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Cloud: oltre le nuvole

Cloud: oltre le nuvole
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Consegna prevista Gennaio 2024

Sapete qual è il problema con il passato? Che se non lo affronti a momento debito prima o poi tornerà a presentarti il conto, e spesso si rivela essere molto salato.
Questo è esattamente ciò che si troverà a dover affrontare Marina, studentessa ventiduenne che si risveglia in ospedale senza alcun ricordo di come ci sia finita. L’unica macchia di colore in quella stanza asettica è un’altra ragazza, che risponde al nome Molly, dai capelli colorati e che apparentemente non potrebbe sembrare più diversa di così dalla nostra protagonista.
Con il tempo, però, le due scopriranno che poi così diverse non sono e proprio grazie a questa amicizia Marina ritroverà i ricordi che l’hanno portata lì, dall’inizio della pandemia allo spiraglio di speranza trovato nel buio di quel periodo fino alla consapevolezza che non sempre “la volta buona” è effettivamente quella buona e non sempre le favole più belle finiscono davvero con un lieto fine.

Perché ho scritto questo libro?

Ho scritto Cloud perché non sapevo più come sfogare tutto il dolore che mi sono tenuta dentro per troppo tempo. Per tutta la vita ho sempre sentito la necessità di raccontare quello che altri, fermandosi all’apparenza, non vedono. Volevo che la gente capisse davvero cosa si prova a vivere con ansia e attacchi di panico come compagni di viaggio, di quante cose mi sono privata e quanto ho investito per combatterli trovando poi un valido alleato proprio nella scrittura di questo libro.

ANTEPRIMA NON EDITATA

A chi ha visto il sole spegnersi
ma non ha mai mollato
ed è riuscito a riaccenderlo.

PARTE I

CAPITOLO 1

Bip…bip…bip…

«si sta svegliando»

Dove sono?

«cosa le diremo quando si sveglierà?»

«la verità, ritengo sia la cosa migliore»

Chi sta parlando?
Non conosco queste voci…nonna dove sei?

Cerco di aprire gli occhi e mi ritrovo immersa nel bianco. Pareti bianche, lenzuola bianche, scrivania bianca…l’unico tocco di colore e il blu delle ante del piccolo armadio nell’angolo.
Cerco di alzarmi ma il bruciore al braccio mi costringe ad abbassare gli occhi notando la cannula che mi collega a una sacca con del liquido trasparente.
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Sono in una stanza d’ospedale, ma non saprei dire come ci sia finita…i miei ricordi si interrompono nel momento in cui…
«Ben svegliata, novellina» la voce della ragazza dai capelli neri e rosa poggiata alla porta della mia stanza interrompe il flusso dei miei pensieri.
«dove mi trovo? Cosa é successo?»
«lo scoprirai presto, il tempo di sapere che ti sei svegliata e non avrai più un attimo di pace» mi risponde lasciando la sua postazione e venendo accanto a me.
«Ma questo colore di capelli è naturale?» non mi sorprende la domanda, di fronte ai miei capelli ramati tutti pongono la stessa domanda per cui mi limito a un monosillabico «si».
«Cazzo sorella, sorridi, sei ufficialmente una sopravvissuta» mi incalza lei.
«una sopravvissuta…?» devo avere un’espressione parecchio ebete ma da quando è entrata non mi ha detto molto, ma soprattutto chi e questa tizia? Sto per domandarglielo quando una profonda voce maschile interrompe una delle conversazioni più strane che abbia mai intrattenuto: «Basta cosi Molly, ora se cortesemente vuoi uscire direi che la tua nuova amica ha bisogno di riposo oltre che di risposte»
«agli ordini capo» risponde la ragazza che a quanto pare si chiama Molly, poi facendomi l’occhiolino si rivolge nuovamente a me: «a presto, e non dimenticare: se avessi bisogno di qualcosa chiedi pure di Molly».
«si, si, abbiamo capito, ciao Molly» fa l’infermiere chiudendo la porta in faccia a Molly che stava giusto mostrandogli un elegantissimo dito medio.
Finiti questi convenevoli viene verso il mio letto, mi studia per un minuto, dopo di che si decide a parlare: «come stai?»
«bene, dove sono? Perché sono qui?» forse risulto più dura di quanto non vorrei ma mi guardano tutti come fosse un animale ferito.
Per tutta risposta il ragazzo, che ho capito essere un infermiere, prende la sedia che sta davanti alla scrivania e la mette accanto a me sedendosi.
«come ti chiami?»
Non capisco il senso di questa domanda, tuttavia rispondo: «Marina».
«Piacere Marina, io sono Francesco, ora è importante che tu risponda a questa domanda: qual è l’ultimo ricordo che hai prima di risvegliarti qui?»
Faccio mente locale mantenendo lo sguardo fisso sulla targhetta su cui è scritto “Francesco”.
Qual è il mio ultimo ricordo?
Piccoli flash iniziano a scorrermi davanti.

