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Eve – Il risveglio dei ricordi dimenticati

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In un prossimo futuro dominato da forti tensioni sociali e sconvolto dai cambiamenti climatici, si svolge la storia di Eve, una bambina di dodici anni che ricorda tutto: ogni frase letta, azione compiuta e immagine vista. La sua memoria si spinge sempre più indietro nel tempo fino ai ricordi dei suoi antenati e a reminiscenze di istinti animali e sensazioni primordiali. La straordinaria memoria di Eve le dà una grande consapevolezza di sé e della realtà ma la rende anche una persona diversa, sola e tormentata. In un mondo autoritario e ignorante, improntato sul revisionismo storico e che ha dimenticato le proprie origini, la memoria di Eve rappresenta una pericolosa anomalia da estirpare, una minaccia per le classi dominanti. La ragazza, perseguitata dai regimi al potere, vivrà una serie di rocambolesche avventure nel tentativo di ridare la memoria perduta all’umanità.

Eve – Il risveglio dei ricordi dimenticati

CAPITOLO I
Ricordo tutto, esattamente tutto.
All’inizio erano solo sensazioni: quiete, serenità, appagamento. Non c’era un sotto e non c’era un sopra, fluttuavo senza peso e disponevo di tutto ciò di cui avevo bisogno. Suoni rassicuranti e una tenue luce popolavano il mio spazio. Forse era limitato e semplice, ma era un bel mondo. A volte vorrei tornarci.
Poi le cose cominciarono a cambiare. Le morbide pareti intorno a me diventarono sempre più strette. Gradualmente mi ritrovai con le ginocchia ripiegate e le braccia quasi bloccate. A ripensarci oggi può sembrare strano, ma non avevo paura, anzi, imprigionata in quegli spazi angusti, mi sentivo al sicuro.
Quando accadde era un giorno come gli altri. Suoni e rumori lentamente si trasformarono in urla, un trambusto al quale non ero abituata scosse tutto intorno a me. Sensazioni di paura cominciarono a diffondersi nel mio corpo. Presto la paura si trasformò in terrore. Tutto ciò che fino ad allora avevo conosciuto stava crollando, si sfaldava. Forti pressioni mi comprimevano da ogni lato. Un terrificante senso di distacco, un’angoscia crescente e incomprensibile s’impadronirono di me. Le pressioni erano ormai intollerabili, mi obbligavano a spostarmi. Tutto mi sospingeva verso un interminabile tunnel: dovevo e volevo proseguire. Poi vidi una luce, arrancai spasmodicamente per guadagnarmi l’unica via d’uscita, precipitai, sentii il vuoto. Un’imponente massa d’aria inondò i miei polmoni, un dolore lancinante invase ogni cellula del mio corpo. Gridai: bruciavo, il mio corpo bruciava. All’improvviso il mio mondo era sparito, dissolto nel nulla. Erano rimasti solo il fuoco dentro e un grande freddo fuori.

