I GIUDICE
“Polvere eravamo, polvere siamo e polvere ritorneremo”, così veritiera risuonò questa frase nel momento della verità, nel momento dello sconforto. “Giudice”, il motivo di questo nome mai lo capii, il mio vero nome rimase solo un sussurro nel vento.
La mia infanzia fu piuttosto normale, nemmeno condita da eventi memorabili, speciali uno sicuramente; il mio Marcus, amico d’infanzia e di vita, figlio di un amico patrizio dei miei genitori. Marcus fu per me una sorta di spirito guida, riuscì in ogni circostanza a capire il mio animo e comprese sempre quello che pensai. Con la maggiore età, presi dal fervore della giovinezza, decidemmo di arruolarci come legionari romani per intraprendere la carriera militare. Le nostre famiglie furono orgogliose della nostra decisione, specialmente la mia, visto che la maggior parte dei miei avi furono ottimi generali e, addirittura, strateghi. La loro fama raggiunse pure le orecchie degli imperatori più prestigiosi e, per ciò, vennero premiati con i maggiori encomi e medaglie. Io già dall’addestramento mi resi conto di non essere tagliato come soldato, nel combattimento corpo a corpo ero mediocre, l’arte della spada lontana dalla mia indole e la mia resistenza fisica come quella di console in pensione. Marcus fu l’esatto opposto di me; eccelse in tutti gli esami di prestanza fisica, la sua tecnica di spada imbattibile e la sua resistenza gareggiava solo con i semidei. Venne soprannominato dai compagni d’arme “Enea” per la sua empietà e senso del dovere, nonché alcuni affermavano che fosse discendente di qualche stirpe eroica latina. Così passarono le nostre giornate di addestramento, io che faticai a giungere ogni volta a fine giornata e Marcus, al contrario, non versò mai una goccia di sudore. Una sera, dopo una lunga sessione di spada, Marcus e io ci sedemmo vicino alla mensa della caserma per rilassarci dalla lunga giornata. Ad un tratto Marcus iniziò la conversazione “Lo so cosa stai pensando ma ti correggo in anticipo, il tuo estro è limitato nell’addestramento perché so che sei destinato a grandi cose”; io risposi “Beh, se così la pensi, spero che quel giorno giunga presto, ma non troppo per non vederti generale di una grande armata, il Grande Marcus, trombe e incitamenti per l’arrivo del grande eroe che giunge a Roma vittorioso”. Marcus mi guardò “Non mi sembra che l’addestramento di oggi sia stato tanto sfiancante visto che hai ancora la lingua lunga”, io dissi “Come disse un saggio, conosci te stesso e avrai la chiave, in quanto non ti rendi ancora conto del prestigio che stai ottenendo; io, invece, mi sento come schiacciato dalla potenza del fato, come se fossi tormentato da qualche prova che devo superare, quasi come Ercole”. Marcus rispose “Sai, non so se sia così oppure no, ma so di per certo che quando succederà saprai come fare. Vedo in te una qualche sorte di beltà, di purezza che non vedo in nessun altro, una sorta di potenza spirituale che prevarica i monti e gli oceani, che neanche lo sguardo riesce a percepire. In fondo è giusto così, non siamo altro che anime sbandate che plasmano il loro destino giorno per giorno, che non sanno del loro futuro in anticipo, ma ciò che conta è la scelta, quella in cuor mio è la chiave dell’esistenza, la chiave dell’anima. Una scelta che non è costretta o sofferta porta al giusto giudizio ed è questo che ti caratterizza; hai scelto questo addestramento nonostante la goffaggine in quanto il tuo animo vede che c’è un qualcosa oltre il sudore e la fatica ma ancora non sai cos’è”. Fu uno dei discorsi più seri e profondi che mi fece fin dai tempi dell’infanzia, sembrò per un attimo come se il suo animo fosse stato sostituito da una sapiente forma angelica che incantò la mia persona con quel discorso. Suonò la campana del coprifuoco e capimmo che era tempo di coricarsi, ci salutammo e andammo ognuno alla propria tenda. Durante quella notte mi capitò in sogno una figura con il volto coperto e vestito come un mendicante. Inizialmente ci fissammo per qualche minuto senza proferire parola, poi lui iniziò a parlare “Mortale, giunto sono dalla terra celeste ed eterna,
ricca di verde e frutti del divino. La mia missione implica il riferimento di un messaggio datomi dall’Altissimo e Onnipotente; un giorno di sofferenza giungerai in un villaggio in preda alla follia e ricoperto dalle viscere dei tuoi compagni. Qui incontrerai un tuo antenato, il Principe, colui che sfidò il Supremo e poi divenne un suo discepolo. Non aver paura di lui, ti guiderà per ciò che ti aspetta e ricorda bene le sue parole, che siano di monito per il momento che verrà”. Mi svegliai madido di sudore, stordito dall’episodio e pieno di domande: chi è costui? Che cosa voleva da me? Chi è questo Principe? Troppe domande per la mia povera mente assonnata. Decisi di tornare a dormire e di lasciar perdere quel sogno criptico. Mi risvegliai la mattina seguente con un gran mal di testa, mi vestii e mi recai al centro dell’accampamento per il saluto iniziale. Vidi Marcus raggiungermi al centro dell’adunata, fu pieno di energie e conciliato dal sonno, mi guardò “Gli spiriti dei tuoi avi sono venuti a perseguitarti la notte scorsa per caso?