Rientro a casa stanca e stravolta.
Mi chiudo in camera e mi lascio scivolare lungo la porta prendendomi la testa tra le mani.
Non è vero…non è successo…non può davvero essere finita così.
Mi alzo e mi sdraio sul letto. Sono cosi stanca che potrei dormire per giorni, non ricordo quando è stata l’ultima volta che ho dormito senza svegliarmi in lacrime o in preda al panico.
Oggi non mi va di stare sveglia, ho bisogno di chiudere gli occhi e ritrovare la pace per cinque minuti.
Eppure so già che anche oggi Morfeo non verrà a farmi visita.
Le lacrime cominciano a premere per uscire, non posso sopportare un’altra sola lacrima, un altro pezzo di anima che si frantuma.
Mi alzo di scatto, apro il cassetto del comodino e inizio a buttare fuori tutto finché non trovo ciò che cerco.
So che c’è perché li sono rimaste dall’ultima volta.
Finalmente lo trovo, gli dò un’occhiata in controluce e senza darmi il tempo di ripensarci lo faccio.

«Marina? Tutto bene?» la voce di Francesco mi riporta bruscamente alla realtà, ora capisco perché sono qui, le lacrime tornano a farsi sentire ma le ricaccio indietro e rispondo «si, tutto a posto, ricordo tutto quindi non serve girarci intorno, so perché mi trovo qui».
Francesco mi guarda con lo sguardo compassionevole che ho sempre odiato e aggiunge: «bene, e positivo, significa che non hai danni a livello cerebrale. Tuttavia è doveroso da parte mia dirti che dovremmo tenerti sotto osservazione per qualche giorno, più tardi verrà a trovarti la dottoressa Bolla è una psicologa molto competente e siamo sicuri che saprà aiutarti» mi inonda di informazioni ma ancora una vola mi limito a esprimermi a monosillabi.
«Se hai domande fammele pure, altrimenti ti lascio riposare finché non arriverà la dottoressa»
«Mia madre ha chiamato?» in realtà non mi importa poi tanto, ricordo che durante l’ultima telefonata le ho attaccato in faccia dopo averle detto di non volerla né vedere né sentire.
«Si, tua madre ha chiamato, ci ha riferito la vostra ultima conversazione e nelle condizioni attuali abbiamo ritenuto opportuno rispettare la tua decisione. Ma se hai cambiato idea basta dircelo o puoi chiamarla tu stessa dato che hai il tuo telefono a disposizione»
Non mi ero nemmeno accorta che il mio telefono è stato messo in carica sul comodino accanto a me.
«Ora che mi ci fai pensare ci sarebbero un paio di regole che vorrei illustrarti» riprende lui «Innanzitutto qui la sera ritiriamo i carica batterie, assicurati di avere il telefono carico se vuoi qualcosa da fare perché non lo riavrete fino al mattino. Per i rasoi devi chiedere all’infermiera di turno che dovrà restare con te fino alla fine dell’utilizzo, so che può risultare imbarazzante ma come capirai è necessario. Non si chiudono le porte e, cosa più importante, è vietato recarsi nelle camere altrui oltre l’orario in cui spegniamo le luci.
Domani, se il dottore lo riterrà opportuno, potrai alzarti e ti faremo vedere la struttura. Per il momento spero ti sia tutto chiaro»
«si, tutto chiaro» rispondo mentre faccio mente locale di tutto ciò che mi ha appena detto.
«A proposito» aggiunge dirigendosi verso la porta «per rispondere alla tua domanda iniziale, ti trovi alla clinica Sant’Andrea».
Detto questo mi fa un cenno di saluto con il capo e se ne va, lasciando la porta aperta.
Mi ributto giù e fissando il soffitto riordino le idee.
Clinica Sant’Andrea. Dottoressa Bolla.
Non so davvero cosa aspettarmi da tutto questo ma sono sicura che non tarderò a scoprirlo.
Con questo pensiero torno a sentire le palpebre pesanti e torno a farmi cullare dal sonno.

