Camminando a passo svelto su quell’unica via, in un’oretta o poco più ed escludendo
imprevisti, era possibile nel periodo estivo raggiungere il paesino di Montese con la sua bella
rocca. Tuttavia, in quei rigidi giorni di inverno, i tempi per una impresa del genere potevano
anche arrivare a decuplicarsi, senza nemmeno considerare il rischio rappresentato dagli
animali selvatici, come cinghiali o lupi, che infestavano i boschi e le foreste dell’Appennino
Modenese.
La porta dell’edificio era serrata, e la neve arrivava a coprire una buona parte delle prime
due assi che ne componevano la metà lignea inferiore; mentre, dalla parte superiore -che la
signora Elvira anni prima aveva preteso fosse di vetro- spuntò una folta chioma di capelli
ricci, neri come la pece.
Dall’altra parte, Enrica guardò attraverso i vetri appannati della porta della locanda. Il sole
era sorto solo da pochi minuti tuttavia, la sua luce così pura, pareva aver scacciato tutte le
ombre che per così lungo tempo avevano dominato in quel luogo maledetto e dimenticato da
Dio.
La giovane vide l’ampio spiazzo che fungeva da aia per il vecchio casolare. Vicino a dove si
sarebbe dovuta trovare la strada, spuntava dalla neve il pacchiano cartello in ferro battuto
laccato, in pieno stile liberty con il nuovo nome della locanda che donna Elvira aveva
imposto a quella povera anima del marito: “Il Bellavista”… E oltre la strada, la pineta, fitta e
inviolabile, coi suoi segreti e i suoi pericoli, fino alla cima del Montello.
La bambina spalancò la porta e un soffio di vento gelido investì l’intero salone, facendo
gonfiare le candide tende bianche delle finestre frontali che, ondeggiando, produssero una
danza delicata.
Finalmente gli angeli erano arrivati per lei… pensò tra sé e sé, cercando di accennare un
sorriso. Ma il viso le faceva troppo male.
La pungente aria mattutina di montagna, entrò subito in contrasto con l’olezzo di morte che
stagnava all’interno dell’atrio della locanda ed Enrica non riuscì a trattenere una smorfia
nauseata. Non poteva aspettare oltre, il tempo era ormai agli sgoccioli.
Varcò quindi la soglia e uscì dalla locanda. I suoi piedi nudi, ricoperti di piaghe e profondi
tagli, affondarono nella neve ma lei non parve farvi caso. Un passo alla volta, traballando, si
diresse verso il margine della foresta situata a poca distanza dall’edificio a ritmo serrato e
senza mai voltarsi.
Tutto taceva. Per qualche interminabile istante i passi della giovane affondarono nella neve
producendo un suono assordante. Parve quasi che l’intera montagna stesse trattenendo il
fiato per non disturbare quella scena.
Improvvisamente, un battito di ali interruppe quella pace così forzata. Dai rami di uno degli
alberi che si trovavano al limitare della foresta, qualcosa si alzò in volo. Inizialmente la
ragazzina non se ne curò, aveva ben altri pensieri per la testa. Poi lo vide librarsi in volo e si
bloccò nella neve, come in preda alla paralisi.
In cuor suo sapeva che non poteva trattarsi d’altro…
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