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Farfalle nello Stomaco

Farfalle nello Stomaco
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Consegna prevista Agosto 2023
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Chi non ha sentito almeno una volta nella sua vita la frase “ho le farfalle nello stomaco”? E’ risaputo, “la pancia”, a turno lo stomaco e l’intestino, è strettamente legata alle nostre emozioni, di qualsiasi natura esse siano. Così quando siamo innamorati la pancia trema come se decine di farfalle ci svolazzassero dentro. Se qualcosa ci ferisce nel profondo diciamo che è stato “un pugno allo stomaco”, e così via. Nella nostra vita si alternano situazioni di felicità e di tristezza, spensieratezza e ansia, periodi di euforia e altri più depressi. Tutti incidono su quanto e come mangiamo. Ma non solo. Tutto ciò che immettiamo nel nostro corpo attraverso il cibo contribuisce a cambiare il nostro umore, il nostro atteggiamento verso la vita, finanche il nostro carattere.
Qui è raccontata la mia storia ma potrebbe essere la storia di molti poiché, come è sottinteso, i meccanismi con i quali la nostra mente e la biochimica del nostro corpo funzionano sono uguali per tutti noi.

Perché ho scritto questo libro?

Ho iniziato questo libro quasi per gioco, alla ricerca di un filo logico che congiungesse le mie esperienze di vita con quello che è oggi il mio lavoro. Ognuno dei miei ricordi mi ha aperto un universo di approfondimenti, ricerche, dati, verità scientifiche. Mi ha spinto a scrivere questo libro soprattutto il pensiero che a volte anche una sola, unica consapevolezza consapevolezza può radicalmente cambiare il corso delle nostre giornate, una dopo l’altra, fino a modellare un’intera vita.

ANTEPRIMA NON EDITATA

PIZZA FREDDA SUL DIVANO

Se c’è un piatto universale, quello è la pizza, perché si limita a una base comune – l’impasto – sul quale ciascuno può disporre, organizzare ed esprimere la sua differenza.

Jacques Attali

Non tutti i giorni della settimana erano tragici per quanto riguarda la colazione e il mio mal di stomaco, c’era infatti un giorno della settimana in cui, alzandomi un po’ più tardi del solito, ovvero senza la sveglia, stavo meglio e avevo anche fame! Era la domenica.

I miei ricordi delle domeniche mattina sono l’odore del sugo che si sta cuocendo che arriva dalla cucina, la sigla del mio cartone animato preferito (un ottimo motivo per alzarsi), ma soprattutto… la pizza fredda rimasta dal sabato sera!

Il cartone animato era Siamo Fatti Così, Esplorando il Corpo Umano. Episodi che trovo ancora oggi affascinanti e che forse, lo penso spesso, mi hanno davvero condizionata nelle mie passioni future.

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Così, tra globuli rossi che trasportano ossigeno e virus e batteri che cercano di attaccare il malcapitato di turno, sprofondata tra i cuscini del divano, mi gustavo il mio quadrato di pizza fredda.

Non era una pizza sottile da pizzeria, era la pizza che faceva la mamma il sabato sera (appuntamento fisso in quegli anni).

Una pizza spessa, ben lievitata, ricoperta di sugo fatto in casa, mozzarella vera, le crosticine di prosciutto un po’ bruciacchiato in superficie e soprattutto l’odore inebriante dell’origano e delle olive verdi e nere cotte nel forno.

Ancora adesso mentre scrivo mi viene l’acquolina in bocca a pensare a quella pizza, che appena sfornata era si buonissima, ma lo era ancora di più la domenica mattina.

La pizza era per me un po’ il sabato del villaggio.

La pregustavo già il sabato pomeriggio, quando la mamma la impastava e la metteva a lievitare mentre io facevo i compiti. Mi inebriavo del suo profumo all’ora di cena, quando si cuoceva in forno e io mi facevo il bagno e mi mettevo il pigiamino pulito. La mangiavo il sabato sera e andavo a letto serena e senza incubi, con la pancia piena e la tranquillità che la mattina dopo l’avrei di nuovo ritrovata per colazione.

Tutti abbiamo un cibo del genere, la nostra pizza della domenica mattina: è quello che chiamano “comfort food”. Per alcuni è la pastina in brodo, per altri le orecchiette al sugo di carne, una torta particolare o semplicemente il tazzone di latte con i biscotti.

