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Dreams and Darkness Parte I

Dreams and Darkness Parte I
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Consegna prevista Giugno 2024
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Tre ragazzi della Riviera ligure, diventano amici grazie ad una passione comune per i giochi di ruolo.
Il gioco creato da uno di loro In stile D and D, li prepara a quello che diventerà in futuro la loro vita.
Due di loro supereranno numerosi ostacoli in nuovi mondi, sfruttando le loro conoscenze nelle arti marziali e nell’energia spirituale.
Massimo, dal carattere solare e spigliato, forte, impavido, simpatico è sempre pronto a fare festa. È accompagnato da Alessandro, introverso, insicuro e inadeguato in molte occasioni. Quest’ultimo è lui a raccontare la storia estrapolata dal suo diario personale.
Mattia, il Master che narra la storia, rimane invece nel mondo reale, dove silenziosamente muoverà i fili che gli permetteranno di aiutare i suoi amici.
La minaccia della riapertura di uno strappo dimensionale, l’ascesa al potere di una malvagia setta religiosa, la ricerca del potere di uno oscuro adepto privo di una qualsiasi dote, saranno alcune delle minacce che affronteranno.

Perché ho scritto questo libro?

L’idea è nata tra i banchi di scuola delle superiori.
Un gioco originale creato da un amico, ha dato vita ad una serie di storie che ancora oggi sono vivide nella mia mente.
Nella saga la magia e la forza energetica spirituale, convivono in equilibrio all’interno della stessa dimensione, regolando la vita di tutte le creature.
Appassionato di Fantasy, video giochi “Picchia Duro”, Dragon Ball, Ken Shiro e super eroi Marvel e DC, ho provato a racchiudere nei miei libri la loro anima.

Un ringraziamento in particolare va a
Valerio Di Marco, senza il quale  non avrei potuto farvi conoscere questi mondi fantastici.

ANTEPRIMA NON EDITATA

CAPITOLO PRIMO: TIRA I DADI!

 

  Il sudore mi colò dalla fronte, sul resto del viso, arrivando sulla mia barba incolta di un paio di settimane, creando piccoli rigagnoli di sangue, fortunatamente non del mio. La mia armatura d’acciaio lucente, adesso sporca di terra e sangue, mi difese bene dagli attacchi dei miei avversari. Ripresi fiato, appoggiato con un ginocchio per terra, sorreggendomi con la mia inseparabile spada, a cui avevo dato il nome di Destino. 

La robusta e potente arma a due mani, fu forgiata sul Monte Fuoco, dalle mani sapienti dei Nani, con la magia degli elfi dei boschi. Portava al centro della guardia, una gemma verde incastonata, capace di controllare la vegetazione e il terreno nelle vicinanze. 

I corpi degli Orchi e Goblin morti intorno a noi, erano centinaia, caduti sotto i miei colpi, sotto quelli di Max e grazie alla magia di Matti.  

Gli unici sopravvissuti del campo di battaglia; una piccola piana di circa ottocento metri quadri, cosparsa di cadaveri; eravamo noi tre, più un piccolo manipolo di guerrieri umani.  

Max, l’enorme colosso, un gigante di tre metri di altezza con una muscolatura più possente di un gorilla di montagna e un orso messi insieme. Era uno dei discendente della razza dei Titani, mostruosi esseri, figli della magia e della terra.  
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Max, un omone dai modi persino gentili, quando non era in battaglia, stava mettendo k.o. gli ultimi orchi ancora in piedi, prendendoli per le teste con le mani e facendole cozzare tra loro.  

Indossava una possente armatura argentata che lo face sembrare ancora più grosso di quello che era in realtà. La sua compagna di campo di battaglia, era la sua inseparabile ascia a doppia lama o bipenne, anch’essa forgiata insieme alla mia spada. Anche la sua arma possedeva una pietra magica incastonata all’interno, ma questa era rossa, diversamente dalla mia.  

La sua arma aveva il potere di convogliare il fuoco sulle sue lame per poter colpire o per poterlo lanciare sugli avversari.  

Facemmo la conoscenza di Matti durate una delle nostre avventure, mentre cercammo pozioni e protezioni magiche presso un emporio vicino ad monastero, durante il tragitto verso il castello del Drago.  

Matti, studente di magia della Luce era un ragazzo magrolino ma coriaceo. 

Orfano, abbandonato al monastero sperduto sulle montagne, venne preso sotto l’ala protettrice dell’abate, che oltre ad essere il capo spirituale, diventò il suo maestro.  

Lì studiò per anni, finché non ci conobbe.  

Ci mettemmo poco a fare amicizia. Affrontammo una piccola avventura insieme ed ecco che la squadra si formò. Matti si accompagnava con il suo fedele bastone, con incastonato la gemma della Luce, donatagli dall’abate.   

Max, Matti ed io, ancora sul campo di battaglia, ci lanciammo uno sguardo che aveva molti significati, tra cui: stai bene? Finalmente è finita! Ce l’abbiamo fatta!  

I ricordi presero il sopravvento.  

Episodi della battaglia appena terminata mi vennero in mente in un misto di flashback e sensazioni.  

Restammo in pochi, oltre a noi tre, ad essere sopravvissuti. Un manipolo di circa quaranta soldati, per lo più contadini e artigiani. Soldati di professione ne rimasero pochi in città, dopo i conflitti avvenuti nei mesi precedenti.  

La città di Tirian possedeva un’ottima fortificazione, la quale aveva retto a numerosi attacchi e assedi, ma all’ultimo, portato da un orda di cinquemila unità, tra orchi, Goblin e giganti delle montagne, cedette. Quest’ultimi, arrivati sul campo di battaglia in secondo tempo, riuscirono ad aprire una breccia nelle mura ad est della città. Questo ci portò in gran svantaggio.  

