La sua attenzione ritornò poi rivolta verso l’alto, poiché veloce come si era propagato, l’incendio celeste si placò; le nuvole si diradarono e dietro di esse apparve una luna che pareva aver assorbito e metabolizzato l’intensità di quel rosso che le caratterizzava.
Ora, al centro di un cielo completamente sgombro, si stagliava una grande e intensa luna rossa come il fuoco.
Per quanto fosse stato affascinante, tutto era capitato nel giro di pochi secondi, giusto un battito di ciglia, e non era riuscito ad infondere emozioni di alcun tipo in Leonardo né tanto meno a distrarlo dal presente.
Era sempre stato un suo difetto il cercare di astrarsi dal momento difficile che stava vivendo, con pensieri o fantasie di ogni tipo. Questo ovviamente per non pensare o per procrastinare le decisioni.
Ora però era stato investito dalla realtà con la stessa potenza con cui i raggi del sole avevano colpito la volta celeste e niente avrebbe più potuto distrarlo dal suo tormento; tanto la realtà quanto la fantasia avevano oramai un aspetto grigio ed apatico per lui.
Arruffò i suoi lunghi capelli ricci e mentre immergeva la mano nella chioma, al contempo cercava di fare un massaggio con il pollice e il mignolo per rilassare le tempie; il suo era un vano tentativo di rimescolare e dare ordine alle mille voci che affollavano la sua mente e non davano tregua alla sua pena.
Ma era inutile, ogni volta che distoglieva lo sguardo dal panorama, inevitabilmente lo posava nuovamente su di lei e sui suoi grandi occhi castani.
Una volta pensava che quegli occhi rappresentassero per lui un porto sicuro dove poter approdare in pace e dolcemente perdersi; ora, invece, mentre li guardava, non poteva non pensare all’evidente ossimoro rappresentato da un lato da quegli occhi da cerbiatta e dall’altro dal suo animo da iena.
Il tutto poi suonava ancora più strano se ripensava a come era iniziata la sua storia con Lavinia, a come si era prepotentemente imposto il destino nelle loro vite.
Chiunque, infatti, avrebbe pensato che non fosse stato per niente un caso il fatto che si fossero incontrati quel giorno di novembre di due anni prima, in un pub in centro a La Spezia.
Mentre Leonardo era intento a bere la sua birra, seduto al bancone del Bar Beirut, con l’intenzione di soffocare nell’alcool l’ennesima delusione lavorativa da quando si era trasferito da Milano, lei si era seduta accanto a lui.
Le loro braccia a quel punto si erano inavvertitamente toccate e voltandosi, entrambi avevano notato che le voglie sui loro avambracci si completavano alla perfezione.
Unite, insieme, di fatto formavano una sorta di H con una stanghetta centrale che invece di essere perfettamente orizzontale tracciava una linea trasversale dall’alto verso il basso.
Iniziarono subito a parlare ridendo di quella strana e bizzarra coincidenza; il resto poi avvenne con così tanta naturalezza che quasi nessuno dei due si accorse che tra una chiacchiera e l’altra avevano raggiunto l’orario di chiusura del locale.
Il culmine della serata fu il bacio che si diedero sotto la statua di Garibaldi, nei giardini pubblici di La Spezia, salutati da uno stormo di corvi gracchianti.
Nel corso del tempo Leonardo aveva ripercorso più e più volte mentalmente quelle scene, quasi fossero parte di un lieto fine di una commedia romantica.
Nei mesi successivi, però, i due erano passati dal film romantico all’incubo e presto le parole dolci avevano lasciato il passo alle frasi avvelenate dette nei momenti di rabbia.
Sia la sfiducia di Lavinia nei confronti del mondo, che il carattere irascibile e polemico di Leonardo, complicavano irrimediabilmente sempre tutte le situazioni e davano seguito a litigate furibonde.
Oramai trai due la tensione era talmente palpabile da poter essere tagliata con un’ascia e a stento riuscivano a guardarsi in faccia, senza che scoppiasse una lite per un qualsiasi motivo.
Perfino adesso, davanti a uno dei più bei tramonti che ci fossero mai stati nella baia di Vernazza, se non addirittura in tutte le Cinque Terre o nella Liguria intera, l’aria tra loro si era fatta pesante e minacciava tempesta.