CAPITOLO 2
Non so quanto tempo sia passato da quando ho chiuso gli occhi, non so quanto abbia dormito, le tapparelle della mia stanza sono state tirate giù ma ricordo che durante la conversazione con Francesco erano aperte.
Possibile che abbia davvero dormito un giorno intero?
«Buongiorno novellina» riconosco la voce di Molly, la ritrovo sulla soglia nella stessa posizione di ieri, oggi, però, sono abbastanza vigile da poter rispondere: «puoi smettere di chiamarmi novellina, mi chiamo Marina».
«Lo so, ma la faccia schifata che fai quando ti chiamo così è troppo divertente» risponde con un sorriso sornione sulle labbra, «ad ogni modo sono qui perché il grande capo ha dato l’ok: a breve ti toglieranno la flebo e mi hanno incaricata di farti fare un giro in questo bellissimo parco».
Ieri devo aver dormito talmente profondamente che anche volendo non hanno potuto visitarmi, «ok» rispondo semplicemente.
Molly si avvicina al mio letto, incrocia le braccia davanti a sé e mi osserva; a mia volta osservo la ragazza dai capelli neri e rosa davanti a me: è più alta di me (non che ci voglia molto), gli occhi azzurri sono contornati da un eyeliner nero molto spesso, i capelli (che avrebbero decisamente bisogno di ritoccare il colore) le arrivano alla vita e sono acconciati in due trecce, nonostante indossi un felpone quattro taglie più grande rispetto alla sua si vede che ha un fisico asciutto. Mi chiedo cosa ci faccia qui.
Come se mi avesse letto nel pensiero dice: «senti, ti ho osservata in questi giorni nonostante tu non fossi cosciente, che cazzo ci fa una ragazza come te qui?»
La sua domanda mi lascia interdetta «in che senso una ragazza come me?»
«quando hai aperto gli occhi e ti sei accorta di me ho avuto la conferma che sto posto non va bene per una come te, non sei come la gente che sta qua dentro, vattene finché sei in tempo novellina dai retta a me»
«scusa ma da quando c’è bisogno di requisiti per stare in ospedale?» mi viene quasi da ridere ma l’espressione severa di Molly spegne ogni voglia di farlo «tu non hai idea di dove ti trovi, vero?».
Guardando il tipo penserei ad uno scherzo, di quelli che si fanno ai nuovi arrivati per avere qualcosa di nuovo di cui ridere, ma la luce nei suoi occhi mi fa capire che non sa scherzando affatto.
«Senti, a breve arriveranno a toglierti la flebo, immagino che capirai tutto quando lo vedrai con i tuoi occhi» senza darmi nemmeno il tempo di rispondere esce dalla stanza lasciandomi solo un ultimo sguardo pieno di rammarico, e la testa piena di domande.
Mi guardo intorno ma non vedo nulla di strano degno di nota, è una normale e banale camera d’ospedale, con le pareti bianche e l’invadente odore di disinfettante.
I miei pensieri vengono interrotti da Francesco, l’infermiere, che entra con un vassoio su cui sta una tazza di latte, una bustina di biscotti e una pera «buongiorno, noto con piacere che ti è tornato un po’ di colore sulle guance, ti senti meglio?» chiede sorridendo e poggiando il vassoio sul comodino.
«Si, grazie, in effetti mi sento meglio. Grazie per la colazione»
