“Hai detto che ti piace Yana, allora perché ti nascondi? Così arriviamo tardi,” disse, mentre lo cercava nell’armadio a muro, sotto al letto disfatto, dentro il bagno… niente. Non era neppure in camera sua.
Appena si voltò per uscire dalla stanza, sobbalzò dallo spavento.
Il ragazzino se ne stava sulla soglia della porta in silenzio, a fissarla con i suoi grandi e magnetici occhi dal taglio felino. La luce che gli bagnava il delicato viso abbronzato, accendeva l’azzurro delle sue iridi di un colore quasi irreale. Puro turchese, come le acque dei laghi gemelli di un ghiacciaio. I lucenti capelli biondo platino, invece, erano come al solito scarmigliati e gli ricadevano sulla fronte. Le mani nascoste dietro la schiena.
“Mia Signora nonna,” il tono solenne e un profondo inchino. “Lei sarà la prima a contemplare la lucertola Vitruviana creata da me, Arkel da Oia!” e con un ampio sorriso che scoprì i grossi incisivi a finestrella, le porse una tavoletta. Sopra c’erano inchiodate alcune lucertole fatte a pezzi e poi ricomposte come a volerle crocifiggere in una macabra seduta d’agopuntura. Una manciata di spilli da cucito tenevano ferme le parti. Comprese le budella penzolanti.
Caterina sentì la nausea salirle in gola mentre fissava l’orripilante puzzle con una smorfia che le storse la bocca e marcò le innumerevoli rughe che le striavano il viso.
“Come ti è venuta in mente questa cosa?” la voce soffocata dallo sgomento. Lo sguardo le si andò a posare sulle ditate di sangue che imbrattavano l’ampia maglietta gialla e lilla che ricadeva fino al bacino di Arkel.
“Yana ha detto che devo ispirarmi agli artisti del passato appartenenti alla mia stirpe.”
“Dubito che Leonardo da Vinci abbia mai fatto uno scempio del genere.”
Arkel spense il sorriso di botto.
“Lui faceva a pezzi la gente per studiare l’anatomia umana. Dovresti saperlo tu che sei nata nella sua epoca”, disse, abbassando la tavoletta che ricadde sulle esili gambe nude. Una zampa di lucertola rotolò tra i suoi piedi scalzi.
“Anche se ho più di due secoli non significa che sono nata nella sua epoca, angelo mio. E lui non le uccideva le persone, casomai riesumava la loro salma,” rispose, cercando di mantenere un tono imparziale. “Le hai trovate già morte queste bestiole? Non le hai uccise tu? Dimmi che non lo hai fatto di nuovo…”
In risposta Arkel scagliò la tavoletta sul pavimento con una tale ferocia che spilli, pezzi di legno e brandelli di lucertola schizzarono dappertutto schiantandosi anche addosso a lei, che tempestivamente si coprì il volto con l’avambraccio lanciando un breve urlo di spavento. Il ragazzino raccolse un pezzo di legno rotto da terra, sfilò l’Olgit dal suo polso e con furia, prese a sfregare contro il marchio che ci aveva tatuato sopra, come a volerlo cancellare dalla sua pelle.
“Fermoo!” Caterina gli strappò il pezzo di legno dalla mano e lo afferrò per gli avambracci.
“Non lo voglio questo schifo! Lasciami!” strillava lui, dimenandosi. Il suo marchio brillò incandescente tra la pelle scorticata, sfregiata da schegge, imperlata di sangue.
La ferita già si cicatrizzava.
Caterina avvinghiò le braccia intorno al busto del ragazzino, ma anche se era uno scricciolo scalciava come un puledro imbizzarrito. Cadde col sedere a terra e lanciò un lamento di dolore, portandosi dietro anche lui che si rialzò svelto. Con i pugni serrati lunghi ai fianchi scrutava la nonna seduta a terra in una posizione goffa, a massaggiarsi la schiena e singhiozzare tra un acquazzone di lacrime: “Mi dispiace angelo mio! Mi dispiace che ti è successo questo! Se potessi la prenderei io il tuo stigma maledetto!”
Lui le si gettò addosso, abbracciandola per la vita. Il viso contro al suo petto.
“Mamma mi odia per questo. Vero?”
“No tesoro mio, tu non c’entri! La tua mamma è solo tanto malata!” lacrime cadevano fitte dagli occhi di Caterina mentre carezzava la chioma bionda e ribelle del nipote.
“Facciamo una cosa,” singhiozzò, cercando di ricomporsi. “Ricostruiamo il tuo l-lucertolo Vitruviano insieme?”