Il risultato non cambia: è la pietanza del nostro cuore, quella che ci faceva sentire a casa da bambini e quella che cerchiamo quando siamo scoraggiati, impauriti, tristi, e vogliamo sentirci ancora come allora…

Il comfort food è un cibo che non è tanto per lo stomaco quanto per la nostra mente, potremo quasi dire per la nostra anima. E’ il cibo della nostalgia, dei sentimenti, che richiama ricordi ed emozioni nella persona che lo mangia.

Si tratta di un tema ancora molto discusso, come discussa è l’associazione tra questo tipo di “food” e l’elevata concentrazione di zuccheri. A quanto pare anche se a prima vista potrebbe sembrare così, poiché molti prediligono biscotti, pasticcini, primi piatti, pane focacce o pizza, questa associazione non è sempre corretta.

Alcuni infatti associano al conforto cibi anche molto diversi, come il pesce, il cioccolato, il latte. E’ quindi molto soggettivo.

Sono sicura che anche tu in questo momento stai pensando alla pietanza del tuo cuore!

Di qualsiasi cibo si tratti, sicuramente il cibo del conforto sembra far passare un po’ i dispiaceri.

E’ il risultato di uno studio condotto dall’università della California su oltre 2000 donne tra i 18 e i 19 anni, che si è posto come obiettivo quello di valutare se il cibo sia effettivamente in grado di condizionare la percezione dello stress.

Dai risultati è emerso che questo tipo di cibo riusciva ad attenuare l’ansia, la noia e la tristezza, cosa che non succedeva a chi in situazione analoghe, al contrario, non mangiava.

Tra i comfort food, con le dovute eccezioni come abbiamo visto, spiccano cibi dolci, ricchi di carboidrati e “cioccolatosi”. In questi casi non vi è ombra di dubbio che il senso di buonumore o conforto che ne deriva non è riferibile solo alla componente nostalgica, se così si può chiamare, ma anche alla composizione chimica del cibo, in particolar modo i carboidrati, ovvero gli zuccheri, che agiscono sui neurotrasmettitori come la serotonina, la dopamina e le endorfine.

Un ponte per i ricordi ma anche una mera questione chimica quindi. Vediamo come funziona questa complessa macchina biochimica che trasforma un trancio di pizza in un sorriso.

Lo “zucchero” è per definizione un alimento dolce.

Dobbiamo immaginare gli zuccheri come delle piccole palline, quando queste palline sono separate le une dalle altra, abbiamo uno zucchero “semplice”. Il glucosio è lo zucchero semplice più diffuso in natura. Viene prodotto nelle piante dall’acqua e l’anidrite carbonica, niente di meno che grazie all’energia del sole. Da qui, viene utilizzato da tutti gli esseri viventi del pianeta, uomo compreso.

È dal glucosio che le nostra cellule ricavano l’energia che ci serve per respirare, muoverci, pensare…vivere.

Il glucosio è anche la forma in cui lo zucchero viaggia nel nostro sangue. La sua concentrazione è appunto la famosa “glicemia”.

Il glucosio non è l’unico zucchero semplice che conosciamo: il fruttosio, lo zucchero contenuto nella frutta, è anch’esso formato da una sola pallina, e infatti anche la frutta ci appare dolce al gusto.

Quando la pallina del glucosio e del fruttosio si uniscono, si forma uno zucchero formato da 2 palline, detto “disaccaride”, si tratta del saccarosio: lo zucchero bianco che usiamo per addolcire il caffè, fare i dolci, e tante altre cose.

Un altro disaccaride famoso è il lattosio: questo è formato dalla pallina del glucosio e del galattosio. Anche questo zucchero ha sapore dolce. Siccome il latte è il nostro primo alimento, ed è anche dolce, spesso è proprio il latte il nostro comfort food!

Glucosio, fruttosio, saccarosio e lattosio hanno un gusto dolce abbiamo detto, ma cosa succede quando mangiamo la pasta, il pane, il riso e le patate? Anche questi hanno grandi quantità di zucchero dentro di se, ma si tratta di zuccheri complessi.

Le palline di glucosio infatti possono unirsi tra loro a formare lunghe catene. A quel punto, perdono il loro gusto dolce, pur essendo costituiti da zucchero.

