. Dovevo darci un taglio netto, non mi sarei arresa a lei.

Così ho reagito.

Quando quel pomeriggio, seduta sul divano in uno studio di tatuaggi, ho visto quell’immensa cartina geografica, ho trovato un modo per risolvere il mio problema. Insieme a Luca e Davide, con le loro sofferenze così simili alle mie ma al contempo diverse, ho fissato una data per la partenza e prenotato il volo. Nei giorni successivi, ho acquistato le cose che mi sarebbero servite. Nel mentre, continuavo con le sedute dalla psicologa e dalla psichiatra.

Ricordo che la mia situazione non era delle migliori e mio padre era terrorizzato all’idea di farmi partire in quello stato. Ma ancora adesso sono certa lui sapesse quale fosse la cosa migliore per me. Io ero terrorizzata, non stavo bene, continuavo a non essere perfettamente lucida. La cosa che più mi faceva tremare era la paura di non poter essere pronta per il 17 ottobre.

Nel mio zaino avevo messo più di dodici chili di cose. Una vera follia. Non avevo idea di quanto dovesse pesare uno zaino da portarsi in spalla ogni giorno per diversi chilometri. Non avevo la testa per essere organizzata e questa cosa l’ho pagata cara. Non avevo informazioni su nulla, in realtà. Non sapevo con esattezza come fosse il tempo nella Comunità Valenciana o in Andalusia; non sapevo se avrei camminato in pianura oppure no, su sterrato oppure su asfalto; non sapevo se avrei trovato posti in cui dormire, se saremmo riusciti ad accamparci. Non sapevo se avremmo corso pericoli; non conoscevo la lingua, le abitudini; non mi ero preoccupata di problemi e ostacoli. Nulla.

Sapevo solo da dove dovevo partire e dove volevo arrivare. Il resto era unicamente un sacco di cose di cui in quel momento non m’importava, ma che in verità mi sarebbero risultate molto utili.

Ho aspettato il giorno della partenza all’infinito, finché l’infinito è diventato presente. Veloce, ma totalmente inerme e apatica, la mattina del 17 ottobre 2018 ho salutato i miei genitori con la sola voglia di andarmene via. Col senno di poi, sono consapevole che il mio saluto rapido e distaccato li ha fatti soffrire parecchio. Tuttavia, non riuscivo a essere diversa da ciò che ero in quel momento.

Per la prima volta dopo mesi, mentre guardavo lo scorrere del tempo in quei chilometri di strada, ho lasciato libera la mente sino a perdermi nel sonno. E da lì, tutto è stato veloce… In un attimo, un volo, un aereo, in un giorno qualunque.

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Annachiara Sosio
ha coltivato la passione per l’arte sin da piccola e questo legame non si è mai spezzato con il passare degli anni. È amante dei viaggi, è animata da una curiosità innata e sogna di diventare scrittrice e artista, combinando la scrittura con le sue illustrazioni. Le sue opere permettono a chi le guarda di immergersi in un mondo fatto di arte e creatività.
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