Avevano deciso di darsi appuntamento quel pomeriggio di fine luglio, nel luogo dove si erano detti “ti amo” per la prima volta.
Lo scopo era quello di vedere, parlandone faccia a faccia, se avrebbero potuto realmente salvare il salvabile e portare avanti la loro relazione.
Da quando si erano incontrati alla stazione del paesino, però, nessuno dei due aveva osato spiccicare mezza parola.
Leonardo tra sé e sé aveva pensato che il silenzio fosse una sorta di scelta scaramantica da parte di entrambi, come se il primo a parlare portasse sfortuna e si assumesse l’onere e la colpa di dare inizio alle ostilità.
Le prime ore erano quindi trascorse in un silenzio tombale, decisamente innaturale se paragonato al caos che li circondava.
La massa di turisti, infatti, come ogni estate affollava ogni singolo centimetro del piccolo borgo ligure rendendo quasi impossibile anche solo poter trovare un posto dove rimanere in piedi.
Da un lato Lavinia giochicchiava continuamente, con nervosismo, con i due anelli d’argento che lui le aveva regalato per il suo compleanno.
Dall’altra Leonardo non emetteva nessun suono, neanche per deglutire, l’inquietudine albergava nel suo animo fin da quando, quel pomeriggio, aveva preso il treno regionale che da Milano lo avrebbe portato a Vernazza.
Quando alla fine giunsero al porticciolo del paese, dove normalmente attraccano e partono i traghetti che fanno il tour delle cinque terre, lui fece una sorta di sogno a occhi aperti.
Nello specifico si ritrovò a immaginare che, da un momento all’altro, dal mare sarebbe apparso un serpente gigante con l’intento di divorarlo.
In un certo senso lo avrebbe desiderato ardentemente, piuttosto che continuare anche solo per un minuto di più quella situazione.
“Tanto lo so a cosa stai pensando” disse finalmente lei rompendo gli indugi.
“Ah davvero? Dai illuminami con una delle tue intuizioni geniali” le rispose lui in tono canzonatorio.
“Pensi davvero di far ridere? Sei solo un pagliaccio bugiardo. So benissimo che mi nascondi qualcosa, non giriamoci intorno” rispose furibonda Lavinia.
“Beata te che non sai un cazzo! Non sai nulla di me e della persona che sono” replicò lui con il suo solito umorismo tagliente.
Allo stesso tempo, però, dal tono della sua voce si poteva intuire che le parole di lei lo avevano ferito e colpito nel segno, come spesso accadeva.
“Fottiti! Mi rovini solo l’esistenza” affermò Lavinia scaricando su di lui tutta la rabbia che aveva accumulato fino a quel momento.
A quel punto Leonardo distolse lo sguardo da lei e tornò a fissare l’orizzonte ancora più amareggiato di prima.
I suoi occhi verdi si erano tinti dello stesso grigio del suo animo e il pensiero che lo dominava oramai era uno e uno soltanto: «Per quale ragione sono venuto? È tutto palesemente inutile».
La notte, però, oramai oscurava tutto al di là della banchina del porto e le possibilità di poter vedere qualsiasi cosa erano meno di zero.
Le acque subito sotto alla balaustra in ferro, dove si stavano appoggiando con le braccia, grazie alla luna rosso fuoco, avevano assunto il colore del magma. Per un istante gli parve persino di vedere il mare bollire.
I lampioni avevano appena iniziato lentamente ad accendersi in tutta la via, quando lei gli strattonò con forza la camicia di lino.
Per richiamare l’attenzione di Leonardo era intenzionata a palesare tutta la collera che stava provando: “Guardami negli occhi e dimmi se mi hai mai amata per davvero, vigliacco!”.
Prima che potesse rispondere, con la coda dell’occhio iniziò a notare che qualcosa non andava con i lampioni.
Questi, infatti, invece di entrare del tutto in funzione, andavano a intermittenza come se fossero le luci di un passaggio a livello.
La frequenza del ritmo di accensione e spegnimento aumentava ogni secondo sempre di più, fino a che non esplosero tutti simultaneamente, lasciando di fatto completamente al buio tutta la piazza retrostante.
“Ma che diavolo?” Esclamò Leonardo esterrefatto e al contempo perplesso, da quello che era appena accaduto.
Non era di certo l’unico, tuttavia, a essere rimasto totalmente spiazzato dalla situazione. Tutte le persone, che fossero sedute nei bar e nei ristoranti, o semplicemente a passeggio, avevano incominciato a parlottare tra di loro in un misto di preoccupazione e divertimento.