Se potessimo vedere il prodotto della digestione di una fetta di pane, dopo che i nostri enzimi hanno finito di sminuzzarlo, vedremmo 2 cucchiai di zucchero bianco.

Qual è dunque la differenza?

Presto detto. Anche se il contenuto calorico (le famose calorie!) è molto simile, vi è una grandissima differenza tra i due alimenti.

Infatti lo zucchero semplice non ha bisogno di essere lavorato nell’intestino, vi arriva già “pronto” per fluire direttamente nel sangue. In questo modo, il sangue si addolcisce tutto in una volta, ovvero la glicemia sale velocemente.

Siccome questa condizione è inaccettabile per il nostro organismo, si organizza subito per abbassare velocemente la concentrazione dello zucchero! Per farlo, libera una grande quantità di ormoni, soprattutto l’insulina, e anche velocemente, e questo lavoro enorme lo stanca rapidamente.

Quando mangiamo zuccheri complessi invece, i nostri enzimi ci mettono un bel po’ a sminuzzarli prima di inviarli al nostro sangue, pezzo per pezzo. Il nostro copro non si stanca né si stressa inutilmente utilizzandolo.

Costituiscono inoltre una buona riserva energetica, che viene utilizzata gradualmente, mantenendoci sazi e attivi molto più a lungo.

Nonostante i numerosi vantaggi degli zuccheri complessi rispetto ai semplici, il nostro corpo ama il sapore dolce e zuccherino. Lo zucchero semplice, essendo più facile da assimilare, gli fa risparmiare lavoro, e questo efficace “rapporto energetico” viene premiato dal nostro cervello con sensazioni gradevoli. Sensazioni generate dagli ormoni ovviamente, che spesso sono i mediatori chimici tra il cibo che mangiamo e lo stato del nostro umore.

Il nostro corpo funziona ancora come se queste ultime migliaia di anni non fossero passate, ovvero come quando eravamo delle scimmie pelose su un albero, e trovare un frutto maturo e dolce era una fortuna. Quindi, quando lo troviamo, continua a ricompensarci, per incoraggiarci a continuare la ricerca di cibo ed energia prontamente disponibile.

Di certo la natura non si aspettava che, nel giro di poche generazioni, saremmo praticamente stati invasi dallo zucchero, ovvero che sarebbe diventato così semplice reperirlo.

Oggi lo zucchero si trova abbondantemente in ogni pietanza, cibo confezionato dolce e salato, senza differenza.

E’ parte del marketing di queste aziende: parlare alla nostra pancia e al nostro cervello facendoci pensare “ne voglio ancora”. Più ne mangio, più ne voglio, che così che funziona con gli zuccheri semplici.

Così, anche se sappiamo che fa male, il nostro istinto primordiale ci induce ad approfittare di questa malsana abbondanza e a spizzicare continuamente dolci, dolcetti, bibite zuccherate come se ne fossimo quasi dipendenti.

Attenzione però, “sentirsi meglio” mangiando zuccheri a tutte le ore del giorno e della notte è solo una mera illusione.

Come abbiamo visto, anzi, questo non fa che aumentare lo stress del nostro organismo, inducendoci a mangiarne sempre di più.

Voglio raccontarti un’altra vicenda che mi accadde in quegli anni. Era estate, e cominciai a bere la Sprite, la gassosa più famosa del mondo.

La Sprite, come l’aranciata, la Coca Cola e tutte le altre bibite gassate, non sono solo bibite. Sono piene zeppe di zucchero!

Il sapore di queste bibite, così come l’effetto che ha sul nostro cervello, come abbiamo visto, può causare una vera e propria dipendenza. In America, dove sono molto più “avanti” di noi in questo senso, esistono cliniche specializzate nel disintossicare giovani e meno giovani dall’uso delle bibite gasate.

Il quantitativo di zucchero è impressionante: pensate che in una lattina di cola ci sono ben 7 cucchiaini di zucchero!

Insomma, quell’estate cominciai a bere la Sprite a pranzo e a cena e, improvvisamente, anche fuori dai pasti. L’acqua mi sembrava non avere più alcun sapore, la trovavo quasi disgustosa. Volevo bere sempre la Sprite.

Lo zucchero può avere effetti a dir poco devastanti sulle nostre abitudini, inducendoci presto alla dipendenza.

Inoltre, il gusto può essere educato o diseducato.

Cosa vuol dire?

