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Fresia
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Consegna prevista Agosto 2023
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Brigida è stata portata via dagli assistenti sociali all’età di nove anni, e non ci crede che non sia colpa sua. Anzi, ne è certa: i suoi genitori sono così per colpa sua. Litigano per colpa sua. Si odiano per colpa sua.Samantha, la sua assistente sociale, non riesce a volerle bene. Perché Brigida ha capito che quando sono i tuoi genitori ad abbandonarti, non puoi essere amabile per nessuno. Quindi è meglio farti odiare. Quello che ha imparato, la sera in cui ha visto sua madre in lacrime e suo padre essere tenuto fermo da due poliziotti, è che certe cose non si possono fermare, si può solo rimanere fermi a osservare. Passivi. Ha imparato che quella parola: colpa, non riuscirà mai a levarsela dal corpo. La vita le ha fatto un torto, e adesso ha intenzione di odiarla per sempre. Di fare in modo che finisca il prima possibile, perché non le interessa più. Chi siamo senza una famiglia?
Rosemay è una bambina che non crede di esistere. Per questo, andrà da Brigida e le chiederà: “Mi vedi?”

Perché ho scritto questo libro?

Sono convinta che scrivere sia un modo per salvarsi la vita. Credo nella scrittura espressiva.
Ho scritto questo libro per difendere cosa si cela dietro determinati comportamenti, cosa si nasconde dietro la rabbia e cosa significa vivere con la paura di essere abbandonati. Volevo spiegare cosa fosse lo sdoppiamento di personalità e la perdita della propria identità. Volevo raccontare che ‘reale’ non è ciò che si vede: è ciò che si prova. Tutto quello che si prova ha una dignità.

ANTEPRIMA NON EDITATA

La rabbia porta a essere chi non siamo, ma alcuni saggi dicono che il modo in cui reagisci definisce chi sei.

Quando Brigida aveva quattordici anni, Laura le disse che il suo comportamento era una scelta, non ciò che era. Le disse che se si comportava in maniera aggressiva, non era aggressiva: aveva scelto di manifestare la sua paura così. Brigida voleva tanto bene a Laura, perché lei non si arrabbiava mai quando sbagliava, e Brigida non era abituata alle persone che non si arrabbiavano mai con lei, a prescindere se sbagliasse o meno. Brigida era una bambina diversa. Ma nessuno ha pensato di dire diversa: hanno tutti preferito altre parole per definirla. Parole che Brigida non ha voglia di ricordare. Brigida si chiedeva perché una persona dovesse essere definita da quello che fa, e non da quello che è. Brigida non è stata protetta. Tutti i bambini che non sono stati protetti diventano aggressivi. Brigida non era aggressiva: la sua rabbia era un modo per richiedere affetto, per richiedere ciò che tutti i bambini meritano per il solo fatto che esistono. Ma non tutti i genitori scelgono di volere dei figli, alcuni se li trovano per sbaglio: come è successo ai genitori di Brigida.

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Una bambina che non nasce dall’amore, si chiede Brigida mentre entra all’ospedale, come si può pensare che non sia arrabbiata?

La verità, pensa Brigida, è che certe cose o le provi o le calpesti.

Ride di un dolore solo chi ne è staccato.

«Buongiorno».

«Buongiorno, dottor Maltose».

«Sei felice di essere entrata qui?».

«In realtà non riesco a capire perché mi stiate lasciando venire».

«Perché non dovremmo?».

Brigida pensa alla verità, ma poi si ricorda che quella si tiene custodita solo per sé stessi, non va condivisa.

«Perché non ho neanche un diploma».

«Già» dice il dottor Maltose, «ma ieri ti hanno vista parlare con Gioia».

Lo sguardo di sempre ritorna sul volto, lo sguardo che di solito ha quando pensa, quando fissa un punto vuoto.

«Già» dice Brigida, «Gioia».

«Gioia non parla con nessuno. Sono due mesi che viene qui, che cerco di convincere sua madre a farla ricoverare per un po’, ma Gioia non vuole, e sai cosa fa se la costringiamo?».

