In fondo c’era da bere e da mangiare di livello altissimo.
Sarebbe stata esibita come una bestiolina rara dalla genitrice, giusto per qualche minuto.
“Scusi, manca molto a destinazione?” Chiese gentilmente, mal celando l’impazienza. Non doveva arrivare in ritardo.
Dalia per quanto ci provasse a non farsi assalire dall’ansia dovuta alle pressioni materne, falliva miseramente ogni volta.
Realizzò che l’Uber la stava fissando di sottecchi probabilmente dapprima che gli ponesse la domanda. Era consapevole della sua bellezza fuori dal comune, ma era una condizione che viveva male. Non era esibizionista, le attenzioni invasive dell’altro sesso spesso la mettevano a disagio.
“Signorina 5 minuti e siamo a destinazione”. Le rispose con fare ammiccante.
“Grazie“. Mise su le AirPods per sentire musica e scoraggiare qualsiasi tipo di approccio.
Quel sontuoso party era stato organizzato per sfoggiare il regalo del futuro marito di Isabella, una splendida villa immersa nella natura incontaminata dell’Aventino. Un gioiello di architettura minimal/ecochic.
Rimase impressionata dalla struttura così come anche l’Uber.
Si lisciò le pieghe dell’abito alla schiava di colore verde acqua-uno dei suoi preferiti- le faceva risaltare l’incarnato dorato.
Aveva raccolto i capelli castano scuro in un morbido chignon, non avendo avuto tempo di passare dal parrucchiere. Per quanto riguarda il make-up si era mantenuta sul semplice, solo gli occhi aveva messo in risalto, bistrandoli con il kajal; regalo di suo padre al ritorno dall’India.
Prese lo smartphone e lo usò come specchietto.
Era tutto in ordine ma sicuramente sarebbe stata criticata. Fece un bel respiro, pagò la corsa e con passo deciso si avviò al cancello.
Passò senza che gli steward le chiedessero il nome, erano stati istruiti nel dare meno nell’occhio possibile.
Il vialetto illuminato da faretti alogeni dava su uno splendido giardino che per l’ occasione era addobbato a festa. C’erano diverse specie di piante orientali, un piccolo stagno in omaggio al Giappone(sua madre amava alla follia la cultura nipponica).
Gli invitati erano quasi tutti disseminati tra il buffet e il palco, dove un quartetto jazz riempiva l’aria di note rilassanti.
La facciata della villa era composta da enormi vetrate e tanto acciaio. Fredda ed elegante proprio come Isabella.
Il suo promesso sposo Osvaldo Nitra, C.E.O. della “Guardian Pharma&co”-di cui Isabella era responsabile dell’ufficio legale-la conosceva davvero tanto bene, molto di più di sua Figlia e del suo ex marito.
Nitra era un uomo sulla sessantina, fisico asciutto e nervoso, completamente calvo e con occhi da pescecane. Inquietante ed enigmatico nella stessa proporzione.
Era a 5 metri da lei con Isabella sottobraccio e sorrideva diplomaticamente ad una coppia attempata.
Lei lo metteva in ombra con la sua fisicità: esile come un giunco ma dotata di una grazia naturale. Alta circa un metro e settanta, pesava si e no una cinquantina di chili. Aveva un collo lungo ed elegante come quello di un cigno. Pelle chiarissima e perfetta, messa in risalto dall’abito nero in seta mikado, modello sirena.
Aveva tagliato i capelli e sfoggiava caschetto cortissimo, biondo perla.
Il profilo era tagliente, naso sottile e dritto, labbra crudeli e perennemente imbronciate anche quando sorrideva.
Mentre la stava contemplando si ritrovò i suoi occhi piantati addosso, erano di un castano scuro che strideva con l’incarnato.
Le fece un piccolo ma deciso cenno e Dalia si avvicinò.
“Buonasera”
“Sei in ritardo“rispose squadrandola con disappunto.
“Suvvia Isabella, oserei dire che è in perfetto orario la nostra Dalia”. Nitra accennò un formalissimo baciamano che le mise i brividi, le labbra e le mani di quell’uomo erano gelide.
Le parve di essere stata toccata da un serpente.
“Sei bellissima mia cara, degna figlia di tua madre“continuò formalmente costruito e stucchevole, infastidì perfino Isabella.
“Agata…Otto…meet my daughter”
“Oh, nice to meet you” risposero quasi in coro la coppia.
Erano sulla settantina, forse lui piace vicino agli ottanta. Avevano un accento duro, probabilmente scandinavi o forse tedeschi.
Otto era in abbondante sovrappeso, pingue, invece Agata era piccola ed ossuta con un viso triangolare e occhi obliqui come quelli di un gatto.
Sembravano apparentemente innocui.
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