E’ più facile provarlo che spiegarlo. Prova a mettere un cucchiaino di zucchero nell’acqua che bevi abitualmente.

Ti sembrerà dolce. Ma se lo aggiungi continuamente, giorno dopo giorno, alla fine l’acqua non ti sembrerà più stranamente dolce. Ti dirò di più, tornando all’acqua “normale” ti sembrerà insipida, peggio, amara!

La stessa cosa può avvenire con il sale, e tutti gli altri gusti.

Ma la buona notizia è che come il gusto può essere diseducato, così anche può essere educato!

Quindi, se siamo “dipendenti” dallo zucchero, possiamo ridurlo piano piano nelle nostre bibite e ricette, o anche di botto, volendolo. E dopo un paio di settimane, il nostro gusto si sarà adeguato.

Le papille gustative infatti si ripristinano in questo arco di tempo, adattandosi bene alla nuova situazione, nel bene o nel male.

E così che accade a me con la Sprite. Smisi semplicemente di berla e dopo qualche giorno, tutto tornò come prima!

2023-02-09

Aggiornamento

Non vi ho detto tutta la verità sul mio libro. In realtà è una storia molto più personale di quanto ho raccontato fino ad oggi, ormai posso dirlo. Questa è una delle illustrazioni che ho disegnato per i capitoli, un mio autoritratto se vogliamo. E quella è la mia cicatrice. Ce l'ho da quando avevo 40 giorni e a volte mi sembra che tutta la mia vita si sia attorcigliata attorno a lei, attorno al bisogno di nasconderla, poi di proteggerla. Si è fatta carico direttamente e indirettamente di tutti i piccoli e grandi dolori che ho vissuto. Non sarei io senza di lei, è sempre stata lì. Se la cancellassero dalla mia pancia, non mi riconoscerei più. Se ci fosse una carta d'identità della mia anima, sotto la voce “ segni particolari” ci sarebbe: la mia cicatrice. La mia cicatrice è stata per tutta la mia vita un simbolo, il simbolo del mio stare male. Le ho dato la colpa di tutto, come l'ho trattata male! Per colpa sua non mangiavo, ero magra, ero storta, ero dolorante... lei era per me la prova che ero “ fatta cosi” e che che sarei stata così per sempre. Quando si parla di disagio è davvero difficile capire il limite, la linea sottile che lo separa dalla normalità. Il semplice “essere schizzinosi” con il vivere male. Anche perché ognuno lo vive a modo suo, ne può essere consapevole o completamente ignaro, proprio come lo ero io. Anche se mi sono sempre chiesta come vivessero gli altri, senza la cicatrice e tutto quello che ne derivava. Finché un giorno ho deciso che bastava così, che le cose dovevano cambiare. Arriva sempre quel momento, la goccia che fa traboccare il vaso, il limite dopo il quale niente è più come prima. Dopo averlo superato, ho visto molto più chiaramente tante cose e le ho scritte nero su bianco dandogli il titolo di “Farfalle nello Stomaco”. Se non avessi avuto questa cicatrice, probabilmente sarebbe stato tutto molto diverso. Sicuramente le mie ansie e paure si sarebbero materializzate sotto forma di qualcos'altro: mal di testa, mal di schiena, perdita di capelli magari. Ma ce l'ho. Quello è quindi diventato il mio punto debole: lo stomaco, il cibo, mangiare. Se non l'avessi avuta, chi lo sa, oggi farei anche tutt'altro mestiere! Invece sono qui a parlare di cibo ed emozioni. Questo libro, che ho faticato tanto a vivere e poi a scrivere, è stato due anni nel cassetto. Avevo deciso di non farlo leggere a nessuno. Ma ogni tanto da quel cassetto mi chiamava e mi ricordava che avevo ancora un capitolo da chiudere. Il mio libro voleva essere letto perchè io potessi andare avanti davvero. Non mi sono impegnata tanto nel promuovere questa campagna, ne sono consapevole, ma forse non è un caso. Forse volevo che solo in pochi leggessero questo libro, dopotutto è sempre la mia storia, e farla conoscere a tutti non è così facile. Oggi mancano due settimane alla chiusura dei preordini, con questo post e volevo avvisarti che probabilmente il libro non sarà ufficialmente pubblicato, poiché non ho raggiunto i 200 ordini. Tuttavia sarà stampato da book a book in una edizione limitata, che riceverà solo chi lo ordina entro lo scadere del tempo. Se vorresti il mio libro e non sai come fare o non hai la possibilità di farlo, fammelo sapere: adesso ho la possibilità di fare un ordine a tuo nome! Grazie di cuore!
2023-01-25

