La frase che aveva ascoltato più spesso, quando qualcuno le faceva un complimento, era: “Che belle labbra!”. Ed erano belle per davvero, morbide e piene, come testimoniava lo specchio quando vi indugiava con lo sguardo. A volte chiacchierava con il labbro superiore o con quello inferiore, come fossero due amici con cui intrattenersi volentieri. Avrebbe voluto chiamarli per nome ma, si sa, ne erano privi. Come se non ne fossero degni. Solo “labbro superiore” e “labbro inferiore”, un fatto di posizione. Semplicemente l’ingresso di una cavità.
Dalila desiderava sottrarli al limbo dell’anonimato e dare loro un’identità ben precisa, suggellata da due nomi: Elettra e Diletta.
“Che belle labbra”, le risuonava sempre in testa quell’apprezzamento. Anche quando nessuno glielo faceva.
Però adesso basta! Comunque, e a ogni buon conto e tuttavia era un po’ stanca di quel complimento cantilena. Erano belle, sì, ma il ruolo che avevano era troppo ordinario.
Larghe, aride, disidratate, malcurate o carnose, sottili, invitanti, a cuore: gli attributi che venivano dati alle labbra erano sostanzialmente di tipo estetico. In fondo, le labbra sono l’adito alla bocca.
Anche il loro destino era sempre lo stesso: accarezzate, sfiorate, pressate. Soprattutto guardate. Con interesse, con passione e, qualche volta, con invidia.
Ma quando sarebbero state considerate di più della bellissima porta di una stanzetta?
Il ruolo che avevano la infastidiva. Anche la collocazione non andava bene e occorreva trovarne un’altra.
Sognò le sue labbra. Entravano con determinazione tra i denti di quell’altra bocca profumata di salvia che, prepotentemente e con desiderio, premeva contro la sua. Un morso le staccò. Divennero due individualità distinte. Adesso non facevano più parte della bocca.
Non più costrette a parole inutili.
Non più stirate in un sorriso,
impegnate in una smorfia,
succubi di un bacio non desiderato,
ricoperte da sostanze untuose.
Non più. Tutto questo era finito, per fortuna.
Ma che cosa avrebbero potuto fare due labbra isolate che avevano iniziato ad andarsene in giro per il corpo come impazzite?
Andava trovata loro una sistemazione. Sarebbero potute diventare due palpebre, per esempio. Non sarebbe cambiato granché, però. Tutti le avrebbero viste. Meno esposte all’altrui passione, con una funzione più nobile, ma pur sempre sfruttate da pesanti maquillage e sfregamenti mattutini seguiti, qualche volta, a poco piacevoli risvegli.
O due narici. Ma sì. Che cosa divina gli odori. L’olfatto è un senso di emozioni intense. Essere i tunnel dei profumi sarebbe stato un ruolo di fascino. Le narici non sono, però, che due fori.
No, non era un cambio possibile.
Due orecchie. Ecco, sì: le orecchie. I binari delle parole, della musica, dei suoni.
Da scartare. Immediatamente. Le orecchie non si possono chiudere secondo la volontà.
Dovevano restare due labbra, ma in una zona differente. Sottratte alla vista e al giudizio pubblico e rivelate solo quando voleva lei.
Sotto l’adipe del monte di Venere. A formare una novella vulva. Sì: sarebbe stato proprio quello il posto giusto.
Meglio decidere se piccole o grandi. Qualche rischio, comunque, ci sarebbe stato. Avrebbero dovuto sopportare qualche mano temeraria o essere costrette a un’indesiderata vicinanza. Dalila pensò alla sensazione che avrebbero provato al contatto con il tessuto degli slip, ma ci passò su. A qualche disagio avrebbero dovuto pure abituarsi.
Ci sarebbero stati, però, anche grandi giorni. Protagoniste di soddisfacenti amplessi. Baciate e sorbite da una bocca che le avrebbe conquistate, come preda da raggiungere, dopo aver indugiato su ogni centimetro di pelle.
Avevano dimenticato, Elettra e Diletta, un importante dettaglio: non appartenevano più a una bocca, ma conservavano la capacità di parlare. Come avrebbe reagito il randello di carne davanti a loro? Avrebbe certamente perso la sua spavalderia e, intimidito, si sarebbe ripiegato su se stesso. Eh no, davanti a chi riesce a parlare lì, in quella zona, non è facile fare gli altezzosi.
E chissà Dalila che reazione avrebbe avuto ascoltando una voce – la sua – venir fuori da un’area così distante. Sarebbe stato divertentissimo, però, incrociare l’espressione stupita di chi avrebbe guardato, dapprima, verso la zona pelvica. E poi, con lo sconcerto sul volto e con la pupilla dilatata, risalire al viso della ragazza privato delle solite labbra e vederle sostituite da quelle altre, grandi e piccole, con le prime ricche di peli nerissimi.