Lui si districò dal suo abbraccio colloso, fulminandola poi con lo stesso sguardo intimidatorio di una tigre che studia la sua preda. Sguardo che la faceva rabbrividire perché sapeva del nome con cui la società lo aveva ribattezzato.
Mezzo demone.
“No. Adesso voglio andare da Yana,” le rispose, gelido come ghiaccio spezzato tra i denti.
*
Caterina non avrebbe mai immaginato di vivere abbastanza da vedere evolvere la civiltà, figurarsi divenire cittadina di un utopico Impero galattico.
Nonostante avesse da poco compiuto 277 anni ne dimostrava ottanta. Era alta quasi un metro e sessanta, dal fisico un po’ tarchiato anche se non mangiava poi molto. I capelli preferiva tenerli corti perché erano diventati sottili come fili di seta e bianchi come le rigogliose orchidee che accudiva nella serra del portico di casa. Certe volte, mentre ricamava a uncinetto, si soffermava a guardare con malinconia la pelle delle sue mani grinzose, macchiate come da schizzi di caffellatte. Rimuginava sul drastico invecchiamento del suo corpo avvenuto in soli tredici anni. Se avesse continuato a prendersi cura di se stessa avrebbe dimostrato una trentina d’anni in meno di quelli che lo specchio le dava, ma quando la sua unica figliola iniziò a manifestare i primi sintomi del tremendo male che l’aveva colpita, il peso della sua lunga vita iniziò a farsi sentire e il terribile segreto che nascondeva a opprimerla.
Girò il capo verso di lui…
“Ho ancora fame.” Era la terza volta che Arkel glielo ripeteva. Le sue tenere labbra rosee sbocciavano tra le strisciate incrostate di densa cioccolata nera.
Caterina estrasse un fazzoletto dalla borsetta che teneva in grembo e andò per pulirgli la bocca, ma lui si scostò infastidito. “Faccio da solo, grazie”.
“Certo, certo…” farfugliò porgendogli il fazzoletto. Poi si guardò intorno con la stessa angoscia che si proverebbe a nascondere una pistola nella borsetta. Nell’ampio abitacolo ovale c’erano solo una comitiva di giovani pleiadiani, identici agli umani ma vestiti con abiti eleganti dal taglio geometrico. In disparte, una ragazza con i capelli a caschetto color fucsia leggeva un ololibro.
Con un sospiro, Caterina si decise a tirar fuori l’ultimo croissant che aveva nella borsetta. Appena lo scartò Arkel lo afferrò, addentandolo vorace. Famelico.
“Dì a Yana che ne hai mangiato solo uno. Va bene angioletto mio?”
La bocca del bambino era strapiena. Annuì con il capo, intanto il bus si fermava e la porta scorrevole si apriva in verticale. Entrarono un uomo e una donna dai volti maturi, vestiti con completi neri e camicia bianca. Erano Principati dell’Ordine Elohim centrale.
“Non posso credere che i Nephilim potranno votare alle prossime elezioni,” diceva la donna, mentre sedeva assieme al compagno sulle poltrone di fronte a loro.
“Di questo passo tra una decina di anni potranno farlo anche i Malakim.”
“Non dirlo che poi si avvera!” esplosero in una risata corposa, antipatica.
Caterina avrebbe voluto dirgliene quattro a quei due, invece si limitò a sistemare il colletto della camicia a quadretti di Arkel, tanto per gettare un’occhiata al cinturino del suo olgit. Un dispositivo a tecnologia olografica tridimensionale dall’aspetto di un orologio. Aveva talmente tante funzionalità che spesso doveva chiedere aiuto a lui per raccapezzarsi. Ma quella principale -secondo lei- era coprire il marchio maledetto.
“Basta toccarmi nonna! Non sono uno Schnizu!” sbottò lui da sotto i grossi occhiali che le ricordavano quelli che indossavano i sub dei suoi tempi.
“Perdono angelo mio.”
Sapeva che quando era immerso nei videogiochi a comando telepatico non doveva disturbarlo, ma i due stranieri continuavano a lanciare occhiatacce verso di lui, seguite da confabuli coperti da mani davanti alla bocca.
Possibile che avessero capito di che stirpe fosse?
Forse stava solo diventando paranoica.
Dopo aver percorso la tangenziale sub-marina, (una strada che somigliava a un acquario tubolare e s’inabissava collegando tutte le isole abitate del Mar Egeo) la navetta sbucò in superficie, nel trafficato canale periferico che conduceva al centro della città galleggiante di Babylon.
