Prima di farmi accomodare fuori dal suo studio si fece anche tre volte il segno della croce mormorando qualcosa in latino.
O in ladino? …Vabbè, non importa.
Preso atto della mia bipolarità, ho capito perché per me non ci fosse nulla di strano nel guardarmi allo specchio e parlare da solo.
Così ho pensato che, già che c’ero, fosse meglio farlo per iscritto, perlomeno per ricordarmi di ciò che mi dico, dato che, oltre al succitato disturbo della personalità, ho anche una pessima memoria a breve termine.
L’idea di partenza per questo libro è il mio diario del cammino di Santiago del 2012, inserito in un contesto di racconti e di ricordi legati sia alla vita passata che ad un percorso di auto-esplorazione iniziato nel 2007 e tuttora in corso, che presumo non finirà mai.
Questa ricerca di nuova consapevolezza passa attraverso gli scritti della tradizione egizia tramandati dai Rosa Croce, il taoismo, il reiki, le costellazioni familiari, la fisica quantistica, le cerimonie sciamaniche, la cabala, la psicologia, i tarocchi e altre piccole divagazioni sul tema.
Ho sempre avuto una grande passione per quella cosa che possiamo chiamare esoterismo, metafisica, piuttosto che spiritualità o “mondo invisibile”. Per contro però, per anni ho trascorso il mio tempo in compagnia di persone totalmente immerse nella materia, con le quali, se provi a trattare certi temi, ti guardano aggrottando le sopracciglia e ti dicono che sei “strano”. Ogni tanto mi sfogavo giusto con i testimoni di Geova: quando venivano a suonare alla porta li facevo accomodare e gli raccontavo la mia visione di Dio che esula dal concetto di religione, manifestando educatamente le mie perplessità sui loro dogmi ed attaccandogli un super-pippone sulla cabala o sul taoismo finché loro, ad un certo punto, esausti, dicevano: “Vabbè si è fatto tardi, dobbiamo andare”.
“Tornate quando volete, per me è un piacere parlare di queste cose “, ma invece non venivano più. Peccato.
Uno dei tipici marker del disturbo bipolare è la tendenza al cominciare tante cose senza mai concluderne una; la mente corre troppo veloce, si annoia in fretta e c’è una continua necessità di una nuova ricerca. Sono uno di quelli che non ritiene la coerenza un valore assoluto, l’associo al concetto di “rigidità”. Preferisco accorgermi degli errori e cambiare idea spesso, adattandomi a tutte le nuove informazioni che arrivano, come fossi acqua.
L’incostanza e la volubilità sono due prerogative che di solito si valutano con un’accezione negativa ma, come in ogni cosa, se ti soffermi a valutare con calma senza pregiudizio, ne scopri anche un lato positivo.
È stato infatti da queste frequenti pulsioni di cambiamento che ho ricevuto gli stimoli per scegliere di esplorare così tante strade diverse. Il risultato è stato che, anziché diventare uno specialista su qualcosa in particolare, sono un discreto conoscitore di parecchie diverse strade e, ora che ci penso, mi piace di più così.
L’aver intrapreso vari percorsi mi ha permesso di capire che, anche se gli uomini delle diverse tradizioni, hanno assegnato tanti nomi differenti, la meta è una sola per tutti, il segreto per vivere felicemente è uno solo, il concetto di Dio è sempre quello. E questa roba, in realtà, non ha un nome.
Questi cammini di ricerca interiore spesso sono carichi di energie “pesanti”, scavano fuori traumi infantili, abusi, parenti morti e altre cosette del genere, quindi, ho pensato di alleggerire il clima di questi racconti con qualcosa di divertente, sennò va a finire che chi legge il libro si deprime, invece io vorrei che ridesse.