Aggiornamento

Questa foto me la scattò la mia amica Maria Rita mentre eravamo in pausa pranzo, in una delle tante, lunghe giornate in facoltà. Me lo ricordo bene quel periodo, bellissimo ma molto faticoso, e ricordo anche il mio pranzo fisso di quegli anni: pane e prosciutto. Non c'è da meravigliarsi se non avessi tante energie e avessi vari acciacchi...
Nel mio libro “Farfalle nello Stomaco” mi sono divertita a ripercorrere come mangiassi (o non mangiassi) nei diversi periodi della mia vita, uno è stato proprio il periodo dell'università. Saltavo la colazione, mangiavo cornetti, panini e crakers. I distributori erano miei fedeli amici.

Quando alle 18 mi rimettevo sul pullman per tornare a casa, la sensazione era quella di avere la febbre, completamente disidratata, lo stomaco e la pancia gonfia e dolorante, esausta. Un periodo davvero stressante sotto il profilo sia fisico che mentale, due cose che come sappiamo si rincorrono sempre. In quel periodo, a 23 anni, mi spuntarono tantissimi capelli bianchi e mi venne la candida.
E' facile capire come mai. La mia alimentazione era del tutto inadeguata, soprattutto, credo che il mio intestino soffrisse veramente tantissimo.
Il nostro intestino è un piccolo ecosistema e noi ne siamo i soli e unici responsabili. La nostra pancia è la casa di centinaia di miliardi di piccoli esseri, batteri soprattutto, e questi batteri sono essenziali per il suo funzionamento e tutta la nostra salute in generale. Si potrebbe dire che, essendoci evoluti insieme nel corso di milioni di anni, siamo ormai profondamente interconnessi e
abbiamo bisogno gli uni degli altri.

Ma attenzione però, non tutti i microrganismi che vivono nell'intestino sono così pacifici e benefici. Uno di questi è proprio il lievito Candida che a volte può “prendersi spazi che non gli competono”.
Può succedere a causa di un periodo di stress, fisico o psicologico, in grado di abbassare le nostre difese immunitarie, rendendole incapaci di contenerlo. Può addirittura essere causato da un eccessiva igiene. Non per ultima, il proliferare di lieviti è, ovviamente, causato da una cattiva alimentazione.

Se vuoi quindi coltivare questo lievito, la strada più veloce e sicura è mangiare quello che mangiavo io ai tempi dell'università. La cosa peggiore di tutta questa situazione è che una flora batterica squilibrata non si ripercuote solamente su una cattiva digestione e igiene intestinale, ma su tutto l'organismo.
Una flora disfunzionale infatti smette di sostenere le nostre difese immunitarie (e infatti quell'anno presi diverse volte l'influenza e altri acciacchi, sembrava che qualsiasi cosa ci fosse in giro io fossi in grado di beccarmela), ma soprattutto la flora batterica condiziona il nostro umore.
Strano ma vero, puoi cercarlo tu stesso su internet: “I tipici sintomi della «sindrome da lievito» sono: stanchezza, irritabilità, alterazioni dell'umore, depressione, allergie, disturbi
intestinali, rallentamento della digestione, intolleranze alimentari, aria nell'intestino, gonfiori...” ma non finisce qui, perchè, ormai è noto, l'intestino è il nostro secondo cervello, e se sta male lui, anche l'altro cervello, quello “della testa” ne risente.

Il capitolo del mio libro in cui parlo di tutto questo è “Pane, prosciutto e Candida”. Mi aiuti a pubblicarlo?

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Sabrina Grimaldi
Sabrina Grimaldi (1987) è Biologa Nutrizionista.
Dopo la Laurea in Scienze Biologiche e poi la Laurea Magistrale in Biologia si è dedicata al mondo della Nutrizione Umana, con particolare attenzione all'Educazione Alimentare. Dal 2017 gestisce “BioAmatore”, un laboratorio didattico scientifico che ha lo scopo di promuovere le buone pratiche nutrizionali ad adulti e bambini.
Svolge la sua attività di Nutrizionista e lavora a Tricase (LE).
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