Credo che questo libro possa essere un utile spunto anche per gli uomini o per chi non si sente donna. Potete saltare i capitoli sulla gravidanza, sul parto, sull’allattamento, ma vi consiglio di leggerli comunque perchè potrebbero esservi utili per una eventuale paternità oppure per saperne di più su questi eventi così importanti per tutti noi e che impattano così profondamente sulla salute di tutta l’umanità.
Il mio riferimento principale, quello in cui sono esperta, è la fisiologia umana, in particolare quella femminile con le sue mille sfaccettature, quelle che le neuroscienze ci stanno aiutando a scoprire sempre più.
Il mio unico credo è la fisiologia della salute, senza dogmatismi o bisogno di affermare verità assolute. Condivido qui letture che ho trovato stimolanti e importanti, ma soprattutto l’esperienza personale di chi vuole vivere pienamente ogni giorno, con sempre maggior consapevolezza del proprio corpo e del mondo che la circonda.
Quindi vi trovate di fronte a un libro snello, di facile lettura, con molti spunti su cui riflettere e che spero possa cambiare la vostra vita in meglio.
Sono ostetrica, specialista di fisiologia della gravidanza e del parto e cercherò di trasmettervi anche quello che ho imparato in venti anni di professione e quello che mi hanno insegnato le donne, le coppie e tutte le persone che ho accompagnato nel loro percorso.
Lo scopo di questo libro è proprio questo, scoprire quanto siamo incredibili ed esplorare insieme le potenzialità della nostra salute, per vivere meglio, più sane e più a lungo.
Anche se sono donna, bianca ed etero, realtà che ha ovviamente plasmato tutta la mia vita e le sue dinamiche, sono convinta del fatto che la diversità da questo schema sia una ricchezza. Finalmente viviamo in un’epoca in cui non è necessario nascondersi e in cui si può cercare di essere pienamente sè stessi su tutti i livelli.
Rispetto alla maternità voglio fare una riflessione dato che il messaggio che ancora oggi ci arriva è: “Devi fare figli perchè c’è il calo demografico, perché poi se non lo fai te ne penti, perché l’orologio biologico, bla, bla, bla” .
Oppure, se scegli di fare figli e goderteli tranquilla a casa, “Ma che fai? Dopo tutte le “conquiste” faticosamente guadagnate fai l’angelo del focolare?”.
La terza via è fare figli, lavorare, prendersi cura della casa e di tutti quelli che la abitano, compresi eventuali animali domestici.
Siamo donne e quindi non c’è possibilità di essere “giuste” o “abbastanza brave”?
Tante domande a cui ognuno di noi cerca risposte.
Siamo giudicate, giudichiamo, ci giudichiamo.
Non aiuta il fatto che spesso, come dice Galimberti, la famiglia nucleare diventa un luogo di “asocialità” .
Ci ritroviamo da sole a dover gestire l’ingestibile e siccome siamo veramente multitasking di solito ce la facciamo. Ma a che prezzo?
Quante di noi si sentono in trappola? Durante la mia vita ho incontrato tante donne, e tanti uomini, che hanno sentito di non aver potuto imprimere alla loro vita la direzione che avrebbero voluto.
Guardando delle interviste a ultracentenari mi ha colpito il fatto che tutti affermassero di non avere rimpianti. E mi sembra che sia proprio questo il senso della vita, maturare senza rimpianti.
Credo che una soluzione sia quella di agire prima di tutto su noi stesse, sulla nostra capacità di entrare in empatia con le diverse sfaccettatura dell’essere donna. Colei che è depositaria della specie, in quanto creatrice; di nuovi esseri umani, sì, ma anche di poesia, musica, innovazione, salute, speranza e bellezza, quella del sorriso e degli occhi di una donna felice di essere sé stessa.
Dobbiamo amarci noi per prime, solo così potremo essere amate e farci valere.
Buona lettura e buona vita a tutte!
N.B. Tutti i suggerimenti e le informazioni che trovate del libro non possono sostituire una consulenza personalizzata in base alla vostra condizione particolare e quindi ogni argomento trattato deve essere da voi rivisto alla luce del vostro personale stato di salute.
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Occhio alle parole!
La cultura della “normalità” e le nostre scelte
Un tema molto importante dal quale voglio partire, è quello del linguaggio che usiamo quotidianamente e di come questo abbia cambiato il modo in cui percepiamo noi stesse, il mondo che ci circonda e il nostro corpo.