In questi dodici anni passati ad esplorare queste cose, nel frattempo ho chiuso un matrimonio, sono stato senza casa abitando in giro per agriturismi per 3 anni, ho cresciuto due figli, ho abbandonato un settore nel quale ho lavorato per 22 anni per ricominciare da una cosa nuova e sconosciuta, sono stato in una missione africana, sono stato vegetariano, poi vegano, poi sono tornato carnivoro, mi sono iscritto all’Università ho dato due esami e poi ho smesso, sono stato per due anni un attivista politico, poi ho lasciato perdere anche quello, e nel frattempo ho scritto libri.
Ecco, adesso che ho sfogato un po’ magari guarisco. Dal bipolarismo intendo, sul narcisismo e sulla schizofrenia invece, come vedete, devo ancora cominciare a lavorarci.
Posponi
Se fai una vita che non ami, la mattina l’alzarsi dal letto è sempre difficoltoso, direi che per me probabilmente è il momento più duro della giornata.
Ogni tanto, per i motivi più disparati (ma potremmo anche dire disperati), l’impresa è più ardua del solito. Mi potranno capire meglio quelli che hanno utilizzato un Nokia come sveglia: sto parlando di quando sviluppi un rapporto difficile con il comando “Posponi” che compare sul display mentre l’aggeggio riproduce la sua dannata musichetta.
Quando il Nokia suona per la prima volta di solito è abbastanza facile, magari hai puntato la sveglia dieci minuti prima del dovuto, giusto per farti una pera di “Posponi”, sapendo di poterti godere il letto ancora per un po’.
Con un occhio aperto ed uno chiuso sei riuscito ad afferrarlo dal comodino e con le ciglia incollate ti trovi davanti al dilemma della scelta tra lo “Stop” e il “Posponi”. Se premi “Stop” in quel momento sai perfettamente che ti riaddormenterai bucando tutti gli appuntamenti della mattinata. In questo primo giro pospongo senza
alcuna esitazione.
Dopo alcuni minuti, eccoci giunti al secondo turno, so di avere ancora un po’ di
margine ed il messaggio che arriva dal mio cervello è: “C’è ancora tempo”, e vai ancora di “Posponi”.
Passa ancora un po’ e siamo al terzo giro di giostra; ora si cominciano a materializzare i primi pensieri razionali, quelli che tentano di riportarti in un mondo reale, quello dei viventi potremmo dire.
Si tratta soltanto di lampi, non ancora molto convincenti, per cui il cervello mi manda un impulso che chiude la questione nella maniera più classica, facendomi pensare: “Dai…ancora cinque minuti”; esattamente la stessa frase che ripetevo a mia madre quando andavo ancora a scuola, certe abitudini sono dure a morire.
Dopo il terzo “Posponi”, la tua credibilità di essere umano nei confronti del Nokia vacilla paurosamente. Sai che a questo punto lui (il Nokia) ti vorrebbe poter dire:
“Quante volte pensi di poter ancora rimandare? Ma chi vuoi prendere in giro? A ‘sto punto devi decidere: o ti alzi, o non ti alzi!”
“Ma come ti permetti?” penso, “sei solo un telefono, chi ti credi di essere? La voce della mia coscienza? Il grillo parlante? Ma vaff…”
Ciò avviene mentre la musichetta aumenta di volume e il tasto “Stop” chiede di trovar pace; ora tocca a lui, sente che è giunto il suo momento, ma con lo “Stop” non puoi discutere o temporeggiare: o ti alzi subito o sei fottuto.
Mi alzo.
Questa mattina ho un appuntamento di lavoro importantissimo a Modena, ed ho passato una nottata terrificante.
Raccolgo la riserva di energie che ognuno di noi custodisce per i momenti di emergenza e mi trovo incredibilmente con i piedi giù dal letto. Sono già un po’ in ritardo e connetto poco.
Il pensiero del ritardo, mi indispettisce e mi fa girare a vuoto.
I capelli sono impresentabili, dovrei lavarli ma non c’è tempo, allora cerco di aggiustarli con acqua, gel e phon. L’effetto è devastante e per giunta ci impiego il doppio del tempo che ci avrei messo a lavarli. Mi innervosisco ulteriormente.