Max e Matti si precipitarono per contenere l’avanzata delle creature. L’enorme guerriero in armatura scintillante affrontò due giganti contemporaneamente, fronteggiandoli anche se lo superavano in altezza di circa due metri. Matti invece, difese l’ingresso insieme ad un piccolo manipolo di soldati. Fulmini, invocati dal cielo, caddero sulle malvage creature, richiamati dal giovane mago.  

Si servì anche di potenti palle di fuoco, lanciate dal bastone magico, bloccando l’avanzata dentro la fortezza, fino a quando riuscimmo a contrattaccare, uscendo dalle mura. 

La battaglia fu scatenata dalla sete di potere dell’Arcimago, colui che controllava le Armate delle Tenebre, erano chiamate così le orde di Goblin e orchi.  

Fino pochi mesi prima, i miei amici ed io, eravamo semplici contadini, studiosi o fabbri.  Dopo numerose avventure, tra le quali, sconfiggere creature mostruose all’interno di grotte, liberare castelli da draghi e la ricerca delle nostre attuali armi ed armature magiche; ci portarono al momento in cui eravamo adesso.   

Mi sollevai da terra con un lieve barcollamento. La mia energia vitale era bassa, i colpi subiti nello scontro mi crearono più problemi di quanto pensassi. Matti venne in mio soccorso, portandomi una delle sue ampolle, nella quale c’era l’elisir di rigenerazione. 

Una voce nella mia testa e contemporaneamente anche in quella dei mie compagni ci chiese: “Bravi ragazzi, avete acquisito 2000 punti esperienza, adesso dovete dirmi cosa intendete fare.”   

  “Uh! ragazzi ma è tardissimo!” disse Max  

Quella affermazione mi riportò alla realtà.  

Il mondo fantastico in cui prendevano vita i nostri personaggi si dissolse, Massimo ed io eravamo seduti attorno ad un tavolo, a casa di Mattia Devoto, il nostro caro amico, nonché Master del gioco di ruolo a cui stavamo giocando. 

“Devo Andare si è fatto davvero tardi, domani mattina devo fare un sacco di commissioni.” Aggiunse Massimo. 

“E va Bè! Domani è sabato!” scherzai 

“Per me non ci sono problemi ragazzi, domani mattina non ho niente da fare.” Sottolineò Mattia 

Alla fine ci accordammo per rimandare il resto delle nostre avventure ad un altro giorno, congedandoci da casa di Mattia. 

Sotto casa del nostro amico, Massimo ed io ci salutammo a nostra volta prendendo strade diverse, verso le rispettive abitazioni. Prima di lasciarci, come facevamo solitamente, ripercorremmo le vicende più belle della serata, scherzando e ridendo sotto il condominio di Mattia Devoto che si trovava nella periferia di Chiavari, piccola cittadina della provincia di Genova.  

Il mio giovane amico, appena ventunenne, più grande di me solo di un anno, anche se non possedeva le dimensioni del suo personaggio immaginario, interpretato nel gioco, era un ragazzo forte e alto. Con i suoi 93 chilogrammi per 190 centimetri, atletico e con le spalle larghe, giocava nella squadra locale di football americano della cittadina, i Predatori.  

Sport conosciuto per caso, visto la provenienza d’oltre oceano. Dopo aver assistito ad una partita se ne innamorò e da lì a pochi mesi si meritò un posto nella prima squadra. 

Andavamo a vederlo giocare spesso, Mattia ed io, allo stadio di Caperana, situato nelle zone limitrofe della cittadina di Chiavari. Campo da calcio equipaggiato all’occorrenza in campo da football, diventò il suo palcoscenico, dove brillò come la stella del gruppo. Questo gli permise di essere uno dei ragazzi più popolari della sua età.  

Era una promessa per quello sport che in Italia incominciava a prendere piede, anche se considerato ancora di nicchia.  

In molti provarono a convincerlo a giocare a Rugby, sport più conosciuto e con più visibilità, provando a farlo avvicinare alla squadra ufficiale di Recco, ma lui adorava la sua armatura di protezione, che lo faceva assomigliare ad un guerriero di altri tempi. Massimo Lagorio aveva finito da poco più di due anni, il liceo scientifico che aveva frequentato insieme a Mattia. Provò anche ad iscriversi con lui alla facoltà di ingegneria di Genova. Matti gli promise più di una volta, di aiutarlo negli studi, ma dopo un entusiasmante e promettente inizio, capì velocemente che lo studio non gli interessava, tanto meno l’ingegneria.  

Lo sport e le ragazze erano la sua vita. Aiutato dalla sua bella presenza e dalla spigliatezza, era ben voluto da tutti, ma soprattutto era la preda di tante belle ragazze. In molte lo notavano e alle volte poteva essere persino imbarazzante andare nei locali con lui, si rischiava di essere scambiati per la mobilia o per un tizio di passaggio che non meritava nemmeno di essere visto.  

Non ho ancora trovato quella giusta, diceva sempre. Le sue storie non durarono mai più di un mese.  

Sotto casa di Mattia, salì sul suo scooter Piaggio 125 per tornare a casa, in una fresca notte primaverile, sotto uno stupendo cielo stellato, privo di Luna e di nuvole. 

Massimo ed io ci conoscemmo, avendo come amicizia in comune Mattia. I due frequentando la stessa scuola superiore, il Liceo scientifico, si conobbero in terza superiore e dopo pochi mesi di frequentazione, me lo presentò. Inizialmente mi chiesi cosa potesse avere in comune con noi quel ragazzo, con due Nerd un po’ associali come noi due. Con grande sorpresa, scoprimmo di avere più cose in comune di quanto pensassimo. 