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Una forza sconosciuta e smisurata attirava ogni centimetro delle mie membra verso il basso. Ero stata catapultata in uno spazio nuovo, immenso e misterioso. Il dolore fisico gradualmente andava scemando, ma il senso di angoscia sembrava non avere fine. Ricordo che passò un tempo interminabile prima che potessi sentire di nuovo la rassicurante vicinanza del mio mondo. Poi finalmente odori e suoni familiari risuonarono nel mio corpo. Ritrovai la quiete, ma tutto era diverso: ormai ero fuori.
Era l’8 giugno del 2020 quando nacqui nel reparto di ostetricia dell’ospedale di Bordeaux. I miei genitori mi chiamarono Eve.
Mi abituai agli spazi infiniti. Il problema erano i mostri che abitavano l’immenso ambiente esterno; il più terribile era quello che divorava il mio stomaco. Ricordo la sensazione di panico per quei lunghissimi momenti di fame. Fortunatamente il mostro si dissolveva nel nulla quando riuscivo a ricollegarmi al mio vecchio, piccolo mondo. Ricordo la prima volta che ho assaporato il latte materno, il suo squisito sapore e il mostro della fame che piano piano scompariva. Ricordo la fatica per combattere la forza di gravità: le testate e le ferite contro le dure superfici spigolose. Ricordo la gioia che provavo ogni volta che mi avvicinavo alle morbide rotondità del corpo di mia madre e sentivo quegli odori, che sempre mi rassicuravano e scacciavano ogni paura.
Spesso penso che non sia piacevole ricordare tutto; vorrei essere come gli altri. Avrei preferito che tante memorie finissero nell’oblio: soffro di claustrofobia, probabilmente per il ricordo del parto; la minima sensazione di appetito fa riaffiorare nella mia mente le angosce di quando, lattante, disperavo per avere una poppata. Ogni volta devo controllarmi per non cadere nel panico. Per non parlare degli altri problemi causati da questa memoria che non scorda nulla, neanche i ricordi più sgradevoli. Per riuscire ad andare avanti li tengo relegati in remoti comparti del mio cervello. Non è facile però; a volte riaffiorano e, quando succede, una sconfinata tristezza cala su ogni cellula del mio corpo come una fitta nebbia su un isolato casolare sperduto nelle campagne. E poi sono sola, ho la sensazione che tutti abbiano paura di quello che penso e che dico. Mamma cerca di nascondere la sua sorpresa per le mie frasi, ma non ci riesce molto bene. Anche lei è scioccata e preoccupata per questa strana figlia.
Ho una disfunzione riconducibile a una forma molto particolare di sindrome ipertimesica. In realtà sembra che nessuno dei casi fino a ora osservati sia comparabile al mio. Il dottor Hans Schulz, che mi ha seguita fino all’età di sei anni, sosteneva che la mia patologia fosse diversa dalle altre descritte in letteratura. Lui la chiamava sindrome ipertimesica di Schulz, assegnandosi il merito di averla scoperta. Per quel che ne so è l’unico caso al mondo: sono unica e sola, bella fortuna!
A nove mesi parlavo correttamente e a tre anni avevo imparato a leggere. Divoravo libri e ne ricordavo ogni frase. Mi domandavo come potessero gli altri non ricordare ciò che avevano fatto. A me sembrava normale leggere e memorizzare ogni parola, compiere un’azione e ricordarne tutti i dettagli, osservare un paesaggio e poterne descrivere ogni caratteristica. Perché non avrei dovuto ricordare ciò che facevo? I miei genitori ne parlarono al pediatra, lui ne parlò con i suoi superiori, questi con le autorità scolastiche e governative e ben presto cominciarono le visite e le analisi.
Mi ritrovai a eseguire noiosi test con psicologi, agenti dei servizi sociali e con il dott. Schulz. “Brava la nostra piccola Eve” mi dicevano ogni volta, dopo ore di innumerevoli stupide domande ed esercizi di memoria. Fingevano di essere cortesi, ma i loro occhi famelici tradivano un’insaziabile brama di scavare dentro di me. Avevo terrore di quegli sguardi. In seguito fu anche peggio, perché cominciarono le analisi nei laboratori dell’ospedale: odiavo andarci. Ricordo l’odore dei disinfettanti in quegli infiniti corridoi sotterranei, la fredda luce bianca che invadeva e congelava l’aria stantia. A volte, dopo avermi fatto sdraiare su un lettino, mi iniettavano un sedativo: cercavo di resistere quanto più potevo, ma quasi sempre perdevo quella battaglia contro un nemico invincibile e, senza che me ne accorgessi, il sonno aveva la meglio. Mi risvegliavo con un gran mal di testa, già in auto, sulla via del ritorno a casa, quando la luce dorata del tardo pomeriggio ormai avvolgeva ogni cosa. Una volta riuscii a rimanere sveglia, e fu terribile: ricordo che mi portarono in una stanza piena di macchinari, collegarono alla mia testa novantanove sensori e tutti insieme, medici, militari e uomini in giacca e cravatta, si misero a osservare grandi monitor appesi alla parete, parlottando tra loro. Mi sentii profanata, come se mi stessero entrando nel cervello. Io non potevo fare nulla per impedirlo.
La mattina del 2 novembre 2026 gli assistenti sociali vennero a prendermi a casa: viaggiammo per oltre due ore e arrivammo in un posto nuovo. Era un grande edificio con piccole finestre e, tutto intorno, una possente cinta muraria; sembrava una specie di caserma. Non so cosa accadde in seguito, perché di quel giorno non ricordo assolutamente nulla, se non che, prima ancora di varcare la soglia d’ingresso, mi fecero un’iniezione e un sonno invincibile si impossessò della mia coscienza. Questo rimane uno dei pochi punti oscuri di tutta la mia vita. Sicuramente avvenne qualcosa di terribile e importante che cambiò la mia esistenza. Mi risvegliai in un’auto, era tardo pomeriggio del giorno successivo: ero rasata a zero, il cuoio capelluto mi prudeva; sul braccio sinistro avevo una ferita, bruciava come fossi stata toccata da lava incandescente. Accanto a me la mamma piangeva disperata; alla guida c’era Paul, un amico di papà. Lui non era con noi. Da allora non l’ho mai più rivisto. Dopo quel giorno per un intero mese soffrii di terribili mal di testa: non riuscivo a pensare, a tenere gli occhi aperti, vomitavo qualsiasi cibo ingerissi. Furono giorni duri, mamma era molto preoccupata per me e, penso, disperata per papà. Poi lentamente i mal di testa e le nausee passarono. Mamma invece non è mai più tornata la stessa.
Era bello vivere a Sisteron con papà e mamma: avevo degli amici, la mia stanza, un giardino con l’erba verde. Passavo ore in quel prato. Se chiudo gli occhi lo rivedo; sento il profumo intenso di erba appena tagliata. Da quel maledetto 2 novembre abbiamo dovuto lasciare tutto: casa, amici e anche papà. Mia madre non mi ha mai raccontato cosa gli sia successo, presumo che non lo sappia neppure lei con certezza. L’ipotesi più probabile è che sia morto; in caso contrario sarebbe sicuramente tornato da noi. Mi voleva un bene infinito papà, avrebbe dato la vita per me e mamma e temo che l’abbia fatto davvero. Penso che tutto questo sia accaduto a causa della mia malattia, ma non ne capisco il motivo. Mamma dice che io non c’entro niente con la scomparsa di papà, ma io so che non è così. Spero che un giorno mia madre mi racconti la verità.