Non trovo le mutande e tengo quelle del giorno prima, che non saranno certo profumate, ma che tanto nessuno mi verrà ad annusare, per cui…va bene così.
Passo un tempo infinito alla ricerca delle scarpe che ho in mente di indossare, ma non si trovano. In questi momenti di disperazione arrivo anche a cercarle nel frigo, ma non sono nemmeno lì.
Ne scelgo quindi un altro paio, che non mi piace per nulla ma che è l’unico proponibile con l’abbigliamento da lavoro “serio”, ossia con camicia e giacca.
I minuti passano, devo ancora mettere il PC ed il caricabatteria nella borsa, il cavo è incastrato sotto la scrivania. Trafficare con i cavi elettrici impigliati mi rende velenoso.
Per trovare le chiavi dell’auto, il portafoglio, il cellulare e le chiavi di casa ci metto il triplo del solito ed esco di corsa inciampando nelle scarpe che poco prima avevo cercato in frigo: erano accanto alla porta. Vabbè non c’è tempo per cambiarle, proseguo.
Sono partito di casa da tre minuti e mi rendo conto che non ho preso con me i documenti da portare al cliente. Cerco mentalmente una soluzione alternativa, tipo inviarglieli via e-mail dal PC quando arriverò là, ma realizzo che sarebbe inutile, perché su questi fogli erano state fatte delle correzioni a mano.
Torno indietro, prendo i documenti e riparto ancora, non prima di aver scalciato quelle scarpe che ancora mi ritrovo tra le palle mentre rientro in casa.
Ormai il ritardo è nettamente superiore ai canonici quindici minuti che si possono quasi ritenere accettabili, così per correttezza decido di avvisare il cliente telefonicamente del fatto che ho avuto un piccolo contrattempo.
Quando mi risponde la sua segretaria, mi rendo conto che i suoni che pronuncio sono incomprensibili: sono le prime parole della giornata, a corde vocali “fredde” e bocca impastata, ne esce un mugugno da mostro dei cartoni animati.
Schiarisco la voce e cerco di recuperare credibilità con frasi di cortesia banali, tipiche da venditore.
Ok, ce la faccio, la segretaria mi ha detto che non c’è problema se arrivo mezz’ora dopo, so già che saranno quaranta minuti ma comunque a quel punto mi riceverà ugualmente.
Inutile dire che c’è più traffico di tutti gli altri giorni e tutti vanno più lentamente del solito. Dovrò saltare cappuccino e pasta, un sacrificio per me enorme, forse preferirei donare un rene, ma me la sono voluta e accetto di pagare un prezzo così salato.
Appena giunto sulla statale trovo un po’ di strada libera, spingo leggermente sul gas per recuperare almeno trenta secondi.
Ci sono i vigili.
Mi fermano.
Documenti.
Multa e cinque punti di patente.
Sto fermo almeno altri venti minuti.
Rientro in auto con la mia multa, penso al modo in cui giustificare al cliente un
ritardo ulteriore e ai punti della patente che si riducono così al lumicino. Le budella mi si ritorcono.
Suona il telefono.
“E adesso chi cazzo è?”, mormoro a denti stretti.
“Strano però” penso, “non è la mia solita suoneria, sembra piuttosto quella della
… sveglia?!”
Apro gli occhi e mi trovo nel letto con il cellulare in mano.
Sul display, in basso a destra c’è una scritta: “Posponi”.
Dopo cinque secondi di metabolizzazione, dico tra me e me: “Beh almeno non ho
preso la multa”.
Mi alzo e vado al frigo a prendere le scarpe.
Federica Pancaldi (proprietario verificato)
Come un moderno romanzo di formazione, questa raccolta di racconti autobiografici ci ricordano quanto importante, dolorosa e meravigliosa sia la ricerca di se stessi. Le crisi e le ferite ci sconvolgono, ci lacerano, ma creano così gli spiragli perfetti per fare entrare in noi nuova luce