E’ un qualcosa che succede anche agli uomini ma nel caso delle donne trovo che sia accentuato, dal momento che viviamo comunque in un contesto sociale di stampo patriarcale. Uso la parola patriarcale, come userò la parola maschile e femminile, non per dare giudizi di genere ma per definire una cultura che è stata permeata, negli ultimi migliaia di anni, da una visione negativa della donna e dalla necessità di controllare le sue idee e il suo corpo, non riconducibile al singolo uomo o agli uomini in quanto tali, uomini che considero preziosi amici e alleati, ma alla cultura di stampo maschile. Un cultura inoltre, che mortifica anche gli uomini rendendoli schiavi di un modello che semplifica ed etichetta.
Per fortuna negli ultimi anni le cose stanno cambiando, perfino in Italia, anche se restiamo uno dei Paesi Europei con il maggior tasso di femminicidio. Confido nei giovani uomini del 2000, i quali spero avranno nuovi strumenti e una visione delle donne più realistica e rispettosa, nonostante i social abbiano già creato una virtualizzazione dell’incontro che potrebbe portare a scenari inquietanti, tra cui addirittura la paura dell’incontro “dal vivo”.
Le parole sono importanti!
Come ostetrica mi si chiede in continuazione quanti bambini abbia fatto nascere e io invariabilmente devo rispondere “due”. Sono due infatti le creature da me fatte nascere, i miei figli, mentre sono centinaia le nuove creature umane e le loro madri che ho avuto il privilegio di assistere nel processo del parto e della nascita. Vedete come poche parole possono capovolgere completamente il senso di una realtà che oggettivamente è la stessa e farla apparire diversa?
In un caso, se diciamo a noi stesse, e quindi crediamo: “L’ostetrica o il medico X mi ha fatto partorire”, stiamo dando potere a qualcun altro da Noi, cosa ben diversa dal dire, di conseguenza pensare e quindi credere, “Io ho partorito con l’aiuto di…”.
La realtà umana è fatta di narrazioni che plasmano a nostro piacimento la realtà oggettiva e biologica che ci circonda, la quale, a sua volta, come ci insegnano le neuroscienze e la fisica dei quanti, ha molte più sfumature di ciò che al momento attuale possiamo pensare di conoscere.
Ho sempre creduto e continuo a credere che ogni essere umano debba poter scegliere per sé stesso e che le scelte, soprattutto quelle legate alla salute, possano essere fatte solo laddove abbiamo più informazioni possibili.
Immaginate di andare in un ristorante e che vi si presenti solo una metà del menù. Avreste la possibilità di scegliere veramente il piatto che fa per voi? Magari siete fortunate e in quella metà si trova il vostro piatto preferito, ma è altrettanto probabile che non sia così.
Questo è quello che tipicamente succede quando ricevete informazioni parziali, che non permettono di fare una scelta reale e che spesso vi portano a delegare per paura di non fare la scelta giusta.
Per esempio in Italia ci sembra indispensabile, andare dal ginecologo non appena saputo di essere in gravidanza, quindi, nonostante l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), già molti anni fa, abbia dichiarato che la gravidanza non va considerata una malattia, più del 90% delle donne italiane va da un medico durante la gravidanza e partorisce in ospedale.
Abbiamo adottato un modello in cui tutto ciò è diventato la norma e non ci si chiede nemmeno più perché si agisce in questo modo, anche se le più recenti evidenze scientifiche ci dicono che essere seguite da un’ostetrica, con un’assistenza continuativa, personalizzata e orientata al sostegno della salute, diminuisce il rischio di varie patologie della gravidanza come ipertensione, parto prematuro, ecc..
Rendere norma ciò che non lo è
Attualmente, la norma socio-culturale, (in gravidanza si va dal ginecologo, il parto è sicuro in ospedale), supera l’evidenza biologico-scientifica (in gravidanza si va dall’ostetrica, il parto è sicuro in ambiente extraospedaliero), due a zero!
E questo a discapito di numerose evidenze scientifiche e dati disponibili.
Del resto la maggior parte di noi immagina che se la maggior parte delle donne ha cominciato a partorire in ospedale, a un certo punto intorno agli anni sessanta in Italia, ciò sia successo perché si era dimostrato che ciò, almeno all’epoca, fosse più sicuro. Sorpresa! Non è così. Le motivazioni sono di ordine socio-economico-culturale come potrete scoprire dai libri di Nadia Maria Filippini.
Ci insegnano fin da ragazze che abbiamo bisogno di un controllo annuale al nostro apparato riproduttivo e quindi la maggior parte delle donne va da un/a ginecologo/a dall’adolescenza in poi a fare un controllo annuale, ma i maschi allora? Loro non vanno tutti gli anni dall’andrologo a farsi controllare i testicoli. Ma di solito non andiamo dal medico quando siamo malate?
Forse essere donna di per sé è una condizione di rischio che esige dei controlli in più?