Subito dopo venne attirato da un suono che sembrava provenire dalla chiesa alla loro destra. All’inizio era quasi impercettibile e poteva essere scambiato per il miagolio di un gatto o per il lamento di un neonato.
Poi, pian piano, si fece sempre più chiaro e distinguibile; era palesemente la voce di una donna che cantava.
Istintivamente incrociò lo sguardo di Lavinia e dall’espressione smarrita di lei capì subito, che non era l’unico ad aver sentito quella voce e a esserne, allo stesso tempo, attratto e spaventato.
Senza neanche rifletterci si presero per mano e, come se fossero stati attratti dalla magia di un invisibile pifferaio magico, iniziarono a seguire la melodia per raggiungere il suo punto di origine.
Sforzando l’udito al massimo, man mano che avanzavano, riuscì a cogliere solo un ritornello della canzone che recitava: Il sole si oscura e la terra sprofonda nel mare; I fratelli si aggrediranno e alla morte giungeranno; Neppure un uomo un altro ne risparmierà.
Le restanti strofe erano poco comprensibili, si faceva cenno a un lupo o un serpente e a delle fiamme, ma anche concentrandosi il più possibile non arrivò ad afferrare nulla di più.
Dopo pochi passi giunsero davanti alla grande porta in legno della chiesa di Vernazza e quello che a prima vista colpì Leonardo fu quanto antica e imponente paresse.
Solo qualche ora prima, aveva ritenuto che fosse un normalissimo portone in legno, all’apparenza nuovo e ben lucidato. La sua anonimia era ben rimarcata dalla totale assenza di incisioni o di intagli di alcun tipo.
Adesso, invece, risultava essere vecchia di secoli. Il legname di cui era composta dimostrava di aver sentito tutto il peso del tempo, tanto che in alcuni punti era addirittura marcio.
Nei quattro angoli erano comparse delle sculture orrende, fatte di una pietra oleosa nera, raffiguranti teste di animali inferociti come aquile, lupi, cavalli e serpenti.
Quello che però risaltava in primo piano era la gigantesca iscrizione in gesso bianco, che copriva entrambe le ante.
Solo una parte, tuttavia, era scritta in maniera chiara, nell’altra, invece, qualcuno si era divertito a incidere degli strani simboli geometrici.
Nel pezzo che era comprensibile, la frase recitava: Dritta e irta di pericoli è la via tracciata dal fato.
Guardò Lavinia e intuì al volo che sembrava perplessa e incuriosita esattamente come lui e le disse: “Hai visto? Sembra che qualcuno si sia divertito a scrivere sul lato sinistro del portone e a scarabocchiare quello destro”.
Lo sguardo di lei però non ammetteva repliche, non concordava con quanto affermato da Leonardo e in tutta risposta replicò: “Veramente a essere incomprensibile è il lato sinistro, quello destro invece è cristallino”.
Una sorta d’inquietudine gli partì dal centro del petto si propagò in tutto il corpo; senza ombra di dubbio la situazione diventava ogni secondo sempre più strana.
Lavinia colta dalla stessa consapevolezza prese a mordicchiarsi nervosamente il labbro e a rigirarsi le ciocche dei suoi lunghi capelli castani. Era evidente a entrambi che qualcosa non quadrava.
“Che cosa recita la parte che riesci a leggere tu?” Chiese lui timidamente.
“-Lif e Lifprasir la percorreranno, l’amore fortifica o uccide- l’altra piuttosto, cosa dice?” Domandò lei in tutta risposta, con un misto di curiosità e preoccupazione nella voce, e lui glielo riferì.
Dopo un attimo di pausa, Leonardo prese fiato e recitò ad alta voce la frase intera: “Dritta e irta di pericoli è la via tracciata dal fato, Lif e Lifprasir la percorreranno, l’amore fortifica o uccide”.
L’anta destra a quel punto si spalancò, emettendo un suono cigolante. Un fetore tremendo ne fuoriuscì e una luce, talmente accecante da costringerli a chiudere gli occhi, lo accompagnò.
Prima che potessero emettere un solo fiato, però, si ritrovarono a varcare la soglia, ancora schiavi della stessa forza invisibile e irresistibile che li aveva attirati lì davanti.
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