Imboccato uno stretto canale, si accingevano a passare sotto un ponticello con ringhiere dorate e ologrammi di bandiere sventolanti il fiore della vita, il simbolo della Terra che l’Ordine Elohim aveva ribattezzato Gaia.
Sul ponte erano affacciate un paio di coppie, gruppetti di persone passeggiavano tranquille e due bambini salutavano i velivoli che passavano di sotto. Dalle acque limpide si ergevano, uno appresso all’altra, casine colorate dai tetti uniti in un’onda merlettata. Le porte e le finestre decorate da vetrate con motivi altrettanto vivaci erano trafitte dai raggi del sole di mezzogiorno, così da proiettare giochi di luce tra le squame vibranti delle acque cristalline.
Adesso che i finestrini del bus erano stati abbassati, l’aroma di pane sfornato s’insinuava nell’abitacolo riempiendole le narici, ma sopratutto il suo cuore di ricordi lontani. Eppure più vividi della sua quotidianità.
Qualche scorcio di Babylon le ricordava un po’ Venezia. Ma appena appena, perché nell’anima era del tutto diversa. Forse vedeva similitudini in ogni dettaglio per via della nostalgia che si strascinava da decenni. La cosa peggiore era che la sua patria natia, l’Italia, non esisteva più. Almeno non come la ricordava. Buona parte era stata sommersa dalle acque per via del parziale scioglimento dei ghiacciai polari mentre sulla terra ferma, esseri di dubbiose origini facevano sparire gente nel nulla, prediligendo giovani individui. Li chiamavano cyber-mutanti la nuova piaga mondiale. Di conseguenza, molte persone si trasferivano sulle isole bonificate e le megalopoli galleggianti visto che quei mostri sembravano non arrivare in quei luoghi. Altri chiedevano all’Ordine Elohim di poter emigrare su altri pianeti dell’Impero, cosa non facile da realizzare per gli Atlantidei Macchiati, come venivano chiamati i natii di Gaia.
Di quei tempi tutto era complesso. Articolato. Gigante al limite del surreale perché parte di una congregazione galattica dove una miriade di antichissimi esseri evoluti, si era coalizzata in un’alleanza sociopolitica chiamata Fratellanza di Luce, e l’Ordine Elohim era l’istituzione che gestiva tutti i pianeti che appartenevano al genere umano.
Erano passati più di duecento anni da quando Gaia era entrata a far parte della Fratellanza di Luce e a Caterina ancora risultava difficile da credere. Spesso si sentiva straniera in un mondo che faticava ad accettare. A comprendere, tanto era diverso da quello in cui era nata.
Mentre il suo sguardo mesto si perdeva nell’orizzonte del mare che si eclissava tra le pittoresche architetture, pensava che avrebbe volentieri barattato la sua lunga vita per quei pochi anni perduti nel ventunesimo secolo, prima che scoppiasse la terza guerra mondiale, prima che desse i voti alla Chiesa Cattolica per diventare una suora di clausura. Avrebbe sacrificato qualsiasi cosa pur di tornare indietro nel tempo e morire insieme ai suoi cari.
Abbassò lo sguardo su Arkel che si toglieva gli olocchiali con adulta compostezza. Li piegava su loro stessi fino a incapsularli in un uovo grande quanto quello di una quaglia e glieli porgeva, sorridendole.
caterina lanotte (proprietario verificato)
Trama fantasy ben strutturata, pur nella sua complessità. Lo stile è scorrevole e coinvolgente, le poche righe che spiegano il contesto sono efficaci e far sì che ci si possa immergere nella storia senza fatica. Nel complesso il linguaggio è scorrevole e le descrizioni dei luoghi e della natura puntuali. La nostalgia di Caterina per la sua Terra/Italia esprime bene il senso di condanna cui è stata destinata, facendole vivere i suoi anni da sopravvissuta non come un dono, ma come elemento di dolore, rendendo l’ambientazione meno “fredda” e sottolineando l’appartenenza al passato come l’ineluttabile realtà di un mondo che non c’è più. Attraverso l’antitesi “angioletto”- “mezzo demone” l’autrice descrive in modo esaustivo i due volti dell’essere umano, lo yin e lo yang, in cui Arkel, nipote “robotico”, iperattivo e crudele, benché consapevole della sua “involontaria” cattiveria dovuta all’enzima V presente nel sangue, rappresenta il lato oscuro dell’essere umano e la nonna, tipica donna italiana preoccupata che il nipote mangi e che si comporti bene, il lato redentivo.Trovo convincente il modo in cui la scrittrice “giochi” con i cibi (croissant, cioccolata, madeleine), retaggio di un mondo scomparso, che risaltano, in tutta la loro “umanità”, in un mondo dominato dalla tecnologia avanzata. È accattivante anche il modo in cui, attraverso i nomi l’autrice collega il terrestre all’astrale, il passato della terra al presente, con costanti richiami mitologici/biblici (Nephilim/Elohim/Malakhim), puntualizzandone la “continuità” e la vicinanza (pleiadiani, Santorini), così come il richiamo all’Olocausto, alla 3^ Guerra Mondiale, al Campo di Concentramento (Spirituale), alla quotidianità dei mezzi pubblici (cab, bus) o al dispositivo cubico parlante (entrato a far parte della vita di ogni giorno in quella che, nel racconto, viene considerata un’epoca passata). Emerge senza troppi fronzoli anche l’intento pedagogico dell’autrice, quando ad Arkel viene insegnata l’accettazione di sé, con pregi e difetti (“…quando puoi essere perfetto così come sei?”) da parte della nonna di Arkel e di Yana. È convincente l’ingresso nel racconto degli “esseri di dubbiose origini” che fanno sparire i giovani, come in generale lo è la descrizione fisica, comportamentale ed espressiva dei personaggi, ricca di particolari che li fanno facilmente prendere corpo nella mente del lettore.