Sembrerebbe che il messaggio subliminale che ci arriva dall’adolescenza in poi sia proprio questo… siamo forse difettose?
Vorrei sottolineare come la nostra cultura, tramite i mass media, i social, la medicalizzazione, mandi il messaggio forte e chiaro che abbiamo bisogno di qualcuno che ci dica come stiamo, che ci imponga scelte terapeutiche e di vita al posto nostro.
Il modo in cui la sessualità femminile, per esempio, viene rappresentata nei film, ci fa credere che se non abbiamo un orgasmo velocemente probabilmente abbiamo qualcosa che non va, salvo poi scoprire che le sfumature della risposta sessuale femminile sono molto più varie e complesse di quello che viene divulgato e che scoprirle apre un mondo di piacere sia alle donne che agli uomini!
Un altro esempio di come il linguaggio possa farci credere una cosa per un’altra é normalizzare ciò che biologicamente non lo è.
Per molti anni l’industria del latte artificiale, usando campagne pubblicitarie aggressive e metodi di convincimento al limite della corruzione, è riuscita a far credere alle donne, ai loro compagni, ai nonni e ai sanitari che la formula fosse un alimento per lattanti addirittura migliore del latte materno! Ora sappiamo bene che non è così, anzi…
Ci sono voluti molti anni per recuperare la cognizione dell’importanza dell’allattamento materno e del latte umano con una lenta e faticosa ripresa dei tassi di allattamento. Per anni coloro che si occupavano di sostenere le donne in allattamento (compresa me) hanno detto loro: “Il latte materno è il migliore alimento per il tuo bebè, i bambini allattati stanno meglio, allattare ti darà dei vantaggi di salute, ecc.” tutto verissimo, senonché, detto in questi termini, di fronte al fiume di latte artificiale che ancora oggi viene con disinvoltura dato alla madri alla prima difficoltà, aveva buon gioco chi continuava (e continua ahimè) a dire: “Tranquilla, con il latte artificiale crescono bene lo stesso”. In qualche modo abbiamo normalizzato il concetto che un neonato umano potesse essere alimentato con latte artificiale.
A un certo punto le evidenze scientifiche hanno dimostrato senza ombra di dubbio che i bambini allattati con formula avevano più rischi di incorrere in diverse problematiche: “[…] il bambino alimentato con formula e biberon ha un aumento di morbosità e mortalità, rispetto al bambino allattato al seno, anche nei paesi ricchi” e finalmente abbiamo realizzato che andava rovesciato il linguaggio che di fatto rendeva l’allattamento artificiale normale e quello materno un qualcosa in più.
La verità è che l’allattamento materno è la norma biologica per il cucciolo umano e l’allattamento artificiale un povero sostituto che dovrebbe essere riservato a casi speciali, laddove la madre abbia una delle rare condizioni che non rendono possibile l’allattamento, qualora non si riuscisse realmente ad avere una produzione di latte sufficiente (succede di rado con il sostegno giusto) o laddove scegliesse di non voler allattare (nella speranza che lo abbia fatto con tutto il menù di informazioni necessarie a una scelta così importante).
Quindi partiamo con il piede giusto e stiamo attente a come parliamo, a come pensiamo a noi stesse, a come definiamo il mondo che ci circonda.
Questo vale anche e soprattutto per quando ci rivolgiamo a noi stesse: quante volte ci capita di dire “non ce la faccio!” rispetto a un esercizio fisico, a un esame, a una qualunque impresa della nostra vita. Certamente è possibile non farcela sul momento, perché magari non abbiamo la muscolatura allenata o non abbiamo studiato abbastanza, ma pensate quanto sarebbe diverso aggiungendo anche solo la parola ora, “ora non ce la faccio” e quindi aumentare la consapevolezza del fatto che, con la costanza e la determinazione e la preparazione adatta, quello che non riusciamo a fare in questo momento è comunque possibile perseguirlo.
Infine vorrei proporre di non usare più il termine Uomo quando ci si riferisce al Genere Umano nella sua interezza, come invece sento fare spesso nella nostra lingua.
Ogni volta che sento dire Uomini riferendosi a tutto il genere umano una voce interiore mi dice: “E noi donne?”.
Credo che sia importante ricordarci che siamo tutti Esseri Umani con una possibile distinzione in base al sesso, che tra l’altro diventa sempre più fluida nel rispetto del sentire di ognuno. Esseri Umani è una definizione di tutti noi inclusiva e rispettosa che mi auguro cominceremo ad usare sempre più spesso.
Faccio questi distinguo non per un mero tentativo “politicamente corretto” ma perché la parola, il Verbo, è potente e può letteralmente plasmare la realtà.
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