«Figurati, però devo avvisarti che noi infermieri non serviamo mai la colazione, non è questo il nostro lavoro, da domani dovrai farla in mensa insieme a tutti gli altri. A proposito, ne approfitto per avvisarti che a breve passeranno per visitarti e rimuovere la flebo, dopodiché ho incaricato Molly di farti fare un giro»
Fa per avviarsi alla porta ma lo fermo: «Francesco, scusa, posso farti una domanda?»
«Ma certo, dimmi pure»
Sono un po’ incerta se porre questa domanda ma le parole e lo sguardo di Molly mi stanno tormentando, ho bisogno di sapere: «quanto tempo sono rimasta addormentata? Cos’è questo posto?»
Il ragazzo si passa una mano fra i capelli, come se ciò che gli ho chiesto lo mettesse in difficoltà, poi si gira e chiude la porta prima di venire a sedersi affianco a me come il giorno prima. Mi guarda e infine si decide a parlare: «sai, non credo di essere io la persona più adatta a parlartene, tuttavia capisco dal tuo sguardo che per te è importante sapere per cui cercherò di essere più delicato possibile» rimango in silenzio, in attesa, «sei arrivata qui da addormentata, non eri in coma ma non ti svegliavi, possiamo dire che sei stata fortunata perché il farmaco che hai ingerito era leggero, tuttavia il rischio che riportassi gravi danni c’era per questo a breve verrai visitata per escludere totalmente questa evenienza. In questo momento ti trovi al Sant’Andrea, è un ospedale psichiatrico, ieri quando mi ha detto che ricordavi l’accaduto pensavo avessi capito anche dove ti trovi, avrei dovuto spiegarmi meglio mi dispiace».
Non so cosa dire. È come se i miei pensieri fossero stati congelati, se in questo momento mi venisse chiesto come mi chiamo sono sicura che non saprei rispondere.
Sapevo di essere in ospedale, era chiaro, ma non mi aspettavo in un reparto psichiatrico.
Francesco non mi ha tolto gli occhi di dosso un attimo, ha lo sguardo preoccupato, mi sento in dovere di rassicurarlo: «ho capito, e questo cosa significa?».

Troverai qui tutte le novità su questo libro

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Giada Pittia
Ciao! Mi chiamo Giada, ho 25 anni e sono una studentessa universitaria che spera di laurearsi presto.
Vengo da un piccolo paese diviso tra montagna e mare che quasi nessuno conosce ma che per me è un paradiso terrestre dove sono cresciuta con la nonna che mi ha trasmesso la passione per i libri.
Mi sono sempre considerata un'avida lettrice, da qui il nome 'lacollezionistadilibri' con cui sono conociuta sui social, ma fino a qualche settimana fa non avrei mai pensato che un giorno sarei stata anche un'autrice.
Il mio primo romanzo si chiamerà "Cloud: oltre le nuvole", è nato un pò per caso due anni fa ed è stato l'unico modo realmente efficace per sfogare il dolore che mi portavo dentro da troppo tempo, mi ha dato la possibilità di trovarmi faccia a faccia con me stessa e oggi è per me importante che il messaggio che ho cercato di trasmettere arrivi a più persone possibili.
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