Max ero conteso da decine di compagnie di ragazzi. Riceveva sempre mille inviti, per fare questo e quello, eppure il suo primo pensiero, dopo pochi mesi di frequentazione, era quello di chiedere prima a noi due, se fossimo stati liberi per vederci tutti e tre.   

Io mi allontanai dalla casa di Mattia, saltando in sella alla mia Montan bike, allontanandomi in direzione mare, percorrendo le piccole strade del comune.  

Il traffico era quasi inesistente a quell’ora. Pedalando di buona lena, attraversai il centro della cittadina, saltando da un marciapiede all’altro, passando sotto i portici e sui ciottoli delle vie lastricate, aiutato dalla mia bici bi ammortizzata, ideale per lo scopo. Arrivai in poco tempo in passeggiata mare, passando dietro la stazione ferroviaria.  

Adoravo passare davanti al Mare, sentirne l’odore della risacca delle onde e il suo inconfondibile profumo. Pedalando con un rapporto rigido, muovendomi velocemente sulla strada semideserta, attraversai i giardini sul mare, caratterizzati da una lunga fontana. Giochi di luce, si muovevano in coordinate corografie insieme agli spruzzi, allietando i turisti e lasciando sempre i bambini a bocca aperta per la meraviglia. La passeggiata di Chiavari di notte, illuminata solo dai lampioni, semideserta, aveva qualcosa di magico. 

Seguendo la strada, arrivai fino alla foce del fiume Entella che divideva i due comuni Chiavari e Lavagna. Passai sopra il ponte, seguendo la via Aurelia, fino a svoltare in una piccola traversa che mi condusse fino al portone di casa. 

Un appartamento modesto, in un modesto condominio di venticinque appartamenti. Acquistato dai mie genitori, voluto principalmente da mia madre, sostenendo che vivere vicino al mare avrebbe fatto bene al mio asma, rinunciammo allo spazio di una casa più grande, a favore della comodità della sua posizione. Crescendo, il mio problema respiratorio si affievolì e la mia stanza iniziò a diventarmi sempre più stretta.  

Non che adesso fossi un uomo, ma arrivato a venti anni, la mia voglia di indipendenza incominciò a farsi sentire.  

Mio madre mi diede il nome Alessandro, spiegandomi che lo scelse, perché così si chiamava uno dei personaggi più famosi della storia, il più grande conquistatore di tutti i tempi.  

La mia famiglia era composta dai miei genitori e da me soltanto. Non avevo ne fratelli né sorelle. I nonni materni e paterni non c’erano più da anni, morti prima della mia nascita. In oltre miei genitori non avevano fratelli. 

Fondamentalmente non ho mai saputo molto della famiglia dei miei, sono sempre stati molto vaghi sull’argomento. Dopo averne sfinito la pazienza, con innumerevoli domanda, quand’ero molto più piccolo, crescendo mi feci bastare le loro risposte, senza mai più indagare.     

Il signor Ivan Dinemesia, e la signora Nasya Therra, sempre chiamata principessa da mio padre, si conoscevano da tutta una vita.  

Il loro rapporto era invidiabile da tutti. Sempre insieme e molto legati, Tra di loro era raro osservare una litigata, almeno che non fossi stato io la causa.  

Mio padre mantenne la sua famiglia, aprendo una piccola attività in proprio, insegnando arti marziali, in una palestra di Chiavari. Mia madre lo aiutava insegnando alcuni corsi di fitness e nell’amministrazione dell’ufficio, mentre saltuariamente faceva anche altri piccoli lavoretti stagionali. La possedevano, da almeno quindici anni.  

Dopo i primi anni di sacrifici, iniziarono ad ingranare e con l’aggiunta di diversi corsi, l’attività ci diede da vivere dignitosamente.  

Insegnava alcuni stili del Wu Shu, ma non sdegnava gli stili di combattimento più occidentali come la Box e il Brazilian Jiu Jitsu.  

Mi raccontò che suo padre lo iniziò al mondo delle discipline da combattimento, a giovane età, appena compiuti i 5 anni. Mio nonno, gli insegnò alcuni stili del kung fu, fino ai diciassette anni. Poi lo iniziò ad una sorta di Ninjutsu, mio padre lo chiamò sempre così. Purtroppo non conobbi mai il nonno, se non nelle storie di mio padre.  

Il Ninjutsu della famiglia Dinemesia, si differenziava da quello giapponese, in quanto i suoi movimenti e combinazioni, assomigliavano alle tecniche più distruttive, segrete e letali, degli stili del Wu Shu, Karate, Muay Thai tradizionale e del Panatukan filippino. Mio padre, fino a quel giorno si rifiutò d’insegnarmelo. 

“E’ troppo violento per te…” 

“Sei ancora troppo giovane…” 

“Forse un giorno…” 

Le scuse erano sempre quelle, ogni volta che tiravo fuori il discorso, trovava sempre una scusa per parlare d’altro. Nemmeno ad altri suoi bravi allievi, blasonati a livello nazionale ed europeo, insegnò l’antico stile di combattimento tramandato nella sua famiglia. Si limitava a tenersi sempre in allenamento, esercitandosi da solo in complicate Forme e serie di movimenti.  

Quando mi permetteva di osservarlo, rimanevo sempre stupito dell’agilità e della sua prestanza fisica, a cinquant’anni di età. Le evoluzioni aere che compiva, le vidi replicate solo nei video sui social media, eseguite da abili e giovani ginnasti. Realizzate da lui parevano semplicissime, naturali come respirare, eppure anche dopo più di dieci anni di pratica, io non ero in grado di competere con la sua bravura.  

I miei genitori non amavano rivangare il passato, sapevo pochissimo della loro vecchia vita, prima di trasferirsi a Lavagna e di avermi.  

