“Con la tua laurea che non interessa a nessuno, con la tua vita che non interessa a nessuno, con i tuoi valori che non interessano a nessuno. Potresti forse definirti come un intellettuale, appellativo che oggi, per inciso, è diventato ufficialmente un insulto. Una maniera con cui liquidare velocemente una persona fuori dal mondo e fuori dal tempo, che non fa parte del gruppo, che non fa parte del gregge, di cui nessuno vuole essere amico”.
In pratica un noioso rompicoglioni che nessuno vorrebbe veder seduto al proprio tavolo, perché ti fa fare brutta figura con gli altri.
“Ma poi, come ti è venuto in mente di studiare filosofia, una cosa di cui notoriamente non frega niente a nessuno, un magnifico lasciapassare per la vita inutile che hai prontamente ritirato alla cassa?”.
E così sei diventato uno degli addetti all’assistenza clienti di un noto centro commerciale, sbucato come tanti altri, alla periferia di una cittadina uguale a tante altre nella profonda pianura padana, e te ne stai seduto a testa bassa dietro al desk del punto informazioni in un’eterna sequenza di giornate sempre uguali a sé stesse.
Il banco assistenza clienti, la tua gabbia di due metri per tre in cui stare comodo, in attesa dei famosi dieci minuti di gloria che oramai non si negano a nessuno.
Tutto vero, ha ragione lei: condivido questa condizione con un bestiario umano di varia natura, quelli che tecnicamente si definiscono colleghi.
Sono qui, da quasi due ore nella riunione periodica con loro e con il mio capo: li chiamano staff meeting, servono per condividere gli obiettivi, per creare il clima, per fare teamwork, per consolidare la cultura di squadra.
Tutte cazzate a cui non crede nessuno; oggi all’ordine del giorno c’è la riorganizzazione dei turni di lavoro; turni di lavoro che devono essere più agili, più snelli, più flessibili, più efficienti.
Più smart, come direbbe qualcuno, più in linea con le esigenze di business.
Tradotto in un linguaggio comune significa che devi lavorare di più, ad orari più disagiati ma a parità di stipendio.
Non ti piace? Vattene, fuori c’è la fila della carne da macello pronta a prendere il tuo posto.
Ti ricordi quando, da bambino, andavi allo zoo e vedevi il leone che girava nella gabbia con lo sguardo spento e la rogna che gli consumava il pelo? Ti ricordi quanta pena ti faceva il re della savana ridotto ad un rachitico ammasso di peluria marroncina, che ti guardava implorando pietà e compassione? Lui, che fuori da là, ti avrebbe sbranato senza darti il tempo di rendertene conto?
Ti ricordi vero?
Tu hai fatto la stessa fine dietro a quel banco dell’assistenza clienti, implorando pietà e compassione da chi ti rivolge la parola solamente perché pretende di cambiare le mutande usate perché troppo grandi, o troppo piccole. E tu che non puoi cambiarle, perché la politica di restituzione e cambio merce prevede all’articolo 8, comma 2, che la biancheria già indossata non possa essere cambiata.
Ma loro non capiscono. Vogliono comunque che tu vada oltre il regolamento e cambi le loro mutande.
Le loro mutande che magari puzzano di palle sudate.
E tu implori pietà come il leone dello zoo.
Ti reputi migliore di loro, ma non lo sei; del resto, cosa hai di meglio?
A cosa ti serve tutto quello che sai?
A niente, ammettilo una volta per tutte.
E ora ci si mette pure questa frase ossessiva, che ricordi di aver letto da qualche parte, in uno di quelle montagne di libri inutili che hai consumato nella tua vita, convinto che ti aiutassero a vivere meglio.
E invece eccoti qui, ieri a discutere con un bulletto tatuato che pretendeva di restituire un paio di scarpe a suo dire troppo strette; e oggi, poco prima che la riunione iniziasse, con una signora che avrebbe voluto ritirare i piatti fondi che ha ordinato con la raccolta punti fedeltà, ma tu non li avevi.
Non li avevi perché hai sbagliato a fare l’ordine; ti sei confuso ma non puoi ammetterlo: il capo non te lo perdonerebbe mai.
Ma come ho fatto a sbagliare l’ordine? Bastava inserire il codice nella casella giusta, cazzo!
Nemmeno questo riesci a fare, sei un miserabile.
Se avessi imparato a inserire i codici degli ordini come si deve, avresti fatto carriera: bastava mettere le x nelle caselle giuste, ma tu non riesci ad azzeccare nemmeno questo.
Il tuo capo ci sarebbe riuscito perfettamente: lui, Mario Pisano, uno scherzo della natura di quarant’anni, microcefalo e semianalfabeta.