Brigida pensa che qualunque cosa faccia, fa bene. Perché non si costringono i bambini a stare dove non vogliono.

«No, cosa fa?».

«Ha dei comportamenti autodistruttivi. Non possiamo permetterle di farsi del male».

«Bravi» dice ironica.

«Sai» la guarda il dottor Maltose, «ieri pomeriggio, dopo che è entrata da me, mi ha detto una frase».

Che importanza ha che Brigida preferirebbe non sapere quale? Nessuna, quindi rimane in silenzio.

«Ha detto c’è una ragazza con i capelli lunghi, castani, con una felpa larga, e con le dottor Martens bordeaux. Ha detto che c’è una ragazza con gli occhi veri. E ha detto che è simile a lei».

No, infatti, non avrebbe minimamente avuto voglia di sentire una frase del genere.

«Perché ha detto che sei simile a lei?».

Brigida, purtroppo, ha il difetto di togliere la maschera con chi sa che non può usare il suo dolore contro di lei. Brigida, di fronte ai bambini, la maschera se la toglie. Perché i bambini non feriscono volutamente.

«Anche lei ha i capelli lunghi» dice Brigida.

«Sì, ma mi riferivo agli occhi. Hai visto gli occhi di quella bambina?».

«Sì. Li ho visti».

«Brigida» dice il dottor Maltose, «mi guardi negli occhi?».

Le solleva il mento con la mano, con estrema delicatezza. Sembra un gesto paterno. Ma no, non è vero, Brigida mentre lo guarda negli occhi pensa che di paterno quell’uomo non ha nulla. Anzi, se non si sbriga a urlargli contro di lasciarla e di non sfiorarla mai più, di tutto quello che potrebbe succedere sarebbe colpa sua.

Ma Brigida non riesce a urlargli, non riesce nemmeno a parlare. Brigida lo guarda negli occhi e si accorge che i suoi sono gelidi.

«Che pensi, Brigida? Che pensi di quella bambina? Lo so cosa stai pensando».

«Ah sì? E cosa sto pensando?».

«Dimmelo tu».

«Davvero?».

«Davvero» risponde.

Brigida sorride, poi ride piano, poi lo guarda seria e dice: «Non lo sa cosa sto pensando. Non sa niente di me».

Il dottor Maltose sospira. «Non avrai nessun diploma, ma quella bambina non parlava con nessuno».

Probabilmente nessuno parlava con lei, pensa Brigida.

«Hai un dono, un…».

No, no, no, shh, sussurra la mente di Brigida, non iniziare ad ascoltare questi discorsi finti e costruiti.

«Se vuoi vederla…».

«Veramente dovrei andare in bagno, mi scusi».

Brigida sorride, di nuovo forzatamente, corre in bagno e si chiude dietro la porta, a chiave. Inizia a piangere e pensa che quello non è un dono, è l’unica cosa che sa fare: fare quello che avrebbe voluto che qualcuno avesse fatto con lei, quando era una bambina. Pensa al viso di Gioia, e in un istante pensa a lei.

Si riconosce, e piange.

*

Ci sono buchi che nessuno può riparare.

Sono come i puzzle: o metti il pezzettino giusto, oppure lascia stare. Ci sono parole che si appiccicano alla pelle appena le si pronunciano; ci sono frasi che si incastrano nella testa e agitano il cuore. Ci sono puzzle che puoi completare come vuoi, ma se cerchi di unire pezzi sbagliati, di colmare buchi ormai troppo grandi, finisci solo per indebolire il resto che c’è intorno.

Sempre lei me l’ha insegnato.

«Dove l’hai letto?» le chiesi.

«L’ho inventato, mi è venuto in mente l’altro giorno».

«Quindi non è vero».

«Perché?».

«Le cose inventate non sono vere!» risi.

Sorrise, mi guardò e disse: «Tu non hai idea di che potere ha la nostra mente sul nostro corpo».

Non capii cosa significasse, cosa c’entrasse quella frase.

«Che significa?».

«Niente» rise, «però ti assicuro che tutto ciò che ti inventi basta che te lo tieni un po’ nella mente per farlo diventare reale».

