Caduto in una profonda depressione e attacchi di panico a causa di un burn-out lavorativo e di un lutto importante, l’autore, all’età di 27 anni, si ritrova costretto a fermarsi e a capire il perché gli stia succedendo tutto questo. Senza un lavoro e non più in grado di vivere una vita normale, l’autore inizia un percorso psicologico e di meditazione per cercare di affrontare e sconfiggere i propri demoni interiori. Ed è così che incontrerà il suo psicologo e Maestro di meditazione, che lo accompagnerà lungo tutto il percorso di riscatto e rinascita. Ma è con la decisione di intraprendere un viaggio in solitaria in Giappone che troverà finalmente le risposte alle domande che tanto andava cercando. Perché tra gli alti grattacieli di Tokyo e i monasteri buddhisti del monte sacro Koya, Simone scoprirà che l’unica via per vivere una vita piena e in pace con sé stessi e gli altri è solo una: l’accettazione di ciò che si è.
Perché ho scritto questo libro?
Ho deciso di scrivere questo libro perché credo fermamente che il mio percorso possa essere un utile compagno di viaggio per chi come me ha affrontato o sta affrontando la depressione e gli attacchi di panico. Questo libro non contiene le soluzioni e le risposte a tutte le domande, ma può essere di ispirazione e conforto per chi si sente perso e solo. Un libro che avrei voluto leggere quando non riuscivo a vedere una luce in fondo al tunnel.
ANTEPRIMA NON EDITATA
Perché proprio il Giappone?
[…] Ma non avevo idea di cosa volesse dire viaggiare veramente. Perché quando ti ritrovi solo al centro di un crocevia di grattacieli e niente ti ricorda casa, ti rendi conto che non riuscirai più a farne a meno. Senza l’incombenza degli orari e delle tappe prestabilite, senza dover scendere sempre a compromessi, sei libero di immergerti nella cultura che stai visitando, il tempo come unico compagno di viaggio. E così ti accorgi dei gesti quotidiani dei locali, del terreno che vibra al passare della metro, dei profumi che si perdono e si amalgamano, portandoti là, dove l’ingresso si apre per far entrare i primi clienti. Tutto questo però non mi bastava. Perché se è vero che organizzarmi da solo i viaggi e affrontarli in solitaria mi aveva concesso una certa sicurezza, rimaneva comunque un turismo mordi e fuggi di poche giornate. No, dovevo vivere un vero viaggio, molto più distante da casa, un viaggio che avrebbe provato definitivamente che ero del tutto guarito.
Continua a leggere
Non c’è due senza tre
[…] La vita su questa Terra è il bene più prezioso che abbiamo. E se siamo qui per qualcosa, se ha uno scopo la nostra esistenza, è per fare esperienza. Esperienza di ciò che è ordinario e straordinario. Di ciò che è simile e dissimile. Di ciò che è piacevole e sofferente. Di vita ne abbiamo una sola, per quanto ne sappiamo, e il momento per viverla appieno è adesso. Il passato non esiste più e del domani non c’è alcuna certezza, come nella vita dopo la morte. E questa convinzione, questo credo se così vogliamo chiamarlo, è rimasto sempre saldo nel mio animo, anche nei momenti peggiori del mio percorso.
Quelle maledette aspettative
[…] Ma quando arrivai, un po’ sudato e col fiatone, rimasi amaramente deluso. Ma non dalla bellezza del luogo. Il Fushimi Inari era lì, proprio come me l’ero immaginato, ma assalito da un brulicante formicaio di persone. Da mesi mi immaginavo camminare all’ombra dei portali, nel silenzio della natura quasi incontaminata. Ma a causa forse della Golden Week (una delle festività più importanti del Giappone), quella tanto desiderata tranquillità mi veniva del tutto negata. Così, amareggiato e deluso, mi inerpicai comunque verso la cima, sperando che lo sforzo fisico potesse distogliermi da quel brulichio incessante che non smetteva mai di accompagnarmi. Ma a mano a mano che salivo e il fiatone aumentava, vedevo la folla diradarsi sempre di più, fino a scomparire quasi del tutto nei piccoli santuari solitari. Statue di kitsune, disseminate un po’ ovunque lungo tutto il monte, mi osservavano, mentre il gracchiare delle rane stanche si amalgamava al fruscio leggero degli alberi. Così, immerso in una dimensione quasi onirica, raggiunsi in poche ore la cima del monte, per rendere omaggio al dio nel suo santuario principale. Non esiste niente di più dannoso delle aspettative. Bugiarde e ingannatrici, ti convincono che la realtà sia come la tua mente l’ha immaginata: una pellicola pregiata, girata dal più abile dei registi. E così, quando ti accorgi che nulla va come sperato, ti arrabbi e ti disperi, maledicendo te stesso e la tua mala sorte. Ma se accetti fin da subito che le immagini che hai nella testa sono solo prodotti della tua immaginazione, previsioni di un futuro che ancora non c’è, ecco che nulla può più deluderti. Vivi la vita come ti accade, attimo dopo attimo, apprezzando quello che ti sta difronte per ciò che in quel momento è.