…Il tuo aspetto spaventerebbe persino Ade in persona”. Gli risposi “Il sogno che ho avuto la notte scorsa è stato a dir poco folle… In breve, un essere celeste con il cappuccio è venuto a riferirmi un messaggio dell’onnipotente dicendo che mi attende una prova ardua e, per superarla, devo essere fermo nella mia decisione”. Marcus mi fissò “Difficile da interpretare ma il dubbio principale è il perché abbia scelto te e non qualcun altro”. Fissai il vuoto per alcuni minuti in cerca di qualche indizio che mi potesse aiutare a comprendere il tutto; alla fine mi arresi all’evidenza che bisognasse dare tempo al tempo e proseguii la mia giornata come al solito. Terminato il nostro addestramento, io e Marcus venimmo assegnati al plutone del Nord, terre aride e piene di popolazioni barbare, ostili ai visitatori e che causarono scompiglio e devastazione nei nostri accampamenti di confine. Quello al Nord fu un periodo duro, principalmente per il clima ostile, per la mancata possibilità di coltivare ortaggi e la selvaggina in certi periodi scarseggiò. Mesi si susseguirono dall’inizio dell’insediamento mio e di Marcus, i compagni d’arme furono bonari nei nostri confronti e il nostro rapporto con loro fu molto solido. Una sera io fui in pattugliamento nelle mura esterne dell’accampamento e mi tornò alla mente il sogno che feci tempo addietro sulla mia “prova”. Il senso delle parole della creatura celeste mi attanaglia la mente in quel preciso istante “Cosa centro io con tutto questo…Sono solo un semplice romano che intraprese la carriera militare tempo addietro e ora svolgo solo gli ordini dei miei superiori”; ad un tratto vidi in fondo alla vallata che si estendeva intorno all’accampamento una figura che mi fissava. Fui preso dal panico e, indeciso se dare l’allarme o meno, scelsi di rimanere ad osservare la losca figura per diversi minuti. Era alta e ricoperta da un mantello scuro, in mano teneva una spada che emetteva una luce incantevole, quasi divina. Quando si accorse che la stavo fissando, si voltò e scomparve nelle tenebre…un’altra stranezza che non riuscii a comprendere al momento e, preso dallo sconforto, decisi di abbandonare ogni ragionamento perché compresi che mi avrebbe procurato solo un gran mal di testa. Una settimana dopo quell’episodio, un messaggero ci avvisò di prepararci ad un’invasione di barbari del Nord, disse che il loro esercito era molto vasto e forse superava il nostro in termini di unità. Il generale dell’accampamento disse che non era importante il numero di unità “ciò che conta in una battaglia sono la disposizione degli uomini e la qualità della cavalleria, quest’ultima rappresenta la chiave vincente di ogni battaglia”. Da quel giorno avvennero i preparativi per la battaglia che durarono in totale cinque giorni, dopodiché il generale ci fece radunare e disse “Soldati, dovete essere fieri di questi momenti, perché in questi eventi viene testata la lealtà e il cuore di un soldato, se è tagliato per il campo di battaglia o se è solo un misero codardo con la coda tra le gambe. Mostrate il vostro coraggio in questa battaglia, fatelo per la vostra famiglia, la vostra patria e per la ricompensa che vi spetta nell’aldilà, una vita sconfinata e gioiosa negli sterminati Campi Elisi, l’eden latino per antonomasia”. Il giorno della battaglia giunse, ci disponemmo ai piedi di una collina, con la fanteria in prima fila e la cavalleria nascosta ai lati e vennero predisposte le macchine da guerra dietro la fanteria. Catapulte di diverse fattezze e specie furono presenti sul campo di battaglia. La prima fila di fanteria fu armata di lance e scudi, disposta secondo la tecnica spartana della
