Sghignazzò e poi saltò giù dal letto, si parò davanti, intenta a interrompere il mio contatto visivo con la spada. Io scossi la testa, la guardai ed esclamai infastidito: «Qual è il tuo problema, me lo spieghi? Perché mi stai così appiccicata? E già che ci siamo, volevo chiederti il perché di tanta generosità. Perché ci aiuti?»
Non rispose, saltellò, rise e andò in fondo alla stanza, poi indicò la parete e disse: «Vieni, voglio mostrarti una cosa.»
Sbuffai, ma non avevo nulla con cui tenermi impegnato ed ero troppo curioso per rimanere lì fermo, così feci come aveva detto. Appena la raggiunsi, ella spinse con entrambe le mani la parete. Essa cigolò e si aprì quella che sembrava essere la porta di un passaggio segreto. Delle scale portavano ancora più giù dello scantinato. Con una mano la ragazzina prese una candela per farsi luce e con l’altra afferrò la mia, tirandomi e incitandomi a seguirla.
Iniziammo a scendere le scale. Erano piccole, strette, e se non fosse stato per Noa che mi teneva, sarei caduto diverse volte. Arrivammo davanti a una porta in legno, logora e vecchia. La ragazza la aprì con difficoltà, ma il suo gracile corpo resse l’impresa. Dalla soglia notai una normalissima stanza, simile nell’aspetto a quella di sopra. Lei entrò subito, mi guardò e sorridendo disse: «Che fai? Non entri?» e io pensai qualcosa come: “Lo sapevo, è una psicopatica, adesso mi ammazza e vende i miei organi.”
Mi vide titubante e continuò: «Non ho intenzione di farti nulla, entra.»
Ancora oggi non riesco a spiegarmi questa cosa, non ne ho mai avuto la conferma, ma era come se lei potesse sentire i miei pensieri e prevedere ogni mia reazione fisica ed emotiva. La cosa era inquietante, ma emanava un forte calore, come quello che trasmette una persona cara che ti abbraccia in un momento di debolezza. Così entrai e il pavimento cominciò a tremare leggermente. Sui lati della sala uscirono delle piante rampicanti, che si intrecciarono e allungarono lungo le pareti. Erano di un verde vivo e da esse cominciarono a spuntare tanti piccoli fiori colorati. Erano luminosi come se fossero stati imbevuti di sostanze fluorescenti. In breve tempo le piante coprirono tutta la stanza.
Noa sembrava divertita e mi guardò per tutto il tempo, intenta a gustarsi la mia espressione incredula, e, quando la vegetazione si fermò, mi diede un piccolo spintone dicendo: «Ora puoi chiudere la bocca e asciugarti la bava, ti presento l’unico posto in cui mi sento davvero a casa.»
Lei si aspettava probabilmente una mia risposta, ma io stavo già toccando i fiori sotto i miei piedi. Erano soffici e vellutati, avevano gli odori della frutta. Quelli rossi profumavano di fragole e lamponi, quelli gialli di banane e ananas, mandarini… A ogni colore un profumo di un frutto corrispondente. L’odore più rilevante era quello delle rampicanti, che sapevano di menta.
Noa mi girò la faccia con la mano e disse: «Ehilà? C’è nessuno?» e io risposi: «Come… Anzi, cosa… Non capisco» e lei: «Aaaah, allora sei ancora tra noi, bello, eh? Tranquillo, non sei pazzo: è un piccolo giardino creato da me, con tanta cura e amore… L’unica magia alla quale hai assistito è la protezione che gli ho creato, ho fatto in modo che sembrasse una normale stanza: nel caso qualcuno dovesse entrare senza di me, non ci sarebbe nessun odore o fiore luminoso. Se nella stanza non ci sono anche io, il campo illusorio non sparisce entrando.» Annuì con aria soddisfatta: «Sono stata brava, eh? E la vuoi vedere un’altra magia?»
In quel preciso momento avevo ancora in mente le piante che si stavano arrampicando e capii ben poco, tuttavia feci cenno di sì. Parve molto contenta. Si sedette a terra e mi incitò a fare altrettanto, poi aggiunse: «Siediti e guarda.»
Soffiò sulla candela e lasciammo che i fiori illuminassero la piccola sala con mille colori diversi. Era come se fosse venuta la notte, anzi, di più, come se fossimo dentro un cielo notturno, dove ovunque guardavi, vedevi tante stelle colorate. Per un momento mi parve di stare al centro dell’universo, senza pareti, soffitti o pavimenti: in mezzo al nulla. Una sensazione piacevolissima, così tanto che chiusi gli occhi per un momento e, quando li riaprii, vidi una delle farfalle magenta posata su un fiore di fronte a me. Sorrisi, avvicinai la mano e lasciai che si posasse sul mio indice; così la portai agli occhi di Noa: «Guarda Noa!» e lei continuò: «È una fukishìn: sono delle farfalle che si dice siano le custodi dei daeva. Si nascondono dai luoghi altamente civilizzati, ma qui si sentono al sicuro. Ci sono varie leggende sul loro conto, ma quella che tutti conoscono, o almeno nel tuo caso dovrebbero conoscere,» mi lanciò un’occhiataccia ironica, «è quella della Dea Madre e dell’origine dei daeva. Allora, vuoi sentirla?»
La farfalla volò via e io feci cenno di sì con la testa, così lei iniziò:
«Tanto tempo fa, in principio, c’era solo un immenso oceano di nulla e, a regnare sopra di esso, due immortali entità: Zìmael, il Dio Padre, e Riugan, la Dea Madre. Passarono milioni di anni prima che Zìmael e Riugan fossero presi dallo sconforto della solitudine. Essi decisero di condividere il loro potere divino con altre due immortali entità da loro create: Yustie e Narubi. Tutti e quattro cominciarono così a creare Azoran. Narubi creò l’oscurità e la notte; Zìmael, a suo seguito, creò oceani e montagne; Yustie creò la luce e il giorno, dando così vita ai boschi e agli esseri viventi. Riugan rimase in disparte, assicurandosi che tutto il creato non andasse perso nel caos. Sebbene i quattro dèi fossero contenti del risultato, Riugan, la Dea Madre, si sentiva ancora sola e creò un essere in grado di amare e vivere, al tempo stesso, la magnificenza di tutto il loro creato: l’uomo. Egli era forte e passionale, ma nei secoli a venire si rivelò essere un grosso fallimento per la dea. Per la sua capacità evolutiva degenerativa, pian piano, l’uomo cominciò a distruggere tutto il creato con guerre e tumulti. Narubi e Zìmael proposero la sua estinzione, ma Riugan era legata alla sua creatura e, con l’aiuto di Yustie, generarono i daeva, dalle sembianze umane per metà e angeliche per l’altra. Dotati di grande forza fisica e spirituale, diedero loro delle ali e parte del loro potere magico, in grado di preservare l’uomo da se stesso e da tutto il creato. Tuttavia, Narubi era geloso del proprio potere divino e non volle che quelle nuove creature fossero immortali, quindi accettò alla condizione che, una volta finito il loro dovere sulla terra, i daeva tornassero in cielo dai loro creatori. Riugan acconsentì, e così ogni volta che un daeva moriva diventava luce e risaliva verso il cielo. Tuttavia, Zìmael, preso dalla compassione, fece un patto segreto con Yustie nel trasformare una piccolissima parte di quella luce in una creatura innocua, insignificante e invisibile agli occhi di Narubi: una farfalla dalle ali di color magenta vivo. E l’etere continuò a fare il suo corso.»
Era la prima volta che ascoltavo con grande interesse le parole di Noa e dissi: «Che storia magnifica…»
Noa sorrise e abbassò lo sguardo imbarazzata: «Una leggenda vorrai dire, la storia la fanno gli uomini. In realtà ho tralasciato molti dettagli, ma se vorrai, quando avremo più tempo, ti racconterò altro.» E io risposi entusiasta: «Sicuro! Ma, una cosa… ‘Fukishìn’, cosa vuol dire?» Parve soddisfatta del mio reale interesse: «Credo sia una parola daeva, vuol dire ‘ricordo’, ma un ricordo inteso come nostalgia.» Durante il suo racconto non avevo fatto caso alla moltitudine di fukishìn che si erano posate sui fiori intorno a noi, come se fossero lì per ascoltare la storia di Noa. Dovevano essere almeno un centinaio. Quando la ragazza finì di parlare, una di loro prese il volo, e subito tutte le altre la imitarono, come uno stormo di uccelli, creando una scia colorata tutta intorno alla stanza.
Rimasi incantato a guardarle e sorrisi.
[…]
Livia Coppola (proprietario verificato)
Ho avuto il piacere di leggere “Fukishín – Il cerchio si apre” in anteprima, trovando un romanzo estremamente personale, in cui è visibile anche tutta la cultura videoludica e fumettistica dell’autore, oltre alle sue riflessioni ed esperienze. Un testo scorrevole e denso, che ben presto trasporta anche il lettore, e non solo il protagonista, nel mondo di Azoran, il cui worldbuilding risulta convincente e curato. “Fukishín” riesce perfettamente là dove molti altri libri falliscono: quando si arriva all’ultima pagina, si è talmente affezionati ai personaggi che non si può che desiderare di leggere il seguito delle loro avventure. Non vedo l’ora di poter finalmente sfogliare le pagine di questa storia con una copia fisica.