Le persone come me non le vedrete mai per come sono davvero. Perché per sopravvivere e, chissà, magari un giorno riuscire a vivere, dobbiamo nascondere la nostra parte più difficile ed enigmatica.
La nostra mente è subdola. Si prende gioco di noi e, sghignazzando, manda tante piccole biglie di vetro a spasso per la nostra testa, mentre noi soffriamo come anime dannate. Se dentro di te senti lo stesso, sappi che ti capisco perfettamente, ma voglio dirti una cosa: se non fosse stato per questa sofferenza, non mi sarei mai decisa a partire. Non in questo modo. La malattia mi ha dato il coraggio di cui avevo bisogno.
La terapia contribuiva, ma non in modo definitivo. Dovevo fare qualcosa. Dovevo darci un taglio netto, non mi sarei arresa a lei.
Così ho reagito.
Quando quel pomeriggio, seduta sul divano in uno studio di tatuaggi, ho visto quell’immensa cartina geografica, ho trovato un modo per risolvere il mio problema. Insieme a Luca e Davide, con le loro sofferenze così simili alle mie ma al contempo diverse, ho fissato una data per la partenza e prenotato il volo. Nei giorni successivi, ho acquistato le cose che mi sarebbero servite. Nel mentre, continuavo con le sedute dalla psicologa e dalla psichiatra.
Ricordo che la mia situazione non era delle migliori e mio padre era terrorizzato all’idea di farmi partire in quello stato. Ma ancora adesso sono certa lui sapesse quale fosse la cosa migliore per me. Io ero terrorizzata, non stavo bene, continuavo a non essere perfettamente lucida. La cosa che più mi faceva tremare era la paura di non poter essere pronta per il 17 ottobre.
Nel mio zaino avevo messo più di dodici chili di cose. Una vera follia. Non avevo idea di quanto dovesse pesare uno zaino da portarsi in spalla ogni giorno per diversi chilometri. Non avevo la testa per essere organizzata e questa cosa l’ho pagata cara. Non avevo informazioni su nulla, in realtà. Non sapevo con esattezza come fosse il tempo nella Comunità Valenciana o in Andalusia; non sapevo se avrei camminato in pianura oppure no, su sterrato oppure su asfalto; non sapevo se avrei trovato posti in cui dormire, se saremmo riusciti ad accamparci. Non sapevo se avremmo corso pericoli; non conoscevo la lingua, le abitudini; non mi ero preoccupata di problemi e ostacoli. Nulla.
Sapevo solo da dove dovevo partire e dove volevo arrivare. Il resto era unicamente un sacco di cose di cui in quel momento non m’importava, ma che in verità mi sarebbero risultate molto utili.
Ho aspettato il giorno della partenza all’infinito, finché l’infinito è diventato presente. Veloce, ma totalmente inerme e apatica, la mattina del 17 ottobre 2018 ho salutato i miei genitori con la sola voglia di andarmene via. Col senno di poi, sono consapevole che il mio saluto rapido e distaccato li ha fatti soffrire parecchio. Tuttavia, non riuscivo a essere diversa da ciò che ero in quel momento.
Per la prima volta dopo mesi, mentre guardavo lo scorrere del tempo in quei chilometri di strada, ho lasciato libera la mente sino a perdermi nel sonno. E da lì, tutto è stato veloce… In un attimo, un volo, un aereo, in un giorno qualunque.
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