La paura della dipendenza
[…] Il mondo è un’immensa scala di grigi, situazioni complesse, a volte paradossali, dove è raro incontrare gli estremi di questa scala. E così quando spegni il tuo telefono ed esci dalla tua nicchia, capisci che nessuno è davvero come te, che la tua situazione è unica e irripetibile. Ci sei solo tu ad affrontare i tuoi demoni e nessun altro lo farà per te. Sei tu che devi trovare il coraggio di aprirti e rischiare di essere giudicato per le tue problematiche psicologiche. E a pensarci bene è davvero strano, perché non abbiamo alcun pudore nel condividere con gli altri i nostri acciacchi fisici. Ma degli acciacchi mentali non si parla proprio, a volte nemmeno tra amici intimi. E questo forse è legato al fatto che alcune malattie mentali non sembrano avere un’apparente causa concreta, almeno per i non addetti ai lavori. Mentre una gamba rotta è evidente a chiunque, la causa della depressione non è subito riconducibile a qualcosa. E si sa, niente fa più paura alle persone dell’ignoto.
Una sensazione di déjà-vu
[…] Perché quando uscii dalla stazione, quello che si aprì difronte a me fu il vero Giappone. Gli occhi mi si inumidirono, mentre immerso nell’uggioso crepuscolo mi incamminavo lungo la via principale, disseminata di piccoli negozietti e localini dal profumo agrodolce. E così, vedere quelle persone tutte affaccendate sul calar della sera, mentre terminavano un’intensa giornata di lavoro, dallo sguardo rilassato e dal sorriso abbozzato, mi fece rigare il volto con intense lacrime di gioia. Mesi passati a immaginare quel momento, quel primo incontro con la cultura che tanto amavo, e ora ero lì, a respirare profumi che mai avrei immaginato. Ma a contrastare lo stupore, ecco che una sensazione di déjà-vu, di già vissuto, fece capolino per mai più abbandonarmi: era tutto come negli anime. In quel momento compresi quanto i prodotti del fumetto e dell’animazione fossero intrisi della cultura e della vita reale giapponese. Era come trovarsi dentro a un episodio di una delle tante serie che da anni assiduamente seguivo e questo mi riempiva il cuore di pura e sincera gioia.
Un solo popolo, una sola nazione
[…] Fino ad ora ero stato aiutato diverse volte dai locali, ma mai nessuno aveva iniziato volontariamente una conversazione con me andando sul personale. Era come se, da distante, avesse sentito la mia solitudine e volesse in qualche modo porvi rimedio. O forse, semplicemente, era solo anche lui. E così iniziò a farmi tantissime domande: come mi chiamavo, perché ero in Giappone, perché ero solo. Non era facile capire il suo inglese, ma apprezzavo davvero lo sforzo e cercavo anch’io con tutto me stesso di capirlo e di farmi capire. La nostra chiacchierata durò una mezz’ora abbondante e non sono sicuro di aver compreso tutto quello che mi disse. Ma francamente non mi importava. La gioia di avere anche solo una parvenza di conversazione mi riempiva di felicità. Prima di salutarmi mi donò un piccolo origami a forma di farfalla e fece una cosa che da un giapponese non mi sarei mai aspettato: mi abbracciò. In un paese dove ci si inchina al posto di stringersi la mano, ogni tipo di contatto fisico è visto come un atto davvero intimo. Ma lui lo fece ugualmente e non appena la sua figura si perse tra le fronde del parco, non riuscii più a trattenere le lacrime. Non ero solo e non lo ero mai stato. Perché nonostante le profonde differenze culturali che ci dividono, c’è una capacità che ci lega tutti in tutto il mondo, dal Giappone fino ai paesi del Sud America. Una capacità, un sentimento, che ritengo più potente dell’amore stesso, perché slegato da possibili torna conto personali o da attrazione fisica. E questa capacità è l’empatia.