Uno di quei soggetti che avrebbe fatto la gioia di Lombroso, che avrebbe cercato in quei tratti orrendi gli elementi di correlazione con qualche perversione ancestrale.
Come la fossetta occipitale del brigante Villella, anche qualche tratto somatico di Pisano avrebbe sicuramente le carte in regola per diventare oggetto di qualche studio di fisiognomica.
Alto quasi due metri e abbondantemente sopra il quintale di peso, si presenta ogni giorno al lavoro costretto dentro improbabili completi di giacca e pantalone rigorosamente neri, a cui abbina sempre camicie rigorosamente bianche.
Prodotti dozzinali, di quelli che fanno immediatamente sudare e non lasciano traspirare la pelle generando aloni mefitici che ammorbano l’aria circostante; Pisano li copre con un uso massivo di orrendi deodoranti spray, di quelli che si trovano per pochi euro in ogni supermercato, generando un misto insopportabile di puzza di ascelle e muschio bianco che toglie il respiro, e mi provoca un’immediata pesantezza alla testa.
Immagino che il suo guardaroba contenga decine di capi identici, accatastati con cura e ordine rigidissimo, metodo tipico degli ottusi.
La sua testa è innaturalmente piccola, del tutto sproporzionata rispetto al resto del corpo, come se fosse stata inserita successivamente alla nascita in qualche strano esperimento scientifico.
Ho letto da qualche parte che un neurochirurgo italiano, che lavorava all’ospedale Molinette di Torino, riteneva possibile e realizzabile il trapianto di cranio in un uomo, rendendo così reale nel nostro mondo qualcosa di simile a quello che aveva immaginato la fantasia di Mary Shelley; come sempre in questi casi, la comunità scientifica si è divisa tra chi lo ha considerato un ciarlatano e chi un genio, con la netta maggioranza schierata per la prima ipotesi.
Osservando Pisano, spesso mi viene da pensare che, in realtà, questo esperimento sia già stato realizzato, magari in un sordido laboratorio di qualche paese oltre cortina dove gruppi di scienziati pazzi si misurano con tutto quello proibito dai canoni etici condivisi nel mondo evoluto.
Trapianti di cranio, espianti di organi da bambini rapiti nella foresta, chirurgia plastica estrema, generazione artificiale di nuovi virus per mettere sotto scacco il pianeta.
No, quest’ultima cosa è veramente impossibile.
Pisano, Pisano… che soggetto: i suoi occhietti vitrei, da bovino intento a pascolare, guizzano sovente di una luce sinistra alla ricerca disperata di qualcosa, non so cosa, ma qualcosa; sembra perennemente assorto in dotte riflessioni interiori, ma in realtà credo che la sua espressione sia solamente un palese indice di lentezza cognitiva.
Mentre parla intravedo spuntare dalle labbra sottili e bluastre, i suoi denti: sono piccoli e aguzzi, come quelli di una faina o di un tasso, pronti ad azzannare e a strappare la carne dalle prede.
I suoi denti aguzzi che azzannano la mia carne.
Proviene da una piccola cittadina di provincia, dove ha trascorso tutta la sua vita in un lungo alternarsi di giornate inutili ma poi, per qualche motivo che non conosco, è diventato il responsabile dell’assistenza clienti del centro commerciale.
Si diverte ad esercitare la sua dose di potere per vessare noi addetti al banco assistenza; che siamo i suoi sottoposti, come ama definirci.
E guadagna cinquecento euro al mese più di me, come ama ricordarmi ogni mese, al giorno di paga.
E giù a ridere, con i suoi denti storti e aguzzi in bella vista.
E giù a ridere con la sua pancia che sobbalza dentro la camicia bianca e la giacca nera pronta a strapparsi da un momento all’altro.
Ma ha ragione lui: la mia busta paga fa ridere sul serio, e lui guadagna cinquecento euro al mese in più: quel ciccione, probabile frutto di un accoppiamento tra consanguinei dentro un fienile di campagna tra la merda dei bovini, è davanti a me nella scala sociale.
Si è appena comprato la macchina nuova, un modello bianco fiammante di una nota casa automobilistica tedesca, che posteggia sempre a fianco della mia vecchia Panda blu, negli spazi riservati ai dipendenti del centro commerciale.
“Ma smettila di cercare scuse, lui ha ragione, tu hai torto; non hai mai capito un cazzo e questo è quello che meriti”.
“Tu sei il freak, tu sei lo scherzo della natura, il disadattato. Ci fosse ancora il Signor Barnum, ti metterebbe subito in una gabbia insieme al nano e alla donna barbuta”.