Certo, ci sarebbe stata anche perplessità per le parole: non era lingua italiana, quella che proveniva da Elettra e Diletta, imprigionate fra la coscia destra e quella sinistra. L’idioma che usavano non era facilmente identificabile. Sembrava spagnolo, forse basco, ma non se ne può essere certi. Anche perché faceva pensare a una voce non adulta. Assomigliava a quella di una bambina che aveva iniziato a esprimersi da poco tempo.
Eccole nella nuova sede. Che belle che sono, la zona inguinale assurge a rinnovata dignità. Hanno una disinvoltura che stupirebbe chiunque: è come se in quel posto ci fossero sempre state. Se non fosse perché sono glabre, si potrebbe pensare che hanno abitato la zona pelvica da sempre. Fantastica questa nuova collocazione e poi, finalmente: avrebbero potuto evitare di essere truccate.
Con i giorni, anche il linguaggio sarebbe stato più comprensibile. Bisogna dar loro il tempo che occorre per abituarsi a quella nuova situazione.
Anche alle altre, quelle sotto il naso. I peli provocano un po’ di solletico e qualche starnuto, ma vuoi mettere? È impagabile incrociare lo sguardo stupito e disgustato di chi, sotto le narici, vede genitali femminili. Muti.
Inizia un nuovo destino per Elettra e Diletta. Ho saputo di un contratto per loro: si esibiranno a sere alterne al Piano Suite, un elegante locale in cui si suona solo jazz. Se ci vai, ignora tutto il resto della ragazza. Punta l’orecchio verso la zona pelvica di Dalila.
Sagapobiafra (proprietario verificato)
Quello che ho letto mi ha dato la conferma della capacità di Concetta di indagare in modo elegante , profondo e leggero nell’animo umano. Concetta è riuscita a creare delle atmosfere e dei personaggi che ho sentito da subito vicini e familiari.
diana_malcangi (proprietario verificato)
Ho lavorato con Concetta Tandoi alla revisione dei suoi racconti, ed è stato incredibile, uno dei lavori più affascinanti che abbia mai fatto.
Quando ho letto per la prima volta il suo manoscritto è stato come quando ti accorgi all’improvviso di un arcobaleno o di uno scoiattolo: una piccola meraviglia che ti fa una sorpresa e ti incanta. Qualcosa di bello e di raro era tra le mie mani.
L’eleganza lessicale e la potenza delle immagini, cristalline e oniriche oppure forti e realistiche, mi hanno catapultata “dentro”, da subito. Ho respirato odori e gustato sapori che pian piano diventavano, per così dire, metafisici, assumendo un significato tutto loro.
Mi sono sentita parte del mondo reale delle protagoniste, dall’animo puro e piene di difetti (come tutti noi), e a un certo punto mi sono ritrovata nel loro mondo immaginario, ed è una sensazione intrigante, che mi ha divertita, commossa, ispirata.
Il racconto “Al largo”, che potete leggere nell’anteprima, dà un’idea della leggiadria e della capacità di sorprenderti sul finale. Altri racconti sono ancora più onirici o, al contrario, divertenti, pieni di dolore e amore, oppure folli, visionari.
Per un’esperienza ancora più intensa, consiglio di ascoltare le tracce musicali: ogni racconto infatti è accompagnato da un brano, indicato sotto il titolo, che ne amplifica l’atmosfera e le sensazioni.
Molte storie sono realistiche, come dicevo, eppure sembrano non avere un tempo definito, talvolta neppure un luogo: potrebbero essere ambientate ovunque, nel tempo e fuori dal tempo, come i grandi scrittori sanno fare.
Leggendo Concetta Tandoi ho avuto la certezza che il saper creare realtà immaginarie è una delle capacità più incredibili che l’essere umano possa fare, ed è un dono che appartiene a pochi.
Un “dono” che è stato riconosciuto anche dalla Giuria del prestigioso Premio Calvino, che ha inviato all’autrice Tandoi un’attenta recensione, ammirandone le capacità letterarie.
Spero che abbiate il privilegio di leggere questi racconti.
Miriam Mastromauro (proprietario verificato)
Sinestesia nella sua accezione psicologica, contaminazione dei sensi nella percezione. Questo ho provato, grazie ad una scrittura caratterizzata da ricchezza lessicale, che mi ha fatto sentire un po’ di carta e avvolta dall’odore del legno della barca che mi culla…….
Un’esperienza sensoriale forte.
Questo è stato leggerti e non vedo l’ora di conoscere gli altri personaggi. Grazie!!!!
tittitandoi (proprietario verificato)
Ho letto e tutto ciò mi è entrato prepotentemente dentro.
Bravissima!