La strada era un unico saliscendi, così come nella vita, dove certe esperienze ti portano a scalare vette che sembrano così alte, quasi irraggiungibili, mentre altre, non fanno altro che portarti sempre più in basso.
Alzò gli occhi e vide queste cime di cipressi così maestose che sventolavano sopra la sua testa. La stessa brezza che le animava le attraversava i capelli, così come il profumo di terra che s’inebriava nell’aria frizzantina con quell’aspro profumo di pino che esaltava l’aria che respirava.
Più li guardava, e più il loro muoversi appariva ai suoi occhi come la danza di un leggero tessuto di seta che sotto il suo passare un po’ impaurito, la spingeva ad andare avanti.
Sapeva bene dove voleva arrivare, che avrebbe potuto solo sfiorare tutto quello che una volta aveva vissuto là.
Curva dopo curva, sentiva il suo corpo come paralizzarsi, ed un nodo di tensione le partiva dallo stomaco per irradiarsi come una fonte di calore in tutto il suo corpo.
Scorse il primo luogo, dove da piccola veniva portata a fare la passeggiata pomeridiana per prendere un gelato insieme ai suoi fratelli, ai suoi cugini e agli amici conosciuti in quel posto. Fare le passeggiate era uno dei loro modi di trascorre i pomeriggi estivi. Mi raccontava, sorridendo, che si rivedeva ancora in quelle gambe tutte così rinsecchite con i pantaloncini, una maglietta corta ed un ramoscello che era solita tenere tra le mani. Camminavano su quella strada sterrata per almeno un’ora. Nessuno di loro si lamentava, anzi. Era molto divertente. Ogni tanto si lanciavano anche qualche pigna qua’ e là. Nulla era cambiato, da come se lo ricordava. Un’antenna ripetitore enorme, immersa nella pineta, con quel fresco, sembrava essere un’oasi, dopo il lungo cammino percorso per quell’arida strada sterrata e polverosa.
Decise di fermarsi un istante per bere una bibita gassosa; guardò il cameriere avvicinarsi :“Buon pomeriggio Signora cosa posso portarle?”, “Prendo una spuma grazie”. “Desidera qualcosa da mangiare?”, rispose facendo segno negativo con la testa. “E’ tutto a posto?”, “ Si, si scusi” rispose Lei. “ Non è di queste parti vero?” “ No, non lo sono. Anche se non sono la solita turista di passaggio come Lei può pensare” “Oh beh, di turisti qui ne passano veramente tanti. Ultimamente molti stranieri. E lei invece da dove viene?. “ Io vengo da un paesino, sul Lago Maggiore, anche se non sono nativa di quelle parti. Mi definisco un ibrido, in un certo senso. Mio padre è originario di lì, mentre mia madre di questa terra. “ Bene, allora è qui in visita di qualche parente”. “…diciamo cosi” rispose lei.
“Le chiedo scusa, ma devo andare. Ritorno presto con la sua ordinazione”. “Certo, si figuri”. Che strano, pensava lei. Quanto le risultasse sempre più facile instaurare un dialogo con persone a lei sconosciute ma ben disposte nei suoi confronti, piuttosto che con conoscenti. Lei lì, si sentiva come essere a casa. È incredibile, quanto un luogo potesse assumere un significato così forte quasi come un albero secolare che ha le sue radici impiantate nel terreno fino a raggiungere le profondità più segrete.
Il cameriere tornando, servendola, rimase per un’instante a guardare questa donna, così esile, dai capelli mori e con quegli occhi così luminosi che allo stesso tempo gli sembrava nascondessero un gran dolore. I due si scambiarono uno sguardo, senza più dirsi una parola.
Si rimise in macchina con le gambe tremolanti, e si avviò lungo quella strada che sembrava sabbia, dal colore del terriccio misto a ghiaia, la stessa, che l’avrebbe portata a breve dove trascorreva parte della sua estate. Suo padre, dopo aver trascorso con loro un breve periodo al mare, portava la famiglia qui dove c’erano tutti i loro parenti per trascorrere ancora qualche giorno lontano dal caldo afoso della città. Non che lì non facesse caldo, anzi. Delle volte mancava pure l’acqua ed i bambini, che erano soliti ritrovarsi nella piazzetta, venivano sgridati se aprivamo il rubinetto della fontana per schizzarsi.
Il rumore della ghiaia, passava sotto le ruote della macchina, curva dopo curva, Emma si avvicinava sempre più. Provava un emozione quasi simile alla paura. Arrivò all’ultimo incrocio di due strade, prese quella di destra, e terminate le ultime due curve ancora arrivò alla piazzetta di quel borgo, o meglio di quel castello di origine medioevale che sorgeva su quella collina, costruito nel lontano anno 1000.
Quando una persona ci arriva tutt’oggi non può far altro che sentire il silenzio della natura e la pace che essa dona, regalando agli occhi immagini di ampie colline, terrazze di vigneti, olivi, cipressi in mezzo a quel contesto ricco di storia in ogni suo angolo.
I cipressi, erano i medesimi che c’erano quando aveva cinque anni.
Emma, era arrivata alla sua destinazione fisica che l’avrebbe introdotta ad un lungo viaggio fatto di ricordi del passato. Sentiva di doverlo fare per ritrovare se stessa.
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