26 giugno 2019

Evento

Biblioteca Civica A. Arduino Via Cavour 31 - Moncalieri Tra scienza e fantascienza: presentazione del romanzo Eve – Il risveglio dei ricordi dimenticati. Cristian Carlone, traduttore e conoscitore di letteratura fantastica, dialogherà con l'autore. presentazione del romanzo Eve
20 maggio 2019

Evento

Genova, Circolo 1° maggio - Salita San Nicolò 9R (ingresso da Corso Firenze) Tra scienza e fantascienza: presentazione del romanzo “Eve – Il risveglio dei ricordi dimenticati” tra scienza e fantascienza

Commenti

  1. (proprietario verificato)

    Originale e attuale
    Bella l’idea di una memoria che abbatte le barriere spazio-temporali.
    Attuali le tematiche correlate a questa idea: dall’importanza della memoria storica al bisogno di una riconciliazione con le nostre origini.

  2. (proprietario verificato)

    Accattivante e intelligente. Se questo è il teaser aspetto il prossimo episodio !!

  3. cristian1964

    (proprietario verificato)

    “Incipit” decisamente accattivante e che cattura l’attenzione. L’idea di base è affascinante e fornisce aspettative per un proseguimento del libro. Attendo la pubblicazione con trepidazione.

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Giovanni Torchia
è nato a Pinerolo (TO) nel 1966; nel 1990 si è laureato a Genova in Scienze Naturali. Da allora ha lavorato come biologo marino in Italia e all’estero nell’ambito di progetti nazionali e programmi internazionali e ha vissuto tre anni in Tunisia. Dal 2009 lavora a Torino per una società internazionale di consulenza ambientale dove si occupa di grandi progetti di monitoraggi marini e di studi sulla biodiversità. Ha pubblicato numerosi articoli scientifici e divulgativi sull’ecologia e la biologia. Eve. Il risveglio dei ricordi dimenticati è il suo romanzo d’esordio.
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