Elisa Romagnolo (proprietario verificato)
Premetto che non sono un appassionata del genere, eppure questo romanzo mi ha trascinata tra le sue pagine con una facilità sorprendente, tanto che l’ho divorato in soli quattro giorni. L’autrice è stata in grado di rendere questo mondo futuristico semplice da capire nonostante la complessità. Ho apprezzato molto anche i personaggi, particolarmente Arkel e Thomas. Bellissimo il loro rapporto, tanto che verso la fine mi sono emozionata. Questo è un libro che merita veramente il suo posto in libreria.
claudio ripa (proprietario verificato)
Complimenti alla scrittrice che è stata in grado di scaraventarmi in questo mondo che ha creato e a farmici pure appassionare.
giorgio cerasaro (proprietario verificato)
Storia interessante, coraggiosa se si pensa alla poca considerazione che nella moderna letteratura italiana viene data ai romanzi fantasy di questo tipo. Si notano il lavoro di ricerca lessicale, i riferimenti ad opere anche appartenenti al medium videoludico, e una spiccata fantasia dell’autrice. Le tematiche fantasy sono introdotte con sapienza, evitando spiegoni che ne ostruirebbero la scorrevolezza, e lasciando piuttosto che siano i dialoghi a portare avanti la narrazione degli eventi storici passati. I personaggi sono ben caratterizzati, con un ovvio focus sul protagonista, e l’aver dato ad ognuno un registro linguistico consono e particolareggiato favorisce l’inquadramento dei rispettivi profili psicologici. Il linguaggio utilizzano è consono all’opera, con un lessico essenziale ma curato. Lo consiglio vivamente a tutti quelli che cercano un fantasy diverso e al passo con i tempi che corrono.
Giulia Attioli (proprietario verificato)
Questo romanzo è una perla rara, miscela sapientemente le antiche filosofie e la pura fantascienza creando un mondo futuristico tecnologicamente avanzato, ma in cui si sentono gli echi di un’istituzione fin troppo simile all’inquisizione. Il concetto dell’enzima V è interessante, attraverso lo scorrere delle pagine si sviluppa in modi inattesi che mi hanno lasciata a dir poco affascinata. Il protagonista, Arkel, è ben caratterizzato da subito: la sua natura particolare lo porta ad apparire come un bambino quasi angelico, ma a comportarsi come un assassino sociopatico in alcune occasioni. Crescendo, invece, diviene un adolescente irrequieto, che cerca solo il suo posto nel mondo. Infatti duranto l’arco della narrazione, subirà ulteriori evoluzioni sia di carattere che di potenzialità ma senza mai cadere nel classico clichè dell’adolescente ombroso che ce l’ha con il mondo e con tutti quanti, come invece immaginavo. Ci sarebbe tanto altro di cui parlare ma visto che non voglio fare troppo spoiler mi limiterò a dire: lettura promossa a pieni voti. Attendo di leggere il secondo libro della saga.
minastella (proprietario verificato)
Ritengo che l’opera sia veramente originale e scritta bene. È affascinante pensare che una persona della mia stessa epoca abbia tanta fantasia da scrivere addirittura riguardo un futuro a noi molto lontano. Tuttavia il fatto che sia scritto in terza persona, a mio gusto, lo penalizza un po’, ma per il resto è veramente molto bello. Non vedo l’ora che arrivi la mia copia cartacea per rileggerlo d’accapo!