Quello di cui ero certo, era che i miei genitori mi ebbero, quando mio padre aveva trent’anni e mia madre venticinque. Raccontandomi della loro infanzia, pareva sempre che recitassero una storiella imparata a memoria, giusto per darmi un contentino. 

Avendo mio padre come istruttore e maestro, realizzai diversi obbiettivi sportivi, cimentandomi in varie discipline da contatto. Riuscii a levarmi qualche soddisfazione, entrando da molto giovane nella nazionale di Wu Shu italiana, vincendo gare di Forme e di combattimento. Diedi il massimo fino alla fine delle scuole superiori, dopo di che, fino a quel giorno, non mi allenai come avrei dovuto, con grande dispiacere del signore Dinemesia. Troppe distrazioni giunsero nella mia vita, i primi amori incompresi, la ricerca di un buon posto di lavoro, la vita con i miei genitori che iniziava ad essermi opprimente. 

Con una famiglia così equilibrata e felice era difficile pensare che potessi avere problemi caratteriali, eppure nella mia infanzia soffrii di forti attacchi d’ansia e di panico. I miei genitori discussero spesso dei miei attacchi, ma decisero di non portarmi mai da un dottore. Mio padre non sembrò mai particolarmente spaventato dai miei attacchi. Cercò sempre di consolarmi, minimizzando con parole dolci i miei incomprensibili incubi, assicurandomi che mi sarebbero passati, o in alternativa gli avrei compresi.  

Come promesso, a dodici anni si affievolirono gli attacchi, diventando sempre più rari. 

Diedi solo due anni di respiro ai miei genitori, perché a quattordici diventai un terremoto in casa e fuori. Finii più volte al pronto soccorso per colpa di qualche prodezza atletica o per semplice stupidità.  

Non frequentai il liceo come i miei inseparabili amici, ma scelsi una scuola professionale per diventare grafico pubblicitario e web designer. Rimediai una bella bocciatura al primo anno ed al secondo tentativo, non brillai particolarmente. Con grosse difficoltà, mi diplomai un anno dopo Mattia e Massimo.  

Con il senno di poi, pensandoci bene, scatenai innumerevoli discussioni in casa, facendo nascere in me la voglia di indipendenza e di abbandonare il nido dov’ero cresciuto.  

Oltre a sfogarmi a casa, quel malessere mi portò ad avere un carattere introverso e non sempre socievole. Trovai felicità e sollievo, solo quando il nostro gruppo di amici attuali, si consolidò. 

I miei genitori non furono particolarmente contenti di questo, una nuova causa di attrito nel nostro rapporto, si insinuò quando gli presentai Massimo. Non furono mai contenti della nostra frequentazione, non volevano che nemmeno Mattia lo frequentasse, ma su di lui ovviamente non avevano alcun potere. Sostenevano che avesse una pessima influenza su di noi.  

La goccia che fece quasi traboccare l’acqua dal vaso, fu quando lasciò l’università. Lo dipinsero come uno scansa fatiche che non avrebbe mai concluso niente nella sua vita, perfetto per fare una vita solo nella delinquenza.  

La notte passò, lasciando il posto ad una giornata bella e tiepida, sotto il sole primaverile del mattino, di un sabato di fine Aprile. La luce del sole filtrava dalle        fessure delle imposte sulle finestre. Durante il suo dormi veglia, il telefono di casa squillò. Poche parole accompagnati da brevi silenzi e dopo qualche istante la mamma di Mattia entrò nella sua stanza svegliandolo.  

“Papà mi ha chiesto di dirti, se puoi andare nel magazzino del nonno per aiutarlo a fare un lavoro.” Chiese con dolcezza la signora Devoto. 

Mattia si preparò ubbidendo alla richiesta, ci mise qualche minuto a riprendere completa coscienza di se. Erano solo le otto e trenta e lui era sicuro di non essersi addormentato prima delle due e trenta del mattino. Studiò fino a quell’ora per prepararsi ad un esame che avrebbe fatto da lì a pochi giorni. Si vestì ed uscì di casa, dopo aver fatto una colazione fugace e veloce. Con il suo inseparabile zaino dell’Invicta, che l’aveva accompagnato anche durante i cinque anni di superiori, si infilò nelle orecchie le auricolari del suo lettore MP3, pulì le lenti dei suoi occhiali da vista e si diresse a gran passi verso il centro di Chiavari. Attraversò le vie trafficate durante il sabato mattina, iniziando ad ascoltare la sua play list in modo casuale. Il fato decise per un brano dei Foo Fighters, Breakout. Bene! Una bella carica gli serviva proprio!  

Gli venne subito in mente il viso simpatico e divertente di Dave Grohl, che accompagnava le sue canzoni con video spesso e volentieri, molto divertenti. 

Mentre camminò, si chiuse bene la giacca sul collo, la temperatura all’ombra non era ancora così calda. Passò davanti al suo vecchio istituto, ogni volta i ricordi dei suoi anni scolastici, delle superiori, gli ritornavano in mente.  

Paradiso ed inferno, non in parte eque. Lunghi periodi d’inferno, venivano intervallati da veloci momenti paradisiaci.   

I primi tre anni di superiori, al Liceo Scientifico Marconi di Chiavari, paragonati alle medie, non furono una passeggiata. Di corporatura minuta, la non curanza per lo stile e la moda, con i capelli sempre alla rinfusa, fu preso di mira fin dal primo giorno di scuola. I compagni delle quarte e delle quinte, gli diedero il suo personale inferno. In oltre i buoni voti lo mettevano in buona luce con i professori, ma in cattiva verso i compagni più aggressivi e frustrati. Venne spesso fatto vittima di bullismo, senza parlare delle assemblee di istituto fatte durante l’anno scolastico, alle quali Mattia cercava sempre di sottrarsi, per non cadere vittima di qualche umiliante scherzo.  