falange oplitica che rendeva impenetrabile la difesa. La seconda si compose da arcieri addestrati al tiro lungo e il resto dell’esercito soldati con spade acuminate e scudi. Fu presente una seconda fila di arcieri vicino alle catapulte, armata di frecce intrise di una sostanza chiamata olio che permise di infiammare le punte e infliggere enormi danni all’avversario. Dopo circa un’ ora dal nostro arrivo giunse l’esercito nemico; si radunarono in schiere orizzontali prive di qualsiasi strategia, solo la seconda fila comprese uomini a cavallo, mentre il resto dei guerrieri si armò alla bell’e meglio. Sul viso presentarono dei segni applicati con un unguento, probabilmente simbolo di battaglia, e i loro sguardi furono di odio puro e selvaggio, animalesco quasi. Il momento prima della battaglia fu teso, nella mia parte tutti si guardarono perplessi circa i risultati ma tutto ciò svanì quando un guerriero barbaro si accinse a suonare la tromba; fu l’inizio della battaglia. Vidi il cielo scuro di frecce e i soldati si diedero alla carica con urli ed enfasi, io addetto a caricare la catapulta assistetti al tutto in cima alla collina. Ad un tratto soldati romani e guerrieri barbari sfregano le loro spade per uccidersi l’un l’altro; nonostante la prima fila con la falange oplitica, non considerammo la furia selvaggia dei barbari che permise loro di scavalcare la barriera umana e massacrare i soldati. La fanteria in generale continuò a combattere imperterrita; colpo su colpo, fendente su fendente, entrambe le parti ne accusarono. I morti aumentarono man mano con l’intensificarsi della battaglia, i due eserciti sembrarono essere in pareggio. La sorte però ebbe altri piani per noi. Da un momento all’altro, dai lati della collina opposta alla nostra apparvero ondate di altri barbari con bandiere diverse, provenienti da altre tribù che decisero di unirsi per combattere gli invasori. In quel instante volsi il mio sguardo verso il comandante e la sua espressione fu unica; terrore misto impotenza, si rese conto che la cavalleria sarebbe stata spazzata via se entrata in campo e, dato che la fanteria era compromessa, non gli rimase altro che battere ritirata. Così ordinò ad un soldato di suonare la tromba della ritirata; i soldati impegnati nella battaglia si fermarono e rimasero perplessi dal comando. Seguirono le direttive e batterono in ritirata, pensarono che il peggio fosse ormai giunto ma si sbagliarono. Mi accorsi che stavano giungendo guerrieri barbari dai boschi dintorno e capii che eravamo accerchiati. Il comandante, preso dalla disperazione, fece un urlo di incitamento e spronò i soldati a fronteggiare il nemico. In tutto quel trambusto mi ricordai che Marcus era in prima fila e così, preso dalla foga, corsi nel mezzo della battaglia per trarlo in salvo. Lo vidi disteso per terra, sanguinante, con una freccia nel costato e uno sguardo che suggeriva solo la ricerca della morte. Mi affrettai a raggiungerlo, noncurante dei pericoli che stavo passando; quando lo raggiunsi mi affrettai ad appoggiarlo sulla spalla per sollevarlo da terra. In quel momento capii di poter fare solo un’unica cosa: fuggire. Con Marcus in spalla, usai tutte le forze rimastemi in corpo per uscire dalla battaglia, corsi più che potei fino a raggiungere l’inizio del bosco laterale. Qui decisi di lasciare Marcus appoggiato al tronco di un albero per riprendere fiato. Marcus mi guardò “Guardati, se non sei stato un eroe in questo momento nessuno lo è mai stato nella storia “, risposi “L’importante ora sei tu, hai una freccia nel costato e le tue possibilità di uscita da questa situazione solo basse…dobbiamo trovare un villaggio vicino per farti visitare da un guaritore”. Ripresi Marcus in spalla e ci dirigemmo in linea retta alla ricerca di anima viva; percorso un acro di terra intravidi del fumo e capii che la meta non distava molto. Entrambi fummo sorpresi dalla situazione e proseguimmo più imperterriti che mai. Giunti in prossimità del villaggio, gridai in cerca di aiuto e, dopo poco, venimmo raggiunti da un contadino che viveva in quei pressi. Guardai il cielo e ringraziai gli dei per questo evento, ma quando volsi lo sguardo verso Marcus, mi accorsi che respirava a malapena. Gli dissi “Non puoi lasciarmi ora, dopo tutto che abbiamo passato, vissuto e condiviso. Ti porterò in salvo, dovessi attraversare un intero campo di barbari e demoni, patire fame e sete”, alzò la testa “O Giudice, ora ho compreso questo nome, solo ora ho compreso il messaggio del sogno. Fidati del tuo animo e non ti tradirà. Cosa sono io se non sabbia nel deserto infinito dell’esistenza, una goccia nel mare dell’eternità, una stella nella costellazione di Orione. Tutto ciò che posso comprendere è solo ciò che posso vedere, la mia visione limitata
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