Nel podere dei Bonfissuto, un gruppo di braccianti lavorava nel campo a ridosso della strada. Erano curvi, con la cesta della frutta e della verdura appoggiata a terra e le mani che si muovevano con destrezza e velocità.
Un camioncino Ford del 1939 arrivò e parcheggiò ai bordi della statale, vicino all’incrocio con la stradina di ghiaia. Dall’abitacolo del mezzo scesero due picciotti e con andatura sostenuta raggiunsero i lavoratori, i quali appena li videro si fermarono in attesa di istruzioni.
“Qu è u caporale ca?” fece un picciotto.
Uno straccione si fece avanti, piegato in due dalla fatica.
“Come ti chiami?” chiese il picciotto.
“Antonio Peluso ai suoi ordini, signore” rispose lo straccione.
“Bene, Antonio Peluso comunica ai tuoi compagni che da domani nessuno ha più diritto d’accesso al podere per ordine di don Totò Bonfissuto. Sono stato chiaro? E che nessuno si azzardi a venire lo stesso, u capisti?” Ringhiò il picciotto.
“Signore, qui tutti hanno famiglia. Se ci togliete anche questo lavoro, come facciamo a campare?” fece il caporale. “Io ho moglie e tre figli. Cosa gli dico questa sera quando torno? Signore, la prego…” continuò il caporale.
Dietro di lui i braccianti, avendo sentito tutto il discorso, iniziarono a rumoreggiare e qualcuno iniziò anche ad alzare la voce. “Giusto Antò, fatti valere e fai valere i nostri diritti di lavoratori” fece qualcuno.
Il picciotto fece due passi avanti e si avvicinò ad un palmo dal viso del contadino. “Fetuso, a nuautri un c’interassa né di tia né da tò famiglia. Trasmettiamo e ubbidiamo agli ordini del nostro padrone. Ora se non te ne vai immediatamente, mi costringi a prenderti a calci in culo, u capisti? E a quella bottana di tua moglie portaci sta’ minchia, questa sera” fece il mafioso portandosi la mano destra verso le parti basse dei pantaloni.
Antonio Peluso non ci vide più. Si avvicinò al mafioso e con uno schiaffo gli fece volare la sigaretta dalla bocca.
Il picciotto rimase basito. Non si aspettava una reazione del genere e, senza dire una parola mise la mano in tasca, tirò fuori la pistola e a bruciapelo fece fuoco, freddando il bracciante.
Il colpo di pistola risuonò altissimo nella piana di Licata come un urlo disperato di chi è pronto a combattere e a morire per qualcosa di vitale importanza. Parte di terrà si macchiò di rosso, del sangue di un povero disgraziato.
“Sei un uomo morto, Antonio Peluso” fece il mafioso.
Poi, rivolgendosi alla platea dei lavoratori disse a voce alta: “E questo vale anche per voi, pezzenti! Da domani nessuno si faccia più vivo in questo podere, per Dio!”
E, rivolgendosi al suo compare gli disse: “Amuninni a casa, Pinù.”
I due mafiosi non fecero in tempo ad entrare nel camioncino che già erano circondati dai contadini. Si mossero velocemente, come un serpente, senza far rumore e senza che i due picciotti avessero il tempo di reagire. Circondarono il camioncino e iniziarono a smuoverlo come se volessero ribaltarlo.
“Che cazzo state facendo, pezzenti. Tornate al vostro lavoro immediatamente” fece il mafioso. Cercò di tirare fuori la pistola dal finestrino, ma un contadino riuscì a prenderla per la canna e a gettarla a terra, lontano. Loro non ne avrebbero avuto bisogno, non uccidevano a sangue freddo. Usavano le mani.
“Minchia Pinù, metti in moto, allestiti e amuninni, avanti!” fece il mafioso.
Le mani di Pinuccio tremavano dalla paura “Un c’ha fazzu, Calò, un c’arrinesciu.” Il camioncino ballava pericolosamente e i due mafiosi erano sballottati all’interno dell’abitacolo.
Un vetro andò in frantumi e una mano riuscì a prendere il braccio di Calogero, seduto dalla parte del passeggero. “Veni fora fighiu e’ bottana” fece un contadino, mentre lo tirava per il braccio cercando di farlo uscire dal finestrino.
“Lassami stari, bastardo” fece Calogero “o quant’è vero Iddio ti ammazzo con le mie mani.”
Intanto la folla di contadini aveva preso Pinuccio, fatto scendere dal camioncino e sbattuto per terra. Piagnucolava visibilmente e invocava pietà, ma i contadini, per nulla impietositi dai lamenti del mafioso, avevano iniziato a prenderlo a calci e a sputi.
“Figli di puttana, ora lo vedrete che fine vi facciamo fare” disse l’altro caporale che faceva capo ai fittavoli di Palma di Montechiaro. Prese della corda, la divise in due e fece due cappi. Si avvicinò alla prima quercia e fece volare le corde sopra il ramo.
“Avanti carù, portate qui questi due figghi e’ bottana. Così facciamo vedere a tutti di che pasta siamo fatti, noi contadini” disse il caporale.
Dopo averli pestati per bene, fino a renderli quasi incoscienti, li portarono sotto la quercia e li gettarono ai piedi del caporale. Questi guardandoli fece un ghigno, si sbottonò la patta dei pantaloni e pisciò in testa a tutti e due. “Questa è la fine che meritate, bastardi.” Terminò, prese il primo cappio e lo mise intorno alla testa di Pinuccio, semisvenuto e miagolante. Dopo di che prese l’altro cappio e si chinò verso la testa di Calogero, colui che aveva ucciso a sangue freddo Antonio Peluso. Lo prese per i capelli bagnati della sua stessa urina e lo guardò in faccia. “Hai paura della morte?” gli sussurrò all’orecchio. “Bastardo di un mafioso, questa è la fine che ti meriti, inizia a pregare il tuo Dio, se ne hai uno” terminò, sputandogli in faccia.
Il mafioso, con gli occhi chiusi dai pugni dei contadini, non ebbe neanche la forza di ribattere alle parole del contadino. Si limitò ad ascoltare e ad annuire con la testa.
Gli mise il cappio intorno alla testa e la lasciò andare, facendola sbattere sulla terra arida.
“Ragazzi, chi vuole avere il piacere?” fece il caporale prendendo la corda che teneva per il collo Calogero e iniziando a issarlo il più in alto possibile. “Avanti carù, uno strattone alla volta, uno per uno” continuò il caporale.
E così, poco alla volta, vennero a formarsi due fila di contadini per issare i due mafiosi al ramo della quercia. In silenzio prendevano una parte di corda, strattonavano e lasciavano andare. Arrivavano, prendevano, strattonavano e lasciavano andare. Così fino a quando i due mafiosi non emisero l’ultimo rantolo.
In pochi minuti i due corpi penzolavano dall’albero.
Ora sì che la guerra avrebbe avuto inizio.
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