Una parte del tutto
[…] Ci accompagnarono in una delle sale principali del Koyasan Daishi Kyokai, il centro culturale per le relazioni internazionali dello Shingon. Il salone era molto ampio, con diverse file di sedie in legno tra colonne finemente intagliate, le quali sostenevano un soffitto ricco di decorazioni buddhiste. Uno dopo l’altro, chiusero tutti i balconi delle finestre che davano sul cortile esterno, lasciando la sala completamente immersa nell’oscurità. Poche candele tremolanti illuminavano l’ampio altare difronte a noi, ma lo scuro legno con cui era fatta l’intera sala, sedie e mobili compresi, sembrava risucchiarne quasi completamente la flebile luminosità. Dopo una decina di minuti circa di silenzio totale, ecco che da dietro una porta scorrevole, affianco all’altare, si udì una voce profonda iniziare a cantare, un mantra che decretava l’inizio della cerimonia. Le ombre proiettate dalle candele danzavano vibranti tutte attorno a noi, quasi fossero spiriti ancestrali, mentre il monaco, nascosto dietro le paratie, aumentava piano piano il tono della voce. A un tratto, la misteriosa figura smise di cantare e la porta sì apri lentamente. Emersero due figure curve, dalla testa completamente rasata, avvolte in pesanti abiti da cerimonia, che lentamente si avviarono verso l’altare. Il più giovane dei due si sedette in seiza a fianco dell’altare centrale, mentre il monaco priore si posizionò al centro di esso, su un palchetto leggermente sopraelevato. Nonostante la semi oscurità, riuscii a delineare i lineamenti del primo, mentre il volto del priore di fronte a me rimaneva totalmente celato alla mia vista. Per quanto mi sforzassi, non riuscivo a carpirne le forme del viso e questo, assieme alla sua posizione sopraelevata e centrale, contribuiva a donargli un alone mistico quasi angosciante. Dopo una breve introduzione iniziale in giapponese tenuta dal monaco più giovane, l’abate iniziò nuovamente a cantare i mantra difronte a noi, una nenia profonda che ci avvolgeva tutti sotto un unico tono. Erano i dieci precetti di Shingon e, nonostante la mia totale ignoranza della lingua, iniziai a poco a poco a cantare anch’io con lui. Non mi resi conto di quanto tempo passai a salmodiare in quel salone. Il tempo e lo spazio persero completamente di significato, il canto del monaco sembrava dare forma all’intera esistenza intorno a noi. Dopo un tempo che mi sembrò infinito, il priore smise la sua cantilena, facendoci ritornare tutti al nostro piano esistenziale.
Una volta, un incontro
[…] Perché se inizialmente ci fu solo uno scambio di informazioni distaccate e circostanziali, la chiacchierata finì per acquisire toni molto più rilassati, comici e intimi. Quando capì che ero un ragazzo alla buona con cui si poteva scherzare su tutto e con una buona dose di autoironia, tutte le sue barriere caddero, lasciando spazio alla sua umanità. Ridemmo e scherzammo sulle differenze storiche e culturali dei nostri rispettivi paesi, mi chiese informazioni sull’Italia e cosa ritenevo strano nella società giapponese. Per alcune, mi spiegò le ragioni culturali che giustificavano tali stranezze, per altre invece, ne rise assieme a me. Questo incontro, questo momento che rimarrà per me sospeso nel tempo, mi permise di rivalutare tutte le credenze che mi ero costruito durante il viaggio. Siamo spesso abituati a catalogare ed etichettare quello che non conosciamo e ai fenomeni del mondo che vivono attorno a noi non sempre riusciamo a dare una spiegazione razionale immediata. Per questo, cerchiamo di contestualizzarli all’interno di situazioni a noi già note. È la riduzione al minimo comune denominatore, la ricerca spasmodica di una parvenza di conoscenza per riempire quel vuoto che tanto ci spaventa. E così io, impossibilitato a comprendere pienamente quel popolo con il quale non riuscivo a conversare, avevo riempito le mie perplessità con banali generalizzazioni. A qualcosa dovevo pur aggrapparmi, capire come dovevo comportarmi in una determinata situazione. E anche se questo modus operandi aveva tutte le migliori intenzioni, ovvero quelle di integrarmi al meglio nel paese in cui ero, mi aveva comunque bloccato dal vivere appieno le relazioni con loro. Ma grazie a quella chiacchierata, avevo finalmente capito che nonostante ci sia un innegabile substrato culturale di fondo che accomuna un popolo, sono gli individui poi ad autodeterminarsi. Attraverso la propria personalità, le proprie esperienze, ognuno emotivamente rimane un mondo a sé e se si è disposti a guardare senza pregiudizio, è possibile scoprire un universo di storie ed emozioni uniche e irripetibili.
Commenti
Ancora non ci sono recensioni.