Nel frattempo, nelle sue orecchie, Salmo cantava il suo brano S.A.L.M.O., facendogli tornare in mente l’episodio nel quale conobbe Massimo.  

Durante una Occupazione dell’istituto da parte degli studenti, alla quale avrebbe volentieri rinunciato, ci raccontò in seguito, si fece convincere da alcuni compagni a partecipare.  

Ligio ai suoi doveri di studente e cittadino, decise di lottare e manifestare in favore della sua istruzione, convinto che anche la sua partecipazione avrebbe avuto un peso nella società. Incerto e titubante fino all’ultimo, davanti alle porte d’ingresso, entrò nell’istituto dove tutti i ragazzini erano in fermento. Tutti erano estremamente eccitati per quella sensazione di controllo che avevano sulla loro vita, condita da quell’euforia che solo gli adolescenti riescono ad esprimere. I corridoi erano pieni di ragazzi e ragazze che ridevano e scherzavano, mentre si recavano verso l’aula magna per una grande ed importantissima riunione d’istituto.  

Passate alcune ore, seduto vicino ai suoi compagni di classe, dicendo poche parole e cercando di diventare invisibile, arrivò il momento di dover andare in bagno. Provò a tenersela più allungo che poteva. Sapeva che i bagni sarebbero stati pieni dei peggiori individui di tutto l’istituto. Quando capì che non avrebbe potuto più aspettare, si alzò da terra, dov’era seduto con le gambe incrociate ed uscì velocemente dalla grossa aula. 

Percorse il lungo corridoi che costeggiava la stanza. Si fermò davanti la porta chiusa dei servizi.  Dall’esterno sentì le risate e la puzza di fumo di sigaretta, provenire dall’interno. Tentennò prima di aprire, sperando in cuor suo che all’interno non ci fosse Francesco Cusimano, uno dei ragazzi di quarta, temuto da quasi tutti gli studenti. 

Francesco era alto, robusto, molto strafottente e con il suo accento da siciliano molto marcato, era lo stereotipo del bullo. Non perdeva mai l’occasione per dare schiaffi, schiaffetti, pacche, spinte e prese in giro, umiliando chiunque gli fosse a portata. Nemmeno nelle tre sezioni delle quinte, c’era qualcuno che osava mettersi contro di lui, nelle altre classi, figuriamoci. La nomea che si era fatto dentro e fuori dall’istituto lo vestiva a pennello. Sempre accompagnato da quattro suoi amici, due dei quali, studenti nella stessa scuola, né combinavano una più del diavolo, rischiando anche di farsi arrestare in più di un’occasione. Per questo erano tutti teppistelli riconosciuti, tra Chiavari e Lavagna.  

Mattia aprì la porta ed immediatamente attirò su di se gli sguardi di quattro ragazzi, tre dei quali erano Cusimano e i suoi due tirapiedi. 

L’accolsero subito con botte di sfigato e prese in giro infantili, che solo loro trovavano divertentissime.  

Mattia cercò di fare l’indifferente, provando ad ignorarli.  

Si voltò verso uno delle porte che divideva i Wc dal resto del bagno ed immediatamente gli arrivò sulla nuca uno schiaffo accompagnato da risate stupide. Il mio amico scelse il giorno sbagliato per rispondere ai tre teppistelli, anche per l’assenza dei docenti nell’istituto.  

Un: “brutti stronzi!” uscì dalla sua bocca senza rendersene nemmeno conto.  

Francesco non perse l’occasione, con uno scatto si spostò dal davanzale della finestra verso di lui, afferrandolo per il colletto del maglione, schiacciandogli la gola. Non era bloccato in una morsa mortale, ma il panico inondò il suo corpo, immobilizzandolo, come una lepre illuminato dai fari della macchina.  

Il bulletto iniziò a dare degli schiaffetti fastidiosi, sul viso a Mattia.  

Pochi secondi dopo, uno sciacquone venne tirato in uno dei cinque wc del locale dei servizi igienici. Massimo uscì da una delle porte, lamentandosi per quello che stavano facendo i bulletti.  

“Ragazzi lasciatelo stare,” la voce di Massimo era educata, ferma e decisa, non ci fu paura, né preoccupazione nel suo timbro. Cosa che gli altri ragazzi, non erano abituati a sentire dalle loro vittime. 

Francesco spostò subito l’attenzione sul ragazzo che aveva osato sfidarlo, lasciando la presa sul maglione di Mattia ma afferrandolo in un abbraccio, intorno al collo, tutt’altro che amichevole. Fu costretto a piegarsi per la stretta e ad annusare il fetido odore di sudore del giovane teppistello.  

“Tu vieni a dare ordini amia!” disse con un accento palermitano, Cusimano. 

“Come ti permetti!” fece eco uno dei suoi scagnozzi, provando a spingere Massimo che non si fece trovare impreparato.  

Spostò rapidamente le mani del suo avversario, non offrendogli più una superfice da spintonare, restituendogli la spinta con molto più vigore di quello che l’altro si aspettasse. Il ragazzino fu scagliato contro la porta di un wc, facendola sbattere verso l’interno. Il suo indietreggiamento, non si fermò finché, il mal capitato non si trovò a gambe all’aria in quello spazio angusto.  

Risate di scherno si alzarono dai restanti compagni, per l’accaduto. Come idioti risero dell’umiliazione, anche del proprio amico.  

Non Francesco. Lo fissava con aria minacciosa, pronto a colpire quello che non era ancora il mio giovane amico.  

In quel periodo Massimo, aveva iniziato da poco meno di un anno, ad allenarsi con la squadra di football, ed era ben abituato al contatto fisico, non lo temeva. Frequentava la terza B e faceva parte di una sessione differente, rispetto a quella di Mattia.  