Non risposi. Perché Rosemay è sempre stata più avanti di me, anche nei discorsi.

«Brigida» rise, «quello che intendo dire è che una cosa per farla diventare vera basta che te la ripeti. La inizi a canticchiare nella mente, ti dondoli, sorridi e ti dici: è vera. Te lo dici pure se non è così. Ma dopo un po’ che lo fai diventa vera».

«Si chiama mentire» dissi.

«Chiamalo come vuoi, ma guarda che è un’arte».

«Cosa?».

«Ripetere le stesse cose per non sentire quello che hai dentro».

«Tu cosa ripeti per non sentire quello che hai dentro?».

«Io invento cose che non sono mai successe e ripeto che sono felice».

«E lo sei?».

«Lo sembro?».

«Agli altri sì».

«Se lo sembro lo sono».

«Quindi ripeti che sei felice per non sentire quello che hai dentro. Cos’hai dentro?».

«L’odio».

Mi gelai e la guardai negli occhi.

«Sto scherzando» rise, «non devi credere a tutto quello che dico».

«Chi odi?» chiesi seria.

«Ti ho detto…».

«Basta! Quando si dicono queste cose non si sta scherzando!» urlai.

Lei mi guardò sorpresa. Io richiesi piano: «Chi odi?».

«Non posso dirtelo».

«Sì che puoi!».

«No, non posso».

«Perché?».

Mi guardò, con gli occhi che brillavano di paura. «Perché se te lo dico poi te ne vai anche tu».

Restammo sospese. Io guardavo la finestra e lei guardava a terra.

«Tu odi qualcuno?» mi chiese.

«L’odio è un brutto sentimento».

«Lo so. Tu chi odi?».

«L’odio è…».

«Brigida, non dirmi che non odi nessuno perché si vede».

Mi spostai. «Eh? Cosa si vede?».

«Si vede che ce l’hai con qualcuno. Si vede quando tremi».

Non risposi. Perché lei sapeva tutto di me senza che non le avessi mai raccontato nulla, e io non sapevo niente di lei nonostante vivessi a casa sua e conoscessi la sua vita?

A quella domanda mi risposi qualche minuto dopo: perché lei ripeteva per non sentirsi. E se ti ripeti che hai una casa delle Barbie meravigliosa, una mamma che ti prepara tutto quello che vuoi, un papà che dipinge con te, che ne sanno gli altri che sono metafore per dire esattamente il contrario?

Il problema di Rosemay è che tutti si erano accorti di quello che aveva intorno: solo lei non lo vedeva. Non lo vedeva perché si era imposta di non vederlo.

Rosemay tutto era tranne che felice. Ma a lei, tuttoggi, interessa esclusivamente sembrarlo. Si sta per sposare con una persona che odia. E non lo sa.

«Sì» dissi, «ce l’ho con qualcuno».

«Tu con chi ce l’hai?».

«Te l’ho detto, se te lo dico poi te ne vai».

«Rosemay» mi avvicinai, «ti prometto che resto. Per tutta la vita saremo sempre insieme. Ma voglio che mi dici chi odi».

«Me lo prometti?» iniziò a ridere. A ridere con gli occhi lucidi.

«Te lo giuro. Io resto».

«Non lo so Brigida…».

«Io resto».

«Io non l’ho mai detto a nessuno, non…».

«Io resto».

«Non lo sa nessuno…».

«Io resto».

«Io ho paura che se…».

«Io resto!» l’abbracciai, «Te lo prometto, io non ti abbandono, io resto!».

Si commosse. Mi strinse a sé e sussurrò: «Io la verità non la dico perché fa paura. Quando ho provato a raccontarla sono rimasta sola, se ne vanno tutti».

«Lo so» dissi, «ma ti prometto che io resto».

Mi lasciò, mi guardò fissa negli occhi.

«Odio me».

Troverai qui tutte le novità su questo libro

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Jennifer Gasperi
Jennifer Gasperi è nata a Terlizzi nel 2003 e vive a Villafranca di Verona. Studia lettere antiche all'Università di Padova. Questo è il suo primo romanzo.
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