Pisano trascorre buona parte della sua giornata impegnato a conversare con qualche casalinga disperata, di quelle che non riescono mai a trovare i prodotti negli scaffali.
Ho letto da qualche parte che i supermercati sono tra i luoghi dove è più facile fare conoscenza tra single, e non solo. Sono una vera e propria casa di appuntamenti, il luogo ideale dove rimorchiare; e quindi, per molti, fare la spesa è l’ultimo dei problemi.
Dal mio punto di vista privilegiato, ormai sono in grado di smascherare in pochi secondi le persone che vengono al supermercato con il solo obiettivo di recuperare una sana scopata: eleganti, profumate, con un cestello al cui interno ci sono pochissimi prodotti, una decina al massimo.
Vagano a lungo tra corridoi e scaffali, lente e assorte, apparentemente alla ricerca di quel prodotto di nicchia che proprio non riescono a trovare, ma nella fremente attesa dell’incontro che potrebbe dare una svolta alla loro giornata.
E sono le prede preferite di Pisano.
Come la signora che vuole assolutamente i suoi piatti fondi: un’impeccabile quarantenne o giù di lì, di quelle che girano come minimo a bordo di un SUV nuovo di zecca; di quelle bionde, ben pettinate, profumate, ben vestite e impeccabilmente truccate.
Di quelle che non riesci a guardare senza fare pensieri sconci con la fantasia; ma solo pensieri, guardare e non toccare.
Passi le tue giornate cercando il modo più rapido ed indolore di liquidare tutti questi rompicoglioni che sfogano le loro frustrazioni con voi addetti all’assistenza clienti; la maggior parte delle volte devi solo fare melina, come una squadra di calcio che difende il pareggio a San Siro mentre scocca il novantesimo.
Devo solo fare melina e attendere.
Palla in tribuna, ricorda; palla in tribuna e si risolve tutto.
Palla in tribuna e questa stronza sarà solo un altro brutto ricordo.
Lei e i suoi piatti fondi.
Un altro brutto ricordo che si accumula in una lista infinita, alimentata costantemente ogni giorno.
Ma qualche volta la melina non paga: come quella squadra di calcio che difende il pareggio a San Siro e scocca il novantesimo.
Ma l’arbitro concede sei minuti di recupero, e poi ci scappa l’assalto finale, il fallo, il rigore e il gol al novantaseiesimo. Al novantaseiesimo. E magari il rigore non c’era nemmeno.
E perdi uno a zero, al novantaseiesimo, per un rigore inesistente.
La vita è ingiusta come una partita di calcio.
La mia vita è ingiusta come una partita di calcio.
E come se non bastasse tutto questo, una volta alla settimana ci sono i famigerati staff meeting: Pisano sta illustrando i nuovi turni di lavoro che entreranno in vigore dal prossimo mese e che prevedono una massiccia presenza in orario serale e nei weekend, ovvero nei momenti di maggiore affluenza di clienti.
Sarà garantita un’equa distribuzione dei turni più disagiati, o almeno così dice.
Seduta attorno al tavolo in finto legno della sala riunioni c’è la squadra, il team, il gruppo, i fortunati che fanno parte di un progetto vincente, pronti a scannarci per un tozzo di pane secco.
Nella stanza c’è un odore rancido di polvere e sporco che proviene probabilmente dalla moquette unta e consumata dalle migliaia di scarpe che l’hanno calpestata nel tempo, aggravato dall’assenza di finestre che rende l’aria pesante e puzzolente; il caldo insopportabile determinato dal riscaldamento centralizzato sparato al massimo, e la luce fioca che proviene dal proiettore in fondo alla sala, mi generano un irrefrenabile desiderio di sbadigliare, ma non posso; attirerebbe le attenzioni di Pisano che certamente mi prenderebbe di mira.
Devo quindi simulare una sincera attenzione alle sue parole, ma in realtà non ho la minima idea di cosa stia dicendo.
Per aiutarmi a stare sveglio, seguo i movimenti di un piccolo insetto nero sul muro, che in questo momento si trova proprio al centro della slide powerpoint proiettata sulla parete: si muove a scatti, come se cercasse la via di uscita da un labirinto senza riuscire a trovarla; è un movimento ipnotico e ripetitivo lungo le stesse medesime traiettorie che lo riporta costantemente al punto di partenza.
Mi chiedo se si renda conto dell’inutilità dei suoi gesti o se invece per lui tutto questo rituale abbia un significato preciso che a me sfugge, vorrei capire cosa passa per la testa di un insetto che percorre decine di volte lo stesso tratto di parete.
Perché lo fa? Dove diavolo vuole andare? Si rende conto di essere minuscolo ed inutile?
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