Max era più acerbo fisicamente, rispetto all’inizio della nostra avventura. Doveva compiere ancora diciotto anni ma fisicamente era delle stesse dimensioni del capo dei bulletti. 

Francesco, si mise testa contro testa, cercando di occupare più spazio possibile nella stanza, allargando persino un po’ le braccia. Come i pavoni aprono la coda. Anzi, di più come, i gorilla che difendono il loro territorio. Dopo qualche secondo di sguardi colmi di testosterone, Cusimano disse una frase in dialetto siciliano stretto che penso nessuno capii, nemmeno i suoi amici probabilmente. Terminando con:  

“Questa te la faccio pagare Lagorio!” disse con disprezzo, “Amuninne!” concluse, uscendo dal bagno seguito dai suoi scagnozzi, senza ingaggiare nessuna rissa con Massimo. 

I ricordi svanirono, da quel giorno Massimo e Mattia diventarono amici, nessuno dei compagni capiva come quell’amicizia potesse funzionare, visto la differenza di interessi tra i due. 

Mattia attraversò con veloci falcate il carruggio dritto del centro di Chiavari, arrivando finalmente dal magazzino del nonno che si trovava in una strada secondaria vicino al cimitero cittadino. Dopo alcuni convenevoli, il robusto nonno gli spigò che avrebbero dovuto spostare della mobilia ed altri oggetti, da un magazzino ad un altro, fortunatamente vicini tra loro. Il nostro amico non si sentì la persona più adatta per il lavoro, ma per lui lo fece volentieri, adorava passarci il tempo insieme. 

Il nonno materno Federico Ravello, detto Tarsus di soprannome, allegro e sorridente, dal nome altisonante, fu sempre presente nella vita di suo nipote, confortandolo sempre quando ne aveva bisogno. Possedeva una piccola attività da rigattiere da quando Mattia era piccolo, ma davanti a se, aveva ancora pochi anni da aspettare, prima dell’arrivo alla pensione.  

Purtroppo dopo più dieci anni, il proprietario dei muri del fondo morì. Lasciò l’immobile ai figli che facendosi pochi scrupoli, vendettero la proprietà al migliore offrente, rischiando di lasciare il signor Ravello per strada. Non avendo più sua moglie, mancata prima della nascita di Matti, si ricavò uno spaziò del magazzino dove vivere, creando un appartamento openspace, in stile newyorkese.  

Fortunatamente, il signor Federico riuscì ad accordarsi con un simpatico vicino, per un fondo più piccolo dotato di un appartamento al piano superiore dello stabile. Tutto questo a non più di cinquanta metri da quello vecchio.   

Passare quella bellissima giornata chiuso insieme a carabattole e ammennicoli vecchi più di lui, tutti impolverati, riempendo scatoloni e fasciando con i giornali, lo deprimeva. Per fortuna suo nonno sapeva come prenderlo, forse meglio persino dei suoi genitori, facendogli tornare sempre il sorriso. 

La mattina passò velocemente, un pasto veloce preparato dal nonno e nuovamente al lavoro. Tarsus era eccezionale, quando lo conobbi personalmente, pareva che avesse le energie di mille uomini. Non dimostrava i suoi sessantasette anni, ma nemmeno cinquanta, se non fosse stato per qualche ruga sul viso e alcuni capelli troppo bianchi. 

Verso le diciotto, tutti gli oggetti più piccoli erano stati riposti negli scatoloni, restarono fuori i mobili, vecchi elettrodomestici e strumenti musicali che il nonno faceva finta di saper suonare, strappando sempre un sorriso al nipote. Mattia sembrava essere più stanco del nonno che si muoveva ancora con una grande scioltezza nei movimenti. Quando fu quasi al termine del lavoro, gli fu chiesto di andare a prendere scopa e paletta che si trovavano in uno sgabuzzino. In quel piccolo locale buio, su di una mensola impolverata, erano riposti alcuni libri. Uno attirò di più la sua attenzione. Sicuramente, le dimensioni imponenti e non usuali, gli fecero cadere lo sguardo su di esso. Un grosso tomo rilegato, con la copertina in quella che sembrava vera pelle, dalle dimensioni di un grosso Atlante, composto da almeno quattrocento pagine, giaceva dimenticato da tutti.  

Mattia ci passò sopra la manica della felpa per pulire il logo disegnato, ormai era già bella sporca, poca polvere in più non avrebbe fatto la differenza. Non riuscì ancora a leggere il titolo, la luce non era sufficiente. Uscì dallo scuro ripostiglio, facendo fatica a passare con il pesante libro in braccio, attraverso la soglia del piccolo locale che aveva la porta che non poteva aprirsi del tutto. All’esterno del magazzino, con quello che rimaneva delle ultime ore di luce della giornata, finalmente poté osservarlo meglio.  

Lavorate intarsiature delimitavano i bordi della copertina.  

Sicuramente molto antico e un po’ logoro, pensò potesse valere molto e si domandò come mai suo nonno lo tenesse riposto così male.  

Più lo osservò nelle sue mani, più si convinse che fosse un pezzo di valore.  

Sulla sua copertina fontale, vi era stato applicato un sigillo realizzato in quello che sembrava ottone. Di circa dodici centimetri di diametro, rappresentava due lettere “D”, incrociate tra di loro, come le maglie di una catena, parzialmente avvolte da un serpente. Non vi erano altre informazioni all’esterno.  

Mattia esitò nello sfogliarlo, come se si aspettasse che dentro ci fosse qualcosa che l’avrebbe aggredito. Si aiutò con un muretto di mattoni e cemento, per sostenere il peso del libro. L’avrebbe sfogliato delicatamente, cercando di non rovinarlo ancora di più di quanto lo era. 

Riuscì a stento ad osservare due pagine che gli parevano vuote e bianche. Qualcuno gli sfilò il libro di mano, richiudendolo alla svelta. Mattia non si aspettò il gesto, spaventandosi quando la sua concentrazione venne interrotta. Non lo sentì avvicinarsi, suo nonno lo fissò con una espressione severa e austera. Il suo inconscio scavò velocemente nella sua memoria, cercando di ricordarsi quante volte avesse visto sul suo volto, una tale ostilità ma non ne ebbe ricordo.  

Dopo pochi secondi che sembrarono durare un eternità, Il nonno Federico tramutò la sua smorfia severa, in uno dei suoi soliti sorrisi. 

“Lascia stare questo vecchio libro, e solo spazzatura.” Disse allontanandosi da lui, rientrando dentro il magazzino. Matti notò che ripose il grosso libro all’interno di un baule, vicino all’ingresso, pronto per essere trasportato nella nuova destinazione.  

Mattia fece finta di dimenticarsi del grosso tomo, dedicando il suo tempo a riempire altri scatoloni con innumerevoli cianfrusaglie impolverate. Nella sua testa però, non riuscì a levarsi dalla mente la vista delle pagine vuote e bianche. Oltre all’espressione adirata sul volto di suo nonno. 

Aspettò che il signor Federico andasse in bagno, per precipitarsi sul baule.  

“Prendere in prestito il libro…” ci raccontò in seguito a Massimo e me.  

Lo infilò in un vecchio e molto ampio zaino da campeggio, che si preparò qualche istante prima, elaborando il furto. Il tomo lo riempì tutto, entrando per un pelo al suo interno.  

Con pochi metri ed una manciata di secondi, appoggiò all’esterno del magazzino, dietro i bidoni della spazzatura, la refurtiva. Rientrò appena in tempo sulla soglia, quando arrivò l’ignaro Tarsus. Mattia improvvisò un plateale sbadiglio da sonno e stanchezza. 

Il nonno, dopo qualche battuta e simpatica presa in giro, lo invitò ad andare a casa, ringraziandolo per l’aiuto che gli aveva dato. Ricordandogli che erano quasi le 19:00 ed era già sera. Sua madre si sarebbe infuriata con lui, se avesse fatto fare tardi a cena al suo ragazzo. 

 Mattia notò che non menzionò la reazione spropositata, anche se composta, del nonno alla visione del grosso libro. Decise che non era quello il momento migliore per affrontare il discorso, sfruttando l’occasione, approfittò per andarsene con pochi e veloci convenevoli. Nascondendosi nella penombra della sera, recuperò di soppiatto lo zaino e ritornò a casa con veloci falcate, attraversando il centro di Chiavari. 

Mattia dopo essere tornato a casa, appoggiò lo zaino con all’interno il libro misterioso, ai piedi del suo letto nella sua stanza. Si precipitò a tavola, dove suo padre e sua madre, il Signore Ravello con la sua signora, lo stavano aspettando, per sua fortuna da pochi istanti.   

Appena ne ebbe l’occasione, si allontanò e rientrò nella sua stanza. Chiuse la porta appoggiando delicatamente la sua schiena contro di essa, fissando lo zaino chiuso.  

Si pulì con un lembo della felpa le lenti degli occhiali, dopo di che si inginocchiò accanto alla borsa. Estrasse il grosso libro e lo appoggiò sul letto. 

Sfogliò avidamente le pagine in una direzione e nell’altra, cercando una parola, un simbolo, ma niente, tutte pagine in bianco. 

Perché suo nonno fu così geloso e protettivo, per un libro sul qual non vi era scritto nulla, Mattia non riuscì a levarsi quella domanda dalla testa. 

Lo richiuse appoggiandoci il gomito sopra, sostenendo il peso della sua testa con la mano sinistra, vagando nei pensieri. 

Senza saperlo, formulando nella sua testa numerose domande, inconsapevolmente il mio amico riattivò qualcosa. Qualcosa sepolto da anni.  

Pochi istanti dopo, una luce filtrò dalle pagine del libro ancora chiuso, illuminando gradualmente il letto sul quale era appoggiato. Mattia, strabuzzando gli occhi per la meraviglia, incuriosito aprì a circa metà il grande tomo, liberandone l’intensa luce che illuminò la stanza. 

Dopo una manciata di secondi, la luminosità perse intensità, lasciando impresse lettere e parole, scritte in italiano, sulle pagine precedentemente bianche.  

Sfogliò velocemente da parte a parte il grosso tomo, scoprendo che tutto il libro era interamente scritto. Cercò anche il nome dell’autore, ma non trovò nulla. 

Non gli restò altro che mettersi comodo sul letto ed iniziare a leggere.  

Quello che vi trovò scritto, era la storia perfetta, la fonte d’ispirazione che stava cercando da tempo.  

Dal momento in cui si appassionò ai giochi di ruolo, nacque in lui la voglia e il desiderio di crearne uno tutto suo. Un mondo o addirittura un universo, governato da leggi create da lui. Voleva sentirsi come se avesse vissuto in Fabbricanti di Universi, di Philip J. Farner, uno dei suoi libri di fantascienza preferiti. Quello che gli era sempre mancato, sosteneva lui, era una storia con la “S” maiuscola, che avrebbe dato vita a innumerevoli personaggi con straordinarie abilità. 

Nella totale immersione nel racconto, quella sera si dimenticò persino dei suoi migliori amici, non partecipando al solito scambio di messaggi, preso com’era dalla lettura. 

Si divorò le pagine, finché a circa un terzo del libro trovò la prima illustrazione. Un disegno bidimensionale, realizzato a carboncino, rappresentante un Sistema Solare simile al nostro.  

Una stella al centro di nome Drisal, imprigionava nella sua attrazione gravitazionale, sei pianeti in orbite particolari, forse addirittura impossibili, con le leggi fisiche del nostro universo. Oltre a loro c’era disegnato anche un anomalo vortice a spirale, simile ad un tornado, rappresentato vicino al Sole. 

La spirale, o quello che poteva essere uno squarcio dimensionale, gli fu dato il nome di Fonte del Male.  

Matti inizialmente non capì, se quell’anomalia a forma di spirale, potesse avere la forza di trascinare tutto il sistema Solare al suo interno, come avrebbe fatto un Buco Nero.  

Anche se fosse stato un’altra la ragione, intese subito la grave minaccia che incombeva su tutte le forme di vita, che popolavano i mondi.  

Abbandonò le supposizioni, per continuare a scoprire particolari e dettagli, dall’illustrazione.  

Allontanandosi dalla stella, il primo pianeta con orbita più vicina ad essa era Zark, all’apparenza simile alla nostra Terra, ma con meno acqua in superfice. Dopo di che, c’era una delle prime anomalie, due pianeti che condividevano la stessa orbita. Contrapposti l’uno di fronte all’altro, ruotavano intorno a Drisal. Mnemesia e la Terra, l’astro gemello del nostro pianeta, ruotavano intorno alla stella, in una danza perfettamente sincronizzata da migliaia di anni. 

Ad una distanza relativamente vicina, due grossi globi chiamati Redias e Defcom, rappresentavano un’altra grossa anomalia. Percorrevano entrambi le proprie orbite, incrociandosi intorno alla stella, creando una grossa X. Il primo pareva di più un grosso asteroide, mentre l’altro fu rappresentato come un grosso pianeta roccioso, probabilmente con una gravità molto superiore alla nostra.  

Sull’orbita più esterna, il più piccolo dei sei, Master Five. La sua rivoluzione era indubbiamente la più lunga, superiore al doppio, rispetto a quelle dei due pianeti con orbita incrociata. 

Mattia si chiese se la rappresentazione mantenesse una qualche minima proporzione nella realtà. Perché in tal caso, l’unico ragione per cui quel Sistema Solare, non fosse ancora collassato, era grazie alla forte magia che lo controllava.     

Improvvisamente sotto il suo sguardo attento, il disegno si animò, dando vita alla rotazione dei pianeti intorno ai loro assi ed intorno a Drisal, la loro stella.  

Impossibile, Mattia sfogliò la sottile pagina voltandola e piegandola leggermente, in modo compulsivo e ripetitivo. Cercò una qualsiasi presenza, di dispositivi elettronici, o fili di cablaggio nelle rilegatura, ma non trovò nulla da lui riconoscibile, se non il bel sigillo applicato sulla copertina esterna. 

Incredulo e quasi spaventato, si alzò in piedi di scatto, lasciando il libro come se bruciasse al tatto, quando non riuscì a trovare spiegazioni possibili e razionali.  

Passeggiò nervosamente avanti ed indietro nella piccola stanza, illuminata solo dalla lampada da tavolo, posta sulla scrivania, pensando a cosa avrebbe dovuto fare di quel libro.  

La sua curiosità e quello strano senso si attrazione verso di esso, non gli diede altra alternativa, se non quella di andare avanti e cercare di scoprire il più possibile. 

Come aveva immaginato, il grosso pianeta di nome Defcom, insieme al grosso asteroide, ruotavano diagonalmente, senza mai passarsi vicino, mantenendo la stella sempre tra di loro. Accadeva la stessa cosa nell’orbita della Terra e Mnemesia, separate dalla stessa stella, ma su piano orizzontale come Zark e il lontano piccolo pianeta. 

Alzò lo sguardo, come a volere immagazzinare indelebilmente, quell’immagine e meraviglia nel vedere qualcosa di così strano.   

Si rimise a guardare il disegno, osservò la Fonte del Male, lo strano vortice rappresentato vicino a Drisal. Non sembrava influire sulle rivoluzioni all’interno del Sistema Solare. Il suo compito non era quello di attirare verso di se la materia, ma quello di essere la porta che dava la possibilità al male di uscire. 

La sua osservazione fu distratta dal lento ruotare di Master Five, il più lontano dei sei astri in orbita. Ne seguì per un po’ la traiettoria e il suo movimento lento, perfettamente sincronizzato con gli altri, come il preciso movimento degli ingranaggi degli orologi.  Gli ricordò anche la rappresentazione grafica di un atomo, con il protone al centro rappresentato dalla stella, insieme a i suoi elettroni, i pianeti. 

La raffigurazione in movimento, rubò un’altra mezz’ora del suo tempo, affascinato com’era da essa. Si impose di continuare, perché chissà quali altre meraviglie avrebbe scoperto, perciò chinò la testa e si rimise a leggere. 

Troverai qui tutte le novità su questo libro

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Alessio Guglieri
Sono alla mia prima esperienza letteraria,
Ho 43 anni e vivo a Sestri Levante, una bellissima cittadina nel levante ligure nella quale lavoro come manutentore di Impianti di riscaldamento da quasi 20 anni.
Ho conseguito il diploma come Tecnico delle Industrie Informatiche nel 2001.
Cintura nera 1° Dan e qualificato al secondo posto al torneo per il titolo nazionale nel 2006.
Ho partecipato e vinto a diversi tornei, tra i quali il Drago d’Inverno.
Prima d’iniziare ad insegnare, ho arricchito le mie conoscenze, lavorando con altri stili e discipline, come la Boxe, Lotta Libera, Muay Thai ad esempio.
Sono un grande appassionato di Fantasy, Manga, Anime e giochi di ruolo fin giovane età.
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