Io non credo di essermi neanche lontanamente avvicinato a questa sensazione da molti anni a questa parte. Anzi, a questo punto potrebbe anche essere semplicemente uno scherzo della mia mente, uno di quei ricordi che creiamo da soli per avere qualche scampolo di felicità da spacciare nelle conversazioni, per poter colpire l’interlocutore con il nostro sguardo disincantato verso la realtà e guadagnare punti nella scala dell’interazione sociale.
Se oltre a essere il ragazzo ombroso che se ne sta in un angolo alle feste, sei pure quello che riversa la sua tristezza sugli altri, allora sì che cominci a essere un ospite indesiderato.
Il timido ma affascinante musone, il sognatore fuori dal suo tempo, il bohémien sono tutti ruoli che esercitano ancora quel fascino misterioso, mentre il coglione depresso suscita solo repulsione o, nel migliore dei casi, una tenera compassione.
E così ce ne usciamo con frasi tipo “Non sai quanto è stato figo andare a Londra a Natale” o “Una volta che hai un buon piatto di pasta e un bicchiere di vino che ti serve di più?”. Recitiamo quel copione perché obbligati da assurde regole prestabilite, come se la felicità e l’equilibrio siano una leggenda da tramandare di generazione in generazione.
Sprechiamo veramente un sacco di tempo a creare la nostra realtà parallela, in cui prendiamo a calci i problemi e avanziamo a testa alta. Ma non è questione di sentire veramente questa sensazione di invincibilità, è semplicemente una tecnica di interazione.
Ed è perfezionando questa tecnica, quella del viveur distaccato ma sotto sotto sensibile e appassionato, che ho rimediato del discreto sesso anestetizzante. In fondo l’orgasmo può essere una buona distrazione dal mal di vivere.
Viviamo un’epoca di paura e allarmismo, minacciati dall’incombenza di virus mortali e sull’orlo di un’imminente distruzione climatica. Neanche ci rendiamo conto di come la grande, vera malattia di questo millennio sia dentro di noi e ci stia logorando sempre di più, un pezzettino alla volta.
Ovviamente sto parlando di depressione, cari miei. Sono sicuro che molti di voi non lo ammetteranno mai e andranno avanti mentendo a loro stessi, solo per far tacere quella vocina che vi ricorda la presenza di quella stronza maledetta che inquina le giornate con una patina di inquietudine e inadeguatezza.
Quella che non vi fa alzare al mattino, vi fa scoppiare in lacrime senza motivo, vi fa semplicemente sentire un vuoto devastante in mezzo allo stomaco.
Quella che in molti cercano di ignorare o sminuire o, molto spesso, riversare sugli altri.
Ovviamente sto parlando di voi irresistibili codardi, voi che ammorbate questo pianeta con le vostre lagne ataviche e che a volte ci prendete anche gusto a essere quelli che si fanno compatire, che preferite crogiolarvi nella vostra bolla di autocommiserazione piuttosto che tirare fuori gli attributi.
Parlo di voi perché per me sta per finire tutto.
Finalmente mi libererò da questa inutile zavorra, e libererò il mondo della mia presenza. Ho deciso di farla finita, anzi siccome sono estremamente sereno e lucido a riguardo userò la parola giusta e non edulcorati modi di dire: suicidio. Mi sto per suicidare.
Questo è il mio ultimo giorno sulla terra e siccome c’è comunque una punta di ego rimasta nell’anima di questo idiota, passerò questa giornata a scrivere. La mia storia, le parti più importanti almeno, le esperienze più significative che mi hanno portato al fatidico oggi.
Mi piacerebbe dire che lo sto facendo per impedire che altri nella mia stessa situazione si trovino dove sono io ora e che il mio sarà un monito per le generazioni future del tipo “non fate ciò che ho fatto io”. Ma non posso iniziare questo libro con una menzogna, perciò dovete sapere che, in realtà, lo sto facendo per me, per sperare di essere anche in minima parte ricordato come un brillante scrittore suicida e non come la nullità che mi sono sempre sentito. Un ipersensibile regista fallito che non sa trattenere a sé nemmeno una goccia di felicità. Uno che ha vissuto tutta la sua vita nella paura e che il coraggio lo trova solo ora, per levarsi dalle palle.
Complimenti.
Così magari questo mio piccolo scritto mi regalerà una goccia di immortalità e mi darà la sensazione di averla messa nel culo alla vita. Volevi che me ne andassi triste e dimenticato da tutti, eh? E invece beccati questo.
Certo, c’è sempre la possibilità che queste mie parole vengano cestinate dalle dieci case editrici che le riceveranno questa notte. Non ho santi in paradiso, non ho grossi agganci ne conoscenze ai piani alti, ho giusto qualche contatto procuratomi dalla mia casa di produzione. Non posso nemmeno dire di avere un nome famoso perché di me si conosce soprattutto un prodotto televisivo per il quale ho cercato più anonimato possibile, nonostante lo diriga.
Dieci caselle mail e la probabilità di ritrovarmi nello spam di qualche assistente dell’assistente.
Diciamo che punto anche sul senso di colpa, si può negare a un depresso suicida la fama eterna? E poi, rimanga fra me e voi cari editori, che colpaccio sarebbe a livello mediatico? Oltretutto rischiereste di avere fra le mani un libro di successo di un autore che non dovreste nemmeno pagare. Suvvia.
Bene, direi che sono pronto.
Ho una tazza di caffè piena, il PC carico e ho posizionato la poltrona dove mi metterò a scrivere, fuori in balcone.
Sì, perché oggi è una di quelle giornate di fine inverno quando il cielo è terso, il sole fa capolino fin dalle prime ore del mattino e l’aria comincia a scaldarsi.
Roberto PONTIGGIA (proprietario verificato)
ho letto con piacere e con usto che aumentava pagina dopo pagina questo libro, anche se il titolo non mi aveva preso molto. Un libro con un bel ritmo, che non cade di tono, con una trama avvincente, ma soprattutto un viaggio dentro la sofferenza intima di una lucidità sorprendente. Il linguaggio è vivo e giovanile; non avrei mai detto che fosse un’opera prima. se proprio devo trovare un difetto è in alcuni dialoghi sulla fine molto razionali, quando me li sarei aspettati più impulsivi e sanguigni